mercoledì 22 maggio 2013

La pipa


Ferro affrettò il passo. Un piede dietro l'altro, sguardo basso sul marciapiede, viso nascosto dal bavero rialzato del cappotto. Entrò nel parco da un ingresso secondario, sfiorando una mamma che teneva per mano la sua bambina. Il rumore della ghiaia smossa dai suoi passi gli dette fastidio, si sentì gli occhi di tutti puntati su di lui. Ma si rese subito conto che tutti se ne infischiavano beatamente del suo ingresso. Quel sole inatteso di novembre aveva portato molta gente nel parco e, per qualche ora, tutti si dimenticarono della guerra, della fame e dei tedeschi. Ma Ferro no.
Si diresse al posto stabilito, una piccola radura circondata da siepi e alberi, adocchiò la panchina sul lato ma la vide occupata. Sputò a terra contrariato. Una giovane coppia di adolescenti si scambiava effusioni.
“Che cazzo hanno da baciarsi” si disse “Lui avrebbe già l'età per essere dei nostri. E lei farebbe meglio a starsene a casa, con tutti quei porci fascisti che girano”
Si domandava come farli andar via quando notò l'Attrice avvicinarsi ai due piccioncini. La vide chinarsi verso di loro e scambiare qualche parola. Poco dopo i due ragazzi si alzarono con uno sguardo atterrito e corsero via. Ferro si avvicinò e si sedette sulla panchina ormai liberata a fianco dell'Attrice.
“Attrice, che cazzo hai detto ai due mocciosi per farli andar via così?”
Le labbra della donna, truccate di rosso come sempre, si mossero in quel modo che turbava Ferro.
“Ho detto di essere una della milizia e che, se non sloggiavano, li avrei portati in commissariato”
L'espressione divertita dell'Attrice calmò Ferro. Ma l'improvvisa serenità durò solo qualche istante.
“Perché cazzo Spartaco ha fissato l'appuntamento qui? È pericoloso”
“Tutt'altro” ribatté la donna accavallando le gambe sotto il cappotto verde “spesso i luoghi più frequentati sono quelli più sicuri. Nessuno farà caso a noi”
“E dove cazzo è?” disse ancora Ferro “è in ritardo”
Si alzò, si accese una sigaretta e cominciò a camminare dalla panchina verso il monumento a pochi metri da lui. Il busto in bronzo di un insignificante poeta locale lo stava guardando con aria di sfida. Ferro sostenne lo sguardo, sputò a terra e si voltò.
“Stai tranquillo che arriverà a momenti” rispose l'Attrice mentre si aggiustava una ciocca di capelli rossi sulla fronte. A Ferro piaceva stare con l'Attrice. Certo, avrebbe preferito una stanza di un appartamento, con nessun altro fra i piedi. Ma non erano quelli i tempi per pensare a certe cose. Ferro era concentrato sul prossimo obiettivo. Un obiettivo alla volta, un passo dopo l'altro, senza pensare troppo al futuro. Questa era la politica di sopravvivenza del gappista Ferro. E per sopravvivere non c'era spazio né per il sesso, né tanto meno per l'amore. Quindi riguadagnò la panchina guardando l'Attrice solo come un compagno di battaglia, né uomo né donna. Quelle labbra rosse, però, e il gesto con cui si sistemava i capelli vanificavano ogni sforzo.
“Eccolo” la voce dell'Attrice distrasse Ferro da quei pensieri. Un uomo stretto in una giacca di una misura più grande avanzava verso di loro zoppicando. Spartaco si sedette fra i due compagni portando con sé il suo consueto odore di tabacco di pipa.
Ferro si domandò per l'ennesima volta come diavolo facesse a trovare sempre quel prezioso tabacco. Forse al mercato nero? Un regalo di qualche vecchio parente? Ma si fidava ancora dei parenti? No, impossibile. Doveva averne una riserva nascosta da qualche parte, che non voleva condividere coi compagni. Ma non c'era nessuno che fumava la pipa fra loro. Quindi nessun problema.
“Come mai zoppichi? Cosa ti è successo?” Ferro constatò che la domanda dell'Attrice era molto più pertinente e importante di tutti quegli stupidi pensieri che affollavano la sua mente.
