lunedì 21 febbraio 2022

L'empatia di Zero

C'è una nuova storia di Zerocalcare in edicola. La pubblica L'Essenziale, il settimanale, costola di Internazionale, dedicato ai fatti italiani. Si tratta di una storia veramente brutta, tragica, che ti lascia disperato e incazzato allo stesso tempo. E questo per tanti motivi. Per l'esito finale, innanzitutto: la morte di un ragazzo minorenne. Poi per come si è svolta: spari di arma da fuoco, in risposta ad una minaccia costituita da una pistola giocattolo. Per i protagonisti: un ragazzo di una famiglia considerata difficile e un carabiniere in borghese. Per il luogo: un vicolo di Napoli. Per come è stata raccontata sui media: sbrigativamente e con mille pregiudizi.

Zerocalcare si mette lo zaino sulle spalle, prende il treno e va a Napoli, a casa del ragazzo e incontra il padre. E ascolta senza pregiudizi. Le parole del padre raccontano un'altra storia e Zerocalcare fa pesare ogni sillaba che entra nella sua testa. E nel suo cuore. E gli si smuove qualcosa dentro. Riflette e si pone domande. Le stesse che un lettore attento e partecipe di queste 24 pagine di fumetto non può non farsi. Ovvero perché la realtà dei fatti non venga (quasi) mai analizzata con il rispetto e la decenza dovuti alle persone che ne sono protagoniste. Perché non ci si ricordi mai che una vicenda non può essere liquidata con poche righe ma richieda un'analisi degli strati di cui si compone.
Zerocalcare, con la sua empatia e tutti i suoi limiti di essere umano, sta lì a ricordarcelo. Con rispetto e decenza.

domenica 24 gennaio 2021

Gli inciampi della memoria


Me lo sono conservato per diversi mesi per potermelo leggere questa settimana. Si tratta del libro intitolato Le pietre della memoria - Gunter Demnig e le pietre d'inciampo, scritto da Francesca Druetti e Benedetta Rinaldi, edito da People. Lo voglio leggere nella settimana in cui cade il Giorno della Memoria, per poi portarlo dentro di me nei mesi e negli anni a venire. E farne, giorno dopo giorno, base, spunto, stimolo alle mie azioni. Insieme a tutto quello che ho già letto, conosciuto e studiato a riguardo, e a tutto ciò che apprenderò nel futuro. Perché la memoria, come dice Silvia Antonelli nella prefazione, è un atto attraverso il quale un evento del passato viene allacciato e relazionato al presente. L'evento non va celebrato con vuota e formale solennità: va capito, approfondito e studiato, E poi agito nel presente. E l'unica azione possibile, che deriva dalla conoscenza della Shoah, è quella che si inquadra dentro una cornice di chiaro e coerente antifascismo, Il razzismo e la xenofobia che causarono la tragedia di allora, vanno riconosciute nelle diverse forme in cui si manifestano nelle società odierne. E vanno combattute. Cultura e conseguente azione sono gli strumenti che abbiamo: solo così si potrà pensare di ottenere libertà e giustizia per ciascun cittadino del mondo. 

sabato 30 maggio 2020

La poesia per immagini di Manuele Fior dedicata a Cesare Pavese

Pochi disegnatori sanno trasmettere un'emozione dalle loro opere: Manuele Fior, attualmente, è colui che più parla al mio animo attraverso i suoi disegni. Lo aveva fatto con Celestia 1 e 2 pochi mesi fa: a mio parere il suo migliore fumetto, capace di comunicare con la bellezza delle tavole colorate, così come fa la poesia con la musicalità delle parole. Al di là della storia raccontata, Celestia è una poesia per immagini.
Ma questo post è dedicato all'ultima opera di Manuele. La casa editrice Einaudi gli ha infatti commissionato sette copertine per altrettante ripubblicazioni di volumi contenenti romanzi, diari e poesie di Cesare Pavese, ciascuno introdotto da uno scrittore contemporaneo. Da qualche giorno gli scaffali delle librerie italiane sono, semplicemente, più belli. E non è poco. Quando ho visto su web le illustrazioni ho sentito un calore interiore, una familiarità, una sensazione di benessere che mi ha evocato ricordi di letture giovanili da riscoprire.
Cesare Pavese morì suicida 70 anni fa e io me lo figuro fragile, come i personaggi che racconta nelle sue storie, ai quali è capitato di dover vivere periodi difficili, più grandi di loro, come il fascismo, la seconda guerra mondiale e la lotta partigiana.
Manuele Fior restituisce un'emozione in una posa di un personaggio o nella profondità del paesaggio e i colori sono il linguaggio attraverso cui comunica con il tuo animo. Di volta in volta ti senti un tutt'uno con il verde del poggio su cui scorazza il cane o con il rosso quasi marziano delle colline rischiarate dalla luna.Oppure ti immedesimi nel gesto attento della donna che osserva la riva opposta del fiume o nelle spalle un po' ingobbite dell'uomo che cammina in riva al mare, che sento essere Cesare Pavese stesso.
Le copertine di Manuele sono il miglior einvito alla (ri)lettura di Cesare Pavese che l'Einaudi potesse immaginare.









