“Domani Baumgartner ci riprova”
disse distrattamente Cassidy, mentre sfogliava un giornale.
“E chi cazzo è Baumgartner?” fu la
stizzita risposta di Brendon.
“È quell'austriaco che si butterà
da 39 mila metri, qui vicino, sopra Roswell” precisò Cassidy.
“Ma chi cazzo se ne frega. Che cazzo
mi rompi con questa storia, adesso?”. Brendon aveva le palle
girate, come sempre in quei momenti.
“Rilassati un po'”. L'invito di
Cassidy fu inutile.
“Mi spieghi come cazzo faccio a
rilassarmi? Siamo qui, in questa merda di macchina, con questo
fottuto caldo, ad aspettare quello stronzo di gioielliere, e dovrei
stare calmo?” Brendon spense la sigaretta, la decima in venti
minuti, e gettò la cicca fuori dalla portiera.
“Comunque l'austriaco lo fa per il
progresso della scienza” continuò incurante Cassidy “dice che
così saranno più sicure le missioni spaziali”.
“Ah, ah” bofonchiò Brendon, e
gettò l'ennesima occhiata alla vetrina della gioielleria dall'altro
lato della strada.
“Sai? Quand'ero bambino dicevo a
tutti che da grande avrei fatto l'astronauta. Facevo un sacco di
disegni con la Luna, Marte, i marziani, e le astronavi. E la maestra
mi incoraggiava sempre”. Cassidy si accigliò e Brendon approfittò
per punzecchiarlo.
“Certo, ti ha incoraggiato fino a
quando non hanno sbattuto il tuo vecchio in prigione. Poi tutti ti
hanno voltato le spalle. E adesso sei qui con me, a fare questa di
vita di merda”.
Cassidy rimase in silenzio. Sprofondò
ancor di più dentro il sedile dell'auto. Ormai la temperatura aveva
raggiunto livelli infernali dentro la vecchia Ford, ma Cassidy
sembrava non accorgersene. La sua testa si trovava a 39 mila metri,
nella stratosfera. Si immaginò come sarebbe apparsa la Terra a
quell'altezza. Si chiese se lo sputo di cittadina in cui era
cresciuto appariva più bello da lassù.
Una gomitata di Brendon riportò
Cassidy sulla Terra.
“Eccolo! È Towers. È uscito come
previsto”. Brendon indicò un uomo che si affrettava sul
marciapiede opposto. Teneva stretta una valigetta alla mano destra.
“Era ora. Facciamola finita, e che
sia l'ultima”. Cassidy prese dal portaoggetti del cruscotto la
pistola e la infilò dietro la schiena. Stretta dalla cintura che gli
cingeva i pantaloni, la canna fredda dell'arma gli trasmise un
brivido. Ma fu solo un momento. Un secondo dopo, le sue scarpe
calpestavano già la strada bollente. Salì sul marciapiede opposto e
si trovò ad una ventina di metri dietro al tipo con la valigetta.
Brendon avviò il motore della Ford e fece un'inversione a U fino a
trovarsi a fianco di Cassidy. Lo superò a velocità ridotta. C'era
poca gente in giro a quell'ora e circolavano poche automobili.
Dovevano fare in fretta. Cassidy accelerò il passo e, quando si
trovò a quattro metri dal gioielliere, indossò il passamontagna ed
estrasse la pistola. Nel frattempo Brendon accostò l'auto a fianco
di Towers e, allungandosi all'indietro con il braccio sinistro,
spalancò la portiera posteriore. Il tipo si voltò verso la Ford e
si