“Sono appena scivolato su un marciapiede qua vicino” rispose indolente Spartaco.
“Cazzo, Spartaco. Hai fatto centinaia di capriole e salti in tutte le nostre azioni e non ti è mai successo nulla. E ora mi scivoli sul marciapiede?” Ferro si alzò stizzito e gettò la sigaretta verso il monumento del poeta.
“Stai calmo. Non è niente. Fra un po' mi passa” disse Spartaco prendendo la pipa dalla tasca della giacca.
Quel gesto lento e le parole tranquille di Spartaco innervosirono ancor di più il compagno.
“Calmo un cazzo! Già trovarsi qui è pericoloso. In più tu mi arrivi zoppo. E se ci beccano? Come fai a scappare? Ti portiamo noi sulle spalle? Dovevi tornartene al tuo rifugio. E avremmo fissato un altro appuntamento.” Ferro gesticolava e camminava a larghi passi fra la panchina e il busto del poeta. Si fermò per cercare un'altra sigaretta nella tasca, ma non la trovò. Diede un calcio alla ghiaia sotto i suoi piedi e sputò per terra.
“Se continui ad agitarti così, attirerai l'attenzione” disse placido Spartaco “Quindi calmati, e torna a sederti”
Ferro infilò le mani nelle tasche del cappotto e si lasciò cadere, imbronciato, sulla panchina. Dalla sua visuale non poteva notare il piccolo livido che Spartaco aveva sulla guancia destra. L'Attrice, seduta dall'altra parte, vide un raggio di sole illuminare quel segno scuro sul volto, ma non disse nulla.
“Chi dobbiamo ammazzare questa volta?” fu la domanda della donna.
Spartaco diede ancora qualche boccata alla pipa prima di rispondere. E la risposta non piacque a nessuno.
“Sei pazzo? Ma è sempre circondato da decine di soldati.” gridò Ferro voltandosi verso il compagno che ignorò tutte le successive parole che vomitarono dalla bocca di Ferro. Anche l'Attrice si era stupita della risposta di Spartaco ma aveva mantenuto il suo sguardo concentrato su quel livido. C'era qualcosa che non la convinceva. Non era proprio un livido. Era una ferita, un taglio. Un piccolo taglio provocato da una lama qualche giorno prima. Si stava già cicatrizzando, infatti, ma la piccola tumefazione circostante rivelava che non era passato tanto tempo. Fece un paio di conti. Non vedevano Spartaco da una settimana. E sette giorni fa Spartaco non zoppicava e il suo volto era liscio e privo di lacerazioni.
Il fumo usciva dalla pipa ad intervalli regolari. L'Attrice spostò l'attenzione sulla mano che stringeva la pipa. L'unghia del pollice mancava. Una crosta scura di sangue rappreso misto a carne indurita la sostituiva. Spartaco si voltò verso l'Attrice. Gli sguardi si incrociarono. Ferro sproloquiava camminando avanti e indietro fra il busto e la panchina. Spartaco chiuse gli occhi e rigirò la testa a guardare un punto indistinto davanti a sé. La pipa dentro e fuori dalla sua bocca. Con regolarità.
Poi si fermò. Abbassò il busto in avanti e diede piccoli colpi sul terreno per far uscire quel poco di tabacco che era rimasto nella pipa. Due spari risuonarono a spezzare ogni altro rumore. Spartaco vide cadere davanti a sé il corpo di Ferro. Il volto del compagno ad un metro dal proprio. Gli occhi spalancati e increduli a cercare una risposta in quelli di Spartaco. Questi ruotò la testa a destra e vide l'Attrice alzarsi e correre verso un cespuglio a fianco della panchina. Solo due passi e altri due spari. Guardò l'Attrice cadere faccia a terra, un rivolo di sangue uscì dall'orecchio a bagnare la ghiaia.
Spartaco raddrizzò il busto, si alzò dalla panchina e fece un passo in direzione del monumento al poeta. Un ufficiale tedesco stava in piedi davanti a lui, chiuso in un pastrano lucido. I raggi del sole si riflettevano sulle lenti dei piccoli occhiali. Nella mano destra una pistola, nell'altra una pipa. Entrambe fumanti.

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