Ferro affrettò il passo. Un piede dietro l'altro, sguardo basso sul marciapiede, viso nascosto dal bavero rialzato del cappotto. Entrò nel parco da un ingresso secondario, sfiorando una mamma che teneva per mano la sua bambina. Il rumore della ghiaia smossa dai suoi passi gli dette fastidio, si sentì gli occhi di tutti puntati su di lui. Ma si rese subito conto che tutti se ne infischiavano beatamente del suo ingresso. Quel sole inatteso di novembre aveva portato molta gente nel parco e, per qualche ora, tutti si dimenticarono della guerra, della fame e dei tedeschi. Ma Ferro no.
Si diresse al posto stabilito, una
piccola radura circondata da siepi e alberi, adocchiò la panchina
sul lato ma la vide occupata. Sputò a terra contrariato. Una giovane
coppia di adolescenti si scambiava effusioni.
“Che cazzo hanno da baciarsi” si
disse “Lui avrebbe già l'età per essere dei nostri. E lei farebbe
meglio a starsene a casa, con tutti quei porci fascisti che girano”
Si domandava come farli andar via
quando notò l'Attrice avvicinarsi ai due piccioncini. La vide
chinarsi verso di loro e scambiare qualche parola. Poco dopo i due
ragazzi si alzarono con uno sguardo atterrito e corsero via. Ferro si
avvicinò e si sedette sulla panchina ormai liberata a fianco
dell'Attrice.
“Attrice, che cazzo hai detto ai due
mocciosi per farli andar via così?”
Le labbra della donna, truccate di
rosso come sempre, si mossero in quel modo che turbava Ferro.
“Ho detto di essere una della milizia
e che, se non sloggiavano, li avrei portati in commissariato”
L'espressione divertita dell'Attrice
calmò Ferro. Ma l'improvvisa serenità durò solo qualche istante.
“Perché cazzo Spartaco ha fissato
l'appuntamento qui? È pericoloso”
“Tutt'altro” ribatté la donna
accavallando le gambe sotto il cappotto verde “spesso i luoghi più
frequentati sono quelli più sicuri. Nessuno farà caso a noi”
“E dove cazzo è?” disse ancora
Ferro “è in ritardo”
Si alzò, si accese una sigaretta e
cominciò a camminare dalla panchina verso il monumento a pochi metri
da lui. Il busto in bronzo di un insignificante poeta locale lo stava
guardando con aria di sfida. Ferro sostenne lo sguardo, sputò a
terra e si voltò.
“Stai tranquillo che arriverà a
momenti” rispose l'Attrice mentre si aggiustava una ciocca di
capelli rossi sulla fronte. A Ferro piaceva stare con l'Attrice.
Certo, avrebbe preferito una stanza di un appartamento, con nessun
altro fra i piedi. Ma non erano quelli i tempi per pensare a certe
cose. Ferro era concentrato sul prossimo obiettivo. Un obiettivo alla
volta, un passo dopo l'altro, senza pensare troppo al futuro. Questa
era la politica di sopravvivenza del gappista Ferro. E per
sopravvivere non c'era spazio né per il sesso, né tanto meno per
l'amore. Quindi riguadagnò la panchina guardando l'Attrice solo come
un compagno di battaglia, né uomo né donna. Quelle labbra rosse,
però, e il gesto con cui si sistemava i capelli vanificavano ogni
sforzo.
“Eccolo” la voce dell'Attrice
distrasse Ferro da quei pensieri. Un uomo stretto in una giacca di
una misura più grande avanzava verso di loro zoppicando. Spartaco si
sedette fra i due compagni portando con sé il suo consueto odore di
tabacco di pipa.
Ferro si domandò per l'ennesima volta
come diavolo facesse a trovare sempre quel prezioso tabacco. Forse al
mercato nero? Un regalo di qualche vecchio parente? Ma si fidava
ancora dei parenti? No, impossibile. Doveva averne una riserva
nascosta da qualche parte, che non voleva condividere coi compagni.
Ma non c'era nessuno che fumava la pipa fra loro. Quindi nessun
problema.
“Come mai zoppichi? Cosa ti è
successo?” Ferro constatò che la domanda dell'Attrice era molto
più pertinente e importante di tutti quegli stupidi pensieri che
affollavano la sua mente.
