Infermiere e dottori entravano e
uscivano continuamente dalla porta sul reparto maternità alla sua
destra. Andrea, sprofondato su una scomoda sedia di plastica,
guardava fisso davanti a sé gli ascensori che si aprivano e
chiudevano, annunciati da una fastidiosa voce elettronica. Una mosca
volò incrociando il suo sguardo perso. Per un momento si distrasse e
ne seguì la traiettoria, fino a che l'insetto si posò sulla sedia
vuota accanto a lui. Il giornale strappato che teneva in mano atterrò
con un tonfo secco sull'indifesa bestiolina. Le persone attorno a lui
fecero silenzio e lo guardarono severe. Indifferente, si alzò,
raccolse da terra il giornale e l' immobile mosca e li gettò con
noncuranza nel cestino colmo di rifiuti. Pazienti, visitatori e
personale ospedaliero ripresero a parlare e a muoversi. Andrea fece
scivolare le mani sulle guance tergendosi il sudore. Si risedette e,
a testa china con le braccia appoggiate alle ginocchia, prese a
fissare un punto dello sporco pavimento sotto di sé.
“Oh, eccoti qua! Ciao! Allora, come
va?” una voce familiare e una pacca sulla spalla distolsero Andrea
dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo fino ad intercettare la faccia
rubiconda di suo fratello. Il sorriso di Michele gli diede un po' di
calore. Si alzò e lo abbracciò.
“Ma sei tutto sudato! Con il freddo
che fa fuori? Da quando sei qua? Come sta Antonella?” disse Michele
allontanando da sé Andrea per guardarlo bene negli occhi. Nei
secondi che precedettero la risposta, il sorriso del fratello si
tramutò in un'espressione preoccupata. Andrea si strinse le guance
fra le mani, lisciandosi la barba, vecchia di un paio di giorni.
“Non so come sta. Sono arrivato
mezz'ora fa dall'ufficio, ma nessuno qui mi dice niente” furono le
parole che Andrea pronunciò meccanicamente. Abbassò lo sguardo a
terra mentre Michele ribatté:
“Come non sai niente? E Antonella
come ci è arrivata in ospedale?” Michele non si rese conto di aver
alzato il tono della voce.
Andrea si strinse ancora la testa fra
le mani mentre, con un filo di voce, rispose al fratello.
“Non lo so come ci sia arrivata. Mi
ha telefonato uno dell'ospedale dicendo che era qui, al reparto
maternità. E che stava per partorire...”.
Michele corrugò la fronte e soffermò
lo sguardo sulle spalle cadenti di Andrea, sui pochi capelli
spettinati e sul lembo sinistro della camicia fuori dai pantaloni. Lo
invecchiavano di almeno dieci anni.
“Ma che cazzo fai? Son tre giorni che
Antonella è ferma a letto e tu te ne stai in ufficio fino a
mezzanotte?” gridò prendendo il fratello per le spalle.
Andrea si giustificò:
“Avevo un lavoro da finire. Dovevo
consegnare una versione software entro stasera. Era importante. E
poi domani è il primo novembre, l'ufficio è chiuso. Non potevo..”
Michele non lo fece finire. Colpì Andrea con uno schiaffo. Il
fratello cadde a terra e, di nuovo, tutta la gente attorno ammutolì.
Andrea si rialzò, si strinse le guance fra le mani e tornò a sedere
a capo chino. Lo stupore dei presenti durò solo alcuni secondi.
Ritornò il consueto vociare e l'andirivieni costante di tutte le
sale d'attesa. Michele raggiunse a lunghe falcate la porta del
reparto e sparì nel buio corridoio che la seguiva.
Andrea non se ne accorse nemmeno.
Quando sollevò la testa in cerca del fratello, vide due dottori che
bevevano un caffè. Un'irresistibile voglia lo fece alzare fino alla
macchina automatica posta alla sinistra della grande sala. La
raggiunse e frugò nelle tasche in cerca di qualche moneta. Un
fazzoletto sporco gli cadde a terra insieme al suo tesserino
magnetico aziendale. Raccolse gli oggetti e si soffermò a guardare
la foto sul badge, ormai logoro. Lo ritraeva giovane, sorridente e
con una folta chioma bionda. Ributtò tutto in tasca, spinse la
moneta nella fessura e attese il suo caffè. Cerando di ricordare se
fosse il nono o il decimo della giornata, si strinse le guance fra le
mani che continuavano a sudare. Il caffè era uno schifo, ma Andrea
ormai non ci faceva più caso. Da un paio d'anni la caffeina aveva
sostituito la nicotina come eccitante nelle lunghe serate passate in
ufficio davanti al pc. I panini di plastica erogati dai distributori
automatici lenivano i morsi della fame che Andrea pativa fra una
compilazione e l'altra del software. L'alito non ne aveva tratto
giovamento e, tanto meno, il girovita.
Schiacciò il bicchiere per buttarlo
nel cestino e alcune gocce di caffè, intrise di fondi, schizzarono
sulla manica della camicia. Andrea non ci badò e si diresse alla sua
sedia. Lungo il percorso si accorse che la porta del reparto davanti
a sé si spalancò sul volto di Michele. Gli occhi del fratello non
tradirono nessuna emozione quando dalla sua bocca uscirono quattro
parole.
“È nato il bambino.” Poi, infilò
la porta dell'ascensore alla sua destra e sparì.
Andrea si strinse le guance fra le
mani. Gli sembrò di avere dei pesi legati alle caviglie quando
spostò un piede davanti all'altro in direzione del reparto. Varcò
la soglia e chiese ad un'infermiera notizie di sua moglie.
Un braccio
teso indicò una direzione in fondo al corridoio. Andrea raggiunse il
punto indicato trascinando i piedi. Si girò a destra e vide una
stanza separata da un vetro. Al di là un'infermiera di spalle
sembrava tenere fra le braccia qualcosa. Andrea si chiuse il volto
fra le mani. Si avvicinò e bussò sul vetro.
L'infermiera si girò e il suo sorriso
si spense in un attimo. Andrea la guardò, si premette le guance fra
le mani sudate e abbassò lo sguardo sul piccolo panno bianco che la
donna teneva tra le mani. Da uno spiraglio spuntava una piccola testa
con una folta chioma corvina. Il bimbo era nero.
Andrea si portò le mani sulla faccia,
questa volta a coprire gli occhi. Si voltò e se ne andò.
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