domenica 24 maggio 2020

Lorenzo Pastrovicchio vince l'edizione 2020 del "Premio Giacomo Pueroni"


Ogni anno l'associazione culturale ETRA Monfalcone, in collaborazione con l'associazione Novaludica Palmanova, assegna il "Premio Giacomo Pueroni" al miglior disegnatore di fantascienza. Si tratta di un'iniziativa nata nel 2017 dall'idea di alucni amici di Giacomo per tenere vivo il ricordo di quel grande appassionato di fantascienza e valente disegnatore che è stato Pueroni
Lorenzo Pastrovicchio è il destinatario del premio di questa quarta edizione, dedicata anche al ricordo di Federco Memola, sceneggiatore e amico di Giacomo, scomparso nel novembre del 2019.
Federico Memola e Giacomo Pueroni

La cerimonia di consegna avverrà venerdì 29 maggio alle 18 presso la fumetteria Neopolis di Trieste ma potrà anche essere seguita in diretta facebook.

lunedì 3 febbraio 2020

Il ritorno di Ken Parker in edicola


Giovedì 6 febbraio Ken Parker ritorna in edicola. Il personaggio a fumetti creato da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo vedrà ripubblicate alcune delle sue migliori avventure da parte del gruppo editoriale Gedi. Alcuni appassionati si son detti delusi da questa iniziativa perché non propone niente di nuovo. Non han capito nulla. Ogni nuova occasione che permette di far conoscere il fumetto che ha rivoluzionato il racconto del genere western, e non solo, è la benvenuta. Ken è un personaggio da scoprire e riscoprire perché è un uomo come noi, con i suoi ideali e le sue cantonate, con i suoi pregi e le sue debolezze, con le disgrazie e le soddisfazioni che accompagnano la vita di tutti. Va letto e amato per questo. Lo ho spiegato e rispiegato tante di quelle volte su questo blog. 

sabato 4 gennaio 2020

La mia passione per Celestia di Manuele Fior


Celestia (edita da Oblomov Edizioni) è l'opera di Manuele Fior che più mi ha appassionato. Beninteso, non che le sue precedenti non abbiano incontrato il mio favore, tutt'altro: ce ne fossero di Manuele Fior nel panorama del fumetto italiano e internazionale. Ma questo Celestia ha, secondo me, una marcia in più. Sarà l'ambientazione tra l'onirico e il fiabesco di questa città che è Venezia ma anche non lo è (consentendo quindi a Fior di cogliere ciò che più gli piace della città e di trascurare gli aspetti che meno gli aggradano). Sarà il mistero non ancora svelato (lo sarà nel secondo volume in uscita a febbraio) di questa catastrofe causata dall'invasione che ha fatto tagliare i ponti fra la terraferma e l'isola su cui sorge Celestia. Saranno i due ragazzi protagonisti, Dora (già incontrata ne L'intervista) e Pierrot e la loro avventura nella terraferma, potenzialmente irta di pericoli. Sarà il gruppo di giovani telepati cui sembra affidarsi un'umanità nuova (la stessa Dora è una telepate, è perfino dominata dal suo potere). Sarà il contrasto tra i colori di pietra grigia e nera di Celestia e gli scintillanti colori della terraferma. Sarà l'atmosfera alla Miyazaki che pervade tutto il fumetto a renderlo una delle mie migliori letture del 2019.