“Sono appena scivolato su un
marciapiede qua vicino” rispose indolente Spartaco.
“Cazzo, Spartaco. Hai fatto centinaia
di capriole e salti in tutte le nostre azioni e non ti è mai
successo nulla. E ora mi scivoli sul marciapiede?” Ferro si alzò
stizzito e gettò la sigaretta verso il monumento del poeta.
“Stai calmo. Non è niente. Fra un
po' mi passa” disse Spartaco prendendo la pipa dalla tasca della
giacca.
Quel gesto lento e le parole tranquille
di Spartaco innervosirono ancor di più il compagno.
“Calmo un cazzo! Già trovarsi qui è
pericoloso. In più tu mi arrivi zoppo. E se ci beccano? Come fai a
scappare? Ti portiamo noi sulle spalle? Dovevi tornartene al tuo
rifugio. E avremmo fissato un altro appuntamento.” Ferro
gesticolava e camminava a larghi passi fra la panchina e il busto del
poeta. Si fermò per cercare un'altra sigaretta nella tasca, ma non
la trovò. Diede un calcio alla ghiaia sotto i suoi piedi e sputò
per terra.
“Se continui ad agitarti così,
attirerai l'attenzione” disse placido Spartaco “Quindi calmati, e
torna a sederti”
Ferro infilò le mani nelle tasche del
cappotto e si lasciò cadere, imbronciato, sulla panchina. Dalla sua
visuale non poteva notare il piccolo livido che Spartaco aveva sulla
guancia destra. L'Attrice, seduta dall'altra parte, vide un raggio di
sole illuminare quel segno scuro sul volto, ma non disse nulla.
“Chi dobbiamo ammazzare questa
volta?” fu la domanda della donna.
Spartaco diede ancora qualche boccata
alla pipa prima di rispondere. E la risposta non piacque a nessuno.
“Sei pazzo? Ma è sempre circondato
da decine di soldati.” gridò Ferro voltandosi verso il compagno
che ignorò tutte le successive parole che vomitarono dalla bocca di
Ferro. Anche l'Attrice si era stupita della risposta di Spartaco ma
aveva mantenuto il suo sguardo concentrato su quel livido. C'era
qualcosa che non la convinceva. Non era proprio un livido. Era una
ferita, un taglio. Un piccolo taglio provocato da una lama qualche
giorno prima. Si stava già cicatrizzando, infatti, ma la piccola
tumefazione circostante rivelava che non era passato tanto tempo.
Fece un paio di conti. Non vedevano Spartaco da una settimana. E
sette giorni fa Spartaco non zoppicava e il suo volto era liscio e
privo di lacerazioni.
Il fumo usciva dalla pipa ad intervalli
regolari. L'Attrice spostò l'attenzione sulla mano che stringeva la
pipa. L'unghia del pollice mancava. Una crosta scura di sangue
rappreso misto a carne indurita la sostituiva. Spartaco si voltò
verso l'Attrice. Gli sguardi si incrociarono. Ferro sproloquiava
camminando avanti e indietro fra il busto e la panchina. Spartaco
chiuse gli occhi e rigirò la testa a guardare un punto indistinto
davanti a sé. La pipa dentro e fuori dalla sua bocca. Con
regolarità.
Poi si fermò. Abbassò il busto in
avanti e diede piccoli colpi sul terreno per far uscire quel poco di
tabacco che era rimasto nella pipa. Due spari risuonarono a spezzare
ogni altro rumore. Spartaco vide cadere davanti a sé il corpo di
Ferro. Il volto del compagno ad un metro dal proprio. Gli occhi
spalancati e increduli a cercare una risposta in quelli di Spartaco.
Questi ruotò la testa a destra e vide l'Attrice alzarsi e correre
verso un cespuglio a fianco della panchina. Solo due passi e altri
due spari. Guardò l'Attrice cadere faccia a terra, un rivolo di
sangue uscì dall'orecchio a bagnare la ghiaia.
Spartaco raddrizzò il busto, si alzò
dalla panchina e fece un passo in direzione del monumento al poeta.
Un ufficiale tedesco stava in piedi davanti a lui, chiuso in un
pastrano lucido. I raggi del sole si riflettevano sulle lenti dei
piccoli occhiali. Nella mano destra una pistola, nell'altra una pipa.
Entrambe fumanti.
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