lunedì 12 ottobre 2015

Zerocalcare e il potere di una foto


La foto di un antico ponte romano potrebbe essere stata scattata in Italia o in Spagna, in Francia o in Grecia, in Egitto o in Palestina. Ma i Romani si spinsero anche più a Oriente, in Siria, per la precisione nell'attuale Rojava, la regione curda di Kobane. Anche lì, sulla strada che porta a Kobane da Qamishlo c'è un ponte romano. Della foto che lo ritrae e della donna che l'ha scattata Zerocalcare ci racconta la storia in Ferro & piume, il reportage giornalistico a fumetti pubblicato da Internazionale il 2 ottobre. Dopo le 42 tavole del primo servizio di graphic journalism che l'autore romano disegnò e scrisse sempre per la stessa rivista lo scorso gennaio, è ancora la guerra fra l'Isis e i curdi ad essere l'oggetto del suo racconto, vissuto in prima persona.



Questa volta Michele Rech ci riferisce di un particolare incontro vissuto nel giugno di quest'anno lungo la strada che portava lui e i suoi compagni della Staffetta Romana per Kobane nella città capoluogo del Rojava, a lungo contesa fra Isis e curdi. Zerocalcare fa quello che il giornalista dovrebbe fare: andare sul teatro di guerra e parlare con i protagonisti. Ma lo fa senza il cappello del giornalista, bensì con quello di un uomo che cerca di capirci qualcosa in un conflitto che i giornalisti di professione spiegano in modo parziale e di parte. Parla con i resistenti curdi per i quali sta facendo quel viaggio. Incontra Nasrin, una donna, la comandante delle unità di protezione delle donne del Rojava, le YPJ. Una donna che gli presenta tanti volti: quello pietoso del comandante militare che sa consolare i parenti dei suoi combattenti. Quello granitico della resistente politica che ti spiega il gioco sporco e stragista che la Turchia di Erdogan sta giocando sulla pelle dei curdi e dei sostenitori turchi dei curdi. E infine quello sereno di una donna che per un pomeriggio torna a vestire i panni civili da reporter di prima della guerra: imbraccia la macchina fotografica invece del fucile e scatta una bella foto ricordo ad un gruppo di ragazzi italiani su un ponte romano del Rojava, Kurdistan siriano. Il senso della resistenza di quella donna sta tutto in quel gesto: scattare una foto e lottare per poterlo ritornare a fare anche nel futuro, dopo che la guerra si sarà conclusa e i curdi avranno ottenuto la possibilità di vivere in pace, in una società democratica, in fratellanza con le altre etnie. È questo l'obiettivo dei resistenti curdi: una società egualitaria che si fonda su un nuovo patto sociale.



Ed è per questo che sono osteggiati da tutti: dai turchi in primis, ma anche da tutto il mondo occidentale che vede nel loro scopo un pericolo per la stabilità dei loro interessi. Non si spiegherebbe altrimenti il disinteresse, lo scarso appoggio o perfino l'ostilità che hanno ricevuto per la loro lotta democratica dalle potenze occidentali democratiche. Non si spiegherebbe altrimenti la scarsa informazione sulla loro battaglia, sulla loro vita e sulla loro organizzazione statale. Il comandante Nasrim era già stata in Italia qualche mese prima, ma aveva potuto raccontare la propria esperienza di resistenza solo nei circuiti associazionistici e politici di un certo tipo. La grande stampa e i mass media l'hanno ignorata. D'altro canto presentare una donna musulmana che distrugge in un solo istante tutti i pregiudizi che i mass media sono riusciti faticosamente a costruire attorno alla figura del musulmano, è pericoloso. Molto più semplice e comodo lasciarla ospite dei circuiti di informazione alternativi, che ben pochi seguono, e continuare a bombardare il cervello dei lettori/telespettatori con i soliti luoghi comuni sull'Islam. Semplificare male è la parola d'ordine, anziché spiegare la complessità. Quindi dobbiamo ringraziare Internazionale e Zerocalcare per il secondo reportage di graphic journalism sul Rojava, sulla resistenza curda e sul potere di una foto.



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