giovedì 2 gennaio 2020

Magico Vento: felice ritorno del 2019

Copertina di Corrado Mastantuono

La Sergio Bonelli Editore ha saggiamente alternato nel corso del 2019 sperimentazioni con nuove miniserie, nuovi personaggi e nuovi formati alla ripresa di personaggi classici, quali Mister No, Napoleone e Magico Vento. Fra i fumetti migliori pubblicati dalla casa editrice milanese figura senz'altro lo sciamano bianco dei Lakota, creato da Gianfranco Manfredi. Quest'ultimo ha deciso di continuare laddove avevamo lasciato il Nostro: ritirato in Messico, dopo aver combattuto, e perso, a fianco del valoroso capo apache Victorio. I quattro nuovi albi si pongono quindi in continuità temporale rispetto alle storie precedenti. Siamo nel 1881 e la Storia incrocia di nuovo il suo corso con la vita di Magico Vento e dell'inseparabile amico giornalista Poe.
Ancora emerge forte il tratto distintivo del personaggio: il sapiente intreccio fra avvenimenti storici della Frontiera, le tradizioni e il mondo soprannaturale dei nativi americani e la vita dei protagonisti. Il tutto cucito secondo delle trame avventurose che tengono il naso del lettore attaccato dalla prima all'ultima pagina. Nove anni son trascorsi dalla conclusione della serie regolare di Magico Vento, ma attendere così tanto le nuove avventure è valsa la pena. Forse non è chiaro a tutti il valore che ha Magico Vento. Credo sia l'unico fumetto western che conduce il lettore dentro la vita quotidiana da un lato, e quella storica dall'altro di un mondo che ha popolato per decenni l'immaginario collettivo di lettori di libri e fumetti e spettatori di film e serie western.
Il mix di realismo e avventura è riuscito anche in questo caso, dove vediamo Magico Vento e Poe agire al fianco di personaggi storici quali il capo apache Geronimo e i fratelli Wyatt e Virgil Earp. Una rivolta indiana, ispirata da Mingus, un pericoloso predicatore bianco, è il collante che lega questi personaggi nei luoghi attorno alla riserva indiana di San Carlos, nel Fort Apache e nella città di Tombstone. Manfredi dà il suo meglio quando svolge l'intreccio delle azioni di guerriglia, degli inseguimenti, dei trabocchetti, degli scontri nei quali il Nostro affianca Geronimo. Nulla è lasciato al caso, tutto è meticolosamente spiegato attraverso il suo semplice svolgersi. E ogni cosa va al suo posto. Il bello, in realtà, è dato da tutti i personaggi apparentemente minori, come il corrotto agente della riserva Bosom, o lo scout apache Chato, o il fanatico collonnello Carr, o le due donne, l'apache Lozen e la papago Chona, che si riveleranno fondamentali figure nell'ultima pagina del quarto albo.


Manfredi spazia dagli ampi paesaggi polverosi percorsi a cavallo da apache e soldati al fuoco che divampa dentro Fort Apache al celebre OK Corral di Tombstone, scena dello scontro fra i fratelli Earp e Doc Holliday da una parte e i cinque cow boys capitanati da Ike Clanton dall'altro. Attraverso questo duello, diventato epico grazie a film e libri, si conclude la caccia di Magico Vento. Mingus viene ucciso e, con lui, la sua pericolosa profezia. Ma non c'è niente di epico nelle gesta disegnate con tratto realistico e preciso da Darko Perovic: la guerra è solo "una sequenza di massacri, spesso a danno di innocenti, una sconfitta per tutti che nessuna epica può sublimare in eroismo", come scrive lo stesso Manfredi nella rubrica "Blizzard Gazette", in apertura del terzo albo.
Il ritorno di Magico Vento racconta di un mondo al tramonto, in cui ci sono stati degli sconfitti, i nativi americani, e dei vincitori, i bianchi. Gli sconfitti, però, hanno perso solo militarmente, la loro resistenza non si è mai fermata: è proseguita attraverso forme diverse lungo tutte le generazioni che si sono siccedute fino ai giorni nostri. E l'ultima pagina dell'ultimo albo mostra come magico Vento e Poe intendano proseguire nella loro lotta al fianco dei nativi.
Quattro albi terminano presto, ma sappiamo che Manfredi e Perovic hanno altre storie in serbo per noi. Le attendiamo con trepidante ansia.

lunedì 7 gennaio 2019

Chiisakobe, ripartire dalle macerie

La fatidica domanda: quale senso dare alla propria vita. Shigeji, il giovane protagonista di Chiisakobe, manga di Minetaro Mochizuki, ha creduto di trovare la risposta nella natura. Ha intrapreso un viaggio solitario into the wild, mettendosi fortemente alla prova, osando, rischiando nell'incontro solitario con l'ambiente selvaggio. Apprendiamo queste informazioni dal suo racconto, dai suoi pensieri, perché l'azione del fumetto è incentrata su un tempo successivo, un tempo drammatico per il giovane. Troviamo Shigeji, infatti, in uno dei cantieri edili nei quali la piccola impresa di famiglia, la Daitome, è occupata. Lo vediamo seduto immobile, il volto nascosto dietro una lunga barba e una folta capigliatura, barriere che nascondono all'altro le sue emozioni, fino alle tavole finali del quarto ed ultimo volume, quando vedremo finalmente i lineamenti del suo viso. Ha appena appreso una terribile notizia: i genitori sono morti nell'incendio che ha distrutto una parte rivelante del quartiere di Tokio dove ha sede la Daitome e la casa paterna. Nonostante la propria inesperienza pratica, da ex topo di biblioteca e novello dottore in architettura quale lui è, decide di prendere sulle proprio spalle il compito di dirigere l'azienda familiare. Dirigere significa anche cimentarsi in prima persona nel duro lavoro manuale, cercando di onorare il pensiero del padre, per il quale i valori importanti erano forza di volontà e umanità.
Per rispettare la prima, quindi, si sottopone ad ogni fatica possibile, rifiutando aiuti esterni ma contando solo su di sé e sui pochi fidati collaboratori di cui è composta l'azienda. Si potrebbe pensare qui di trovarsi di fronte al classico spirito di sacrificio della cultura giapponese ma io credo che sia qualcosa di molto più alto, qualcosa di relativo alla ricerca del senso della vita. Che, appunto, pare essere una medaglia di cui una faccia è la forza di volontà, l'altra è l'umanità. Qui si apre la parte più bella del racconto. Shigeji, orfano, trova ad un tratto una nuova famiglia composta tutta da orfani.



Innanzitutto Ritsu, una ventenne che conosce fin dall'infanzia, rimasta anch'essa senza genitori e assunta dal braccio destro di Shigeji per badare alle faccende domestiche. Ritsu è l'altra protagonista del manga, ritratta da Mochizuki in tanti primi piani nei quali traspaiono tutte le emozioni della giovane. Ritsu ha una forte personalità, pur sottovalutando spesso le proprie capacità. Decide autonomamente di ospitare cinque ragazzini dell'orfanotrofio bruciato anch'esso dopo l'incendio. Ecco quindi la famiglia del tutto sui generis che si viene a creare: persone molto diverse fra loro, ma accomunate dalla perdita delle proprie radici e, proprio per questo, rese più forti dalla condivisione del proprio dolore. Condivisione che per alcuni, come Shigeji, non è trasmessa dalle parole bensì dai fatti, dalla sua generosa e sincera ospitalità. Per altri, come i ragazzini, è invece urlata ed espressa dalla loro irrefrenabile e, anche in alcuni casi difficile da gestire, vitalità. E poi ci sono Ritsu e le sue ciglia corrucciate, segno manifesto dei suoi pensieri, del suo continuo rimuginare, rivolto soprattutto verso Shigeji e la bella e attraente Yuko, figlia del viscido direttore della banca che concede i prestiti a Shigeji, e tenera e capace insegnante dei ragazzini. Dentro la testa di Ritsu il confronto con Yuko è perso in partenza: il bagliore di Yuko la getta in un cono d'ombra, rendendola invisibile agli occhi, quasi sempre invisibili, di Shigeji. Questo è quanto pensa Ritsu ed è il rovello che accompagna il lettore fino alla rivelazione svelata nell'epilogo.



La linea chiara di  Mochizuki esalta la precisione dei volti e delle emozioni trasmesse dai personaggi di questa storia il cui soggetto originale di Shugoro Yamamoto era ambientato in epoca edo. Aver spostato il racconto ai giorni nostri ha reso più fresca la narrazione degli sforzi quotidiani che i protagonisti devono compiere per portare avanti le proprie vite, intrecciate in questa famiglia atipica ma molto più reale e sincera di tante famiglie cosiddette tradizionali. La semplicità e immediatezza del racconto ha convinto i giurati del Festival International de la Bande Dessinée d'Angouleme ad assegnare a Chiisakobe il premio quale migliore serie straniera del 2017. La J-Pop la ha pubblicata in Italia in quattro volumi da febbraio ad agosto 2018 e io la ho letta durante queste feste natalizie. Mi son fatto un ottimo regalo.

giovedì 27 dicembre 2018

Zerocalcare al Sincrotrone


Per chi, come me, ha studiato ingegneria elettronica a Trieste, il Sincrotrone di Basovizza è sempre stato un luogo da guardare con rispetto e adorazione. Lo popolavamo di geniali ricercatori, fisici ed ingegneri, che piegavano le parti più infinitesimali della materia alla realizzazione di complicatissimi esperimenti scientifici. Sognavamo di poter essere un giorno anche noi fra coloro che avrebbero progettato nuovi delicati dispositivi di controllo del flusso di elettroni sparati ad altissima velocità all'interno di questo enorme anello. Mai però mi ero immaginato nelle vesti di un celerino che irrompe dentro l'anellone sdraiato a manganellare gli elettroni più sfaticati, esausti dalla corsa a folle velocità cui sono costretti. Solo una mente brillante e creativa come quella di Zerocalcare avrebbe potuto rendere in modo così divertente l'idea alla base del funzionamento di Elettra.
Educazione subatomica, il racconto a fumetti che è nato dalla visita che l'autore romano ha fatto quest'estate alla struttura scientifica costruita sul Carso triestino, è contenuto in The Light Issuel'ultimo numero di Comics&Science, la rivista bimestrale edita dal Cnr, curata da Roberto Natalini e Andrea Plazzi. La filosofia che sta alla base della pubblicazione è quella di raccontare delle storie a fumetti interessanti e divertenti che stimolino poi il lettore ad approfondire gli argomenti scientifici di alto livello che vi sono trattati. The Light Issue affronta il tema delle fonti di luce avanzata, quali sono appunto l'anello di accumulazione Elettra e il laser a elettroni liberi Fermi, entrambi realizzati nella grande struttura tecnico-scientifica che si trova a Basovizza, in provincia di Trieste.


Zerocalcare cerca di trasmettere al lettore il principio di funzionamento di Elettra attraverso delle metafore molto divertenti e dei colpi di scena esilaranti. Al solito non nasconde tutto il suo senso di inadeguatezza e la paura di non riuscire a trasmettere il significato e il valore di quanto appreso durante la visita. Ma in realtà il racconto raggiunge il suo scopo, ovvero quello di restituire al lettore l'entusiasmo e la meraviglia con cui i ricercatori indagano nella materia su scale microscopiche, grazie alla sorgente di luce pura di cui dispongono. E, soprattutto, trasmette il senso della ricerca scientifica, ovvero quello di ampliare gli orizzonti della conoscenza umana dell'universo, di allargare la finestra con la quale guardiamo il mondo. Questo è il messaggio che viene raccolto alla fine della storia da un'inaspettata uditrice, una possibile scienziata di domani. Zerocalcare accenna anche ai problemi pratici e di budget in cui si devono barcamenare i ricercatori, ma la questione viene posta nel momento sbagliato, quando il Nostro è completamente rapito dai sapori e dagli odori di una prelibata lubjanska.


Se Educazione subatomica aggancia il lettore facendo intuire l'importanza e il fascino del lavoro svolto al Sincrotrone, sono poi i ricchi redazionali dei ricercatori dell'Istituto di Struttura della Materia del CNR e del Centro di Ricerca di Elettra ad approfondire i temi scientifici. Andrea Lausi e Roberto Visentini ci spiegano con semplicità e precisione i principi di fisica quantistica che stanno alla base del funzionamento dell'anello di accumulazione e del laser e la loro importanza per la ricerca e l'industria. Oltre ad una divertente intervista a Zerocalcare, Mattea Carmen Castrovilli affronta la doppia natura onda-particella della luce, e Daniele Catone ci parla della stressante ma gratificante vita del ricercatore. Infine Gabriele Bianchi di OrgoglioNerd.it ci racconta in un bellissimo articolo l'intrinseca imperfezione del metodo scientifico, nella sua ricerca asintotica, esperimento dopo esperimento, della verità.
Impreziosiscono la rivista le due divertenti tavole a fumetti di Davide La Rosa intitolate Alberi subatomici e pentole quantiche, le vignette umoristiche di Walter Leoni e l'improbabile edicola scientifica di Lercio.it.

domenica 23 dicembre 2018

Sei vite del Sessantotto, secondo Gianfranco Manfredi


I modelli, le categorie servono a semplificare la vita, a renderci più semplici i fenomeni complessi. Fenomeni di qualsiasi tipo, fisico, chimico, storico, economico, e via dicendo. Senza modelli non riusciremmo a farci un'idea sommaria della realtà e, quindi, a viverci dentro ma, nello stesso tempo, i modelli non bastano. Bisogna essere coscienti che la vita è molto più varia e complicata. La realtà che ci circonda e i fatti del passato sono analizzabili sì scientificamente ma poi c'è sempre, e per fortuna, la storia del singolo, la vita che si discosta dal modello e che ci affascina per la sua unicità.
Gianfranco Manfredi sembra aver seguito questa bussola per ideare e scrivere la nuova serie a fumetti Cani sciolti, edita dalla Sergio Bonelli Editore all'interno della nuova etichetta Audace. Son trascorsi cinquant'anni dal Sessantotto e le celebrazioni, gli approfondimenti e i dibattiti su quel fenomeno storico hanno percorso tutto il 2018. La casa editrice milanese ha sfatato un suo tabù, decidendo per la prima volta di dedicare una serie a fumetti ad un periodo storico così vicino a noi, avvenuto (anche) in Italia e che ha ancora conseguenze e il cui dibattito, politico e non, è ancora vivo e vivace tuttora. Lo ha fatto nel modo giusto, affidando la penna ad uno sceneggiatore di fumetti che fu un protagonista diretto di quegli anni, ad uno che il Sessantotto (e poi il Settantasette) lo ha fatto sul serio. 
Gianfranco Manfredi aveva vent'anni all'epoca ed era uno studente universitario nella Milano del 1968. Si trovava al centro, quindi, dei fatti. Chi meglio di lui poteva raccontarli? Ma c'è modo e modo di affrontare un tema così complesso e variegato quale il Sessantotto. Lo schema scelto da Manfredi è quello di narrare delle esperienze di singoli protagonisti immaginari (ma ispirati ad esperienze reali) di quegli eventi. Sei amici, sei vite che si incontrano durante le occupazioni delle aule universitarie e che proseguono la loro amicizia negli anni a venire. Quattro ragazzi e due ragazze di estrazione borghese (chi più alta, chi più bassa) perché allora l'Università non era fatta per i figli dei proletari, ciascuno con le proprie caratteristiche che abbiamo appena iniziato a conoscere grazie ai due numeri pubblicati finora, Sessantotto e Dove siete?, disegnati da Luca Casalanguida.




Il primo albo ci introduce nel vivo delle manifestazioni studentesche e occupazioni delle aule universitarie. Ci fa respirare subito l'aria ribelle che caratterizzava quella stagione. Vediamo gli eventi attraverso gli occhi dei sei amici, tutti diversi l'uno dall'altro, ma tutti accomunati dal desiderio di cambiare le cose. Sei cani sciolti anticonformisti che non appartengono a nessuno schieramento politico particolare e che non vogliono più sottostare alle regole che la società ha imposto loro fino a quel momento: vogliono modificarle, ribaltarle a partire dal luogo che vivono ogni giorno, l'Università.
Il secondo albo è ambientato vent'anni dopo, quando un fotografo che ritrasse insieme i sei amici durante una manifestazione, realizza una mostra fotografica rievocativa del Sessantotto e si chiede che fine abbiano fatto quei sei giovani. Viene affrontato quindi il tema del ricordo, del dibattito, che ha caratterizzato anche il 2018, di come si può ripensare e affrontare dopo tanti anni un evento storico, i cui protagonisti sono ancora vivi e attivi nella società. Ed è inevitabile che i protagonisti del tempo di pongano la domanda su come siano cambiati, cosa sia rimasto dello spirito del tempo e quale risultato abbia prodotto nella società. Ma, di nuovo, Manfredi non ci dà una risposta bensì ci offre il racconto di sei vite, a distanza di vent'anni, ciascuna diversa dall'altra.




Centrale nell'albo è poi il confronto fra uno dei protagonisti e il padre, partigiano all'epoca della Seconda Guerra Mondiale. Un confronto fra due generazioni ribelli distanti temporalmente poco più di vent'anni: la Resistenza e il Sessantotto che si parlano attraverso due storie particolari. Un padre che ha dovuto uccidere, giovanissimo, altri uomini e un figlio che si è interrogato sulla possibilità di prendere in mano un'arma. Un dialogo intimo e sincero fra due persone che si aprono l'un l'altra su un tema molto delicato e difficile da rievocare.
L'interesse che mi ha suscitato questa serie a fumetti è andato decisamente oltre le mie aspettative, proprio perché Gianfranco Manfredi ha trovato la formula giusta per raccontare quel periodo che noi, nati negli anni successivi, non abbiamo potuto vivere direttamente e che abbiamo conosciuto attraverso libri, trasmissioni televisive, inchieste giornalistiche che sono state o troppo celebrative e retoriche da una parte, o troppo riduttive e schematiche dall'altra. Raccontare la Storia attraverso le vite di singoli è forse il modo migliore o, comunque, quello che preferisco. E Gianfranco Manfredi ne è maestro.

domenica 16 dicembre 2018

Cinzia, o della lotta quotidiana per essere sé stessi


Rat-Man, per me, è sempre stata una lettura molto piacevole e divertente. Me lo prestava con cadenza settimanale un ex-collega e io restavo rigorosamente folgorato dai colpi bassi che Leo Ortolani inseriva nel bel mezzo della narrazione. Definirle freddure sarebbe riduttivo, perché, molto spesso, erano dei veri colpi di genio: spiazzanti, esilaranti e ficcanti. Ma c'era un altro elemento del mondo di Rat-Man che mi aveva folgorato fin dalla sua prima apparizione: Cinzia. Ben più di un personaggio di contorno, la bionda transessuale era passata nel tempo dal ruolo di mera comparsa a quello di imprescindibile co-protagonista. Ortolani ha deciso quindi di dedicarle un libro e una storia tutta per lei, perché se lo meritava, lo esigeva, aveva tutti i requisiti per poter assurgere a protagonista di un romanzo grafico. La Bao Publishing ha dato alle stampe questo volume, elegante quanto lo è Cinzia, svettante in copertina sul tacco dodici e fasciata da una sexy mise leopardata.
Leggibile anche da chi non abbia mai letto Rat-Man, Cinzia è un fumetto che non si dimentica. Leo Ortolani ha creato una storia che ci restituisce Cinzia in tutta la sua umana quotidianità. La vediamo affrontare il pregiudizio dei perbenisti nella difficile ricerca di un posto di lavoro. Patiamo insieme a lei quando si innamora perdutamente di un uomo apparentemente impossibile. Rivediamo noi stessi nello spasmodico sforzo di piacere a tutti i costi, di compiacere gli altri per ricevere una carezza, un riconoscimento, uno sguardo privo di giudizio. Ci affliggiamo e ci riconosciamo quando mente a se stessa, alla sua natura pur di essere amata. Ma la bellezza di questo fumetto è che mai si cade nel dramma; Ortolani ha il dono di alternare sempre momenti pesanti con i suoi classici colpi di genio comico, che hanno la capacità di risollevarti, anzi, di non farti mai cadere nella tristezza. Il talento che ha l'autore è sapere mantenere questo equilibrio fino all'ultima pagina, girata la quale, ti fermi un po' a pensare. E capisci che hai appena letto un fumetto che dell'ironia fa la sua arma vincente; vincente verso tutti i gretti moralismi che avvelenano la nostra vita, che operano costantemente per non farci essere quello che siamo.
Cinzia è tutti noi, una fragile persona coraggiosa, che lotta ogni giorno contro le sue paure per non affogare nella melma del pregiudizio. Che si accetta e, alla fine, si mostra per quello che veramente è: né uomo, né donna, ma solo e solamente Cinzia, nella sua inimitabile unicità. In questo periodo di dilagante ostilità e rifiuto dell'altro, di mancanza di rispetto verso chi non si uniforma alla norma e alla tradizione, Cinzia diventa un fumetto importante e necessario, come afferma Licia Troisi nella prefazione. Ed è così importante perché usa gli strumenti della sincerità, dell'amore e dell'ironia che, a ben vedere, sono le sole capaci di spazzare via la nube tossica del pregiudizio.

domenica 9 dicembre 2018

Mister No Revolution


Cosa succede se prendi un personaggio dei fumetti e lo sposti nel tempo, se collochi le sue avventure in un altro contesto storico?  Fai un esperimento interessante, delicato e sfidante. Soprattutto se quel personaggio è un caposaldo della casa editrice in cui lavori e del fumetto italiano in generale. Mister No esordì nelle edicole nel 1975, primo antieroe di casa Bonelli, creatura di Guido Nolitta, nome d'arte di Sergio Bonelli. Per tanti versi simile a lui, per molti altri così diverso. Comunque da lui tanto amato. E così anche dai lettori, che apprezzarono le avventure ambientate nell'Amazzonia degli anni Cinquanta di questo scanzonato amante della buona musica, delle sane bevute e delle belle donne, che si guadagnava da vivere scarrozzando gente di tutti i tipi in tutto il Sud america. Finendo immancabilmente per cacciarsi in un sacco di guai. Lui, che di guai e di esperienze terribili, aveva avuto la nausea, tanto da lasciare il cosiddetto mondo civilizzato occidentale per riparare in un angolo sperduto del mondo, Manaus, città nel cuore dell'Amazzonia, a ridosso di una Frontiera con un vasto territorio in gran parte inesplorato.
Le strade difficili di New York e diversi teatri insanguinati della Seconda Guerra Mondiale costituiscono il contesto dal quale fugge Jerry Drake, conosciuto da tutti come Mister No. Michele Masiero ha spostato la nascita del Nostro venticinque anni più avanti. In questo modo è nella New York del 1967 che vediamo Jerry perdere il lavoro di cameriere in una bettola per aver fatto a pugni in difesa di una ragazza.



Si tratta del primo elemento che contraddistingue il personaggio: di fronte alla richiesta di aiuto da parte di una persona in difficoltà, Jerry non si volta dall'altra parte ma interviene senza pensarci due volte. La storia con la ragazza continua e l'amore (che intuiamo difficile) che ne nasce vien mostrato in diversi flashback dagli splendidi disegni di Matteo Cremona. La narrazione presente è collocata qualche mese più avanti, nel 1968, nei tragici scenari della sporca guerra del Vietnam. Jerry e i suoi commilitoni si muovono nella giungla, vengono attaccati, raggiungono un villaggio devastato già in mano americana, dove è chiaro l'eccesso di violenza commesso dall'esercito.



Un secondo elemento del personaggio emerge in quest'occasione: di fronte alla possibilità di stare zitti o parlare di quanto visto coi propri occhi, Jerry non ha dubbi sul fatto che sceglierà la seconda opzione, infischiandosene delle conseguenze. L'amore della verità, il rispetto della vita altrui, l'insofferenza nei confronti delle ingiustizie, l'antimilitarismo si rivelano in un'unica vignetta. Qui c'è tutto Mister No. C'è tutto il No che compone il suo soprannome.
Mi sembra perfetto che Mister No revolution sia ospitato dall'Audace, l'etichetta che fa rivivere uno dei suoi personaggi storici nello spirito originario della casa editrice milanese. Il lavoro compiuto da Michele Masiero ai testi, Matteo Cremona ai disegni, Luca Saponti e Giovanna Niro alla colorazione ed Emiliano Mammucari alla copertina, fa di questo albo, intitolato Brucia, ragazzo brucia!, un esperimento fresco e originale, dalle prospettive interessanti e capace di attrarre tanto i vecchi lettori, che già hanno conosciuto il Mister No di Nolitta, quanto quelli nuovi: in fondo, aver già amato il Jerry Drake del 1975, non è un prerequisito indispensabile per innamorarsi di quello del 2018.

martedì 4 dicembre 2018

Il Tramezzino di Bacilieri



Dopo Fun e More fun, Paolo Bacilieri ci trasporta ancora dentro la città che ama: Milano. E lo fa in grande, all'interno della collana Sudaca dell'editore Canicola. Le tavole, in formato A3, ti avvolgono, ti risucchiano dentro le strade di Milano, ti fanno scorrere davanti ai palazzi di vario stile edificati nella città meneghina alcuni decenni fa. Ti fanno capire come Milano fosse un'avanguardia architettonica. Ma il tutto è leggero, perché l'altra protagonista dell'albo è una storia d'amore fra due studenti universitari: lei è Skilla, greca, di famiglia intellettuale, lui è Daddo, milanese, di famiglia alto borghese. Un amore travolgente, vissuto e consumato all'ombra e dentro i palazzi cittadini, testimoni quasi vivi degli amplessi dei due giovani. Amore intenso ma breve, lei torna ad Atene, sconvolta dall'ignoranza di lui riguardo a Mussolini, lui resta col suo cane. Milano e i palazzi sono sempre lì. Profondità e levità. Intersezione fra architetture di cuori e architetture urbane. È Tramezzino.


lunedì 3 dicembre 2018

La Resistenza di Zero


Son seduto su un cubo e fisso la parete di fronte a me. Lunga, alta. Più lunga che alta. E piena di immagini, di manifesti disegnati, disposti uno di fianco all'altro. Sono tutti di Zerocalcare. Sto alla mostra Scavare fossati, nutrire coccodrilli a lui dedicata 
al Maxxi di Roma. E la parete che ammiro è la cosa più bella. Raccoglie il lavoro meno conosciuto di Michele Rech, quello per cui si è attirato, per esempio, le accuse di venduto ai NoTav da parte di quelli che non lo conoscono bene. Da parte di quelli che hanno letto solo i suoi libri stravenduti ma ignorano le sue origini. Origini di ragazzo che le ha prese dalla Forestale al G8 di Genova, che frequenta i centri sociali e che mette il suo talento a servizio di quello in cui crede.


Concerti, campagne, manifestazioni. Cose che non vengono fuori sulla stampa nazionale, ma che restano confinate ad un circuito locale e alternativo. Ci devi stare per saperlo. Oppure vieni a questa mostra, ti siedi sul cubo e guardi uno ad uno i manifesti. E leggi quello che c'è scritto. E scopri che c'è un mondo, piccolo ma c'è, di gente che ci crede e che resiste. Pagando spesso un prezzo molto alto sulla propria pelle. Sproporzionato e invisibile ai più. Menomale che ci stanno quelli come Zero che cercano di farlo emergere. Menomale che ci sta questa mostra. E il catalogo che ti porti a casa. E che puoi anche comprare in edicola. Menomale che ci sta chi resiste, chi ci prova, chi fa quello che dice e dice quello che pensa. Con tante paure e sbagli anche, perché i supereroi non esistono. Ma almeno parla, dice, disegna. E ti fa riflettere. Se trova terreno fertile dall'altra parte. Se trova una condivisione di valori fondamentali. Non serve essere antagonisti dei centri sociali. Basta avere umanità, credere che tutti abbiamo gli stessi diritti ed essere antifascisti. Il minimo sindacale per vivere in uno stato veramente democratico. Anche se adesso non c'è più nemmeno il minimo.


martedì 18 settembre 2018

Trieste e gli 80 anni delle leggi razziali


Il 18 settembre di 80 anni fa Benito Mussolini proclamò la promulgazione delle leggi razziali durante un discorso tenuto davanti ad una plaudente folla oceanica, raccolta in Piazza Unità d'ItaliaTrieste. Sorvolando sulla miseria che caratterizza le esternazioni dell'attuale amministrazione comunale triestina a proposito di una mostra dedicata a questa ricorrenza organizzata da un liceo cittadino, consiglio a sindaco e assessore alla cultura un'utile e interessante lettura.
Nel 2010, il triestino Walter Chendi scrisse e disegnò un toccante racconto a fumetti ambientato in quei tragici giorni: La porta di Sion. Il protagonista è Jacob, un ragazzo triestino come tanti, che il 18 settembre del 1938 in Piazza Unità d'Italia scopre però di essere diverso dagli altri. Dopo il discorso del Duce molti ebrei, fra cui Jacob, si sentono come se avessero tolto loro le scarpe. Il ragazzo si vede scalzo: la nudità dei suoi piedi sottolinea la sua diversità e il dolore che lo accompagnerà ad ogni passo. Il tradimento di una patria che non lo accetta più e l'amore verso una giovane ebrea polacca lo porterà a seguire il destino di tanti altri ebrei dell'Europa centro-orientale (ben 160 mila) che, negli anni Trenta, fuggirono dalle persecuzioni salpando dal porto di Trieste verso la terra promessa, rappresentata dalla Palestina.

Una storia personale di un ragazzo che diventa adulto nel giro di due settimane, lasciandosi alle spalle il bambino che era e la vita spensierata di garzone di macelleria. Jacob ha trovato l'amore e una nuova patria felice di accoglierlo. Non altrettanta fortuna ebbero migliaia di ebrei italiani che vennero privati prima delle scarpe, poi della dignità e infine della vita.
Tutto ebbe inizio il 18 settembre del 1938, a Trieste, in Piazza Unità d'Italia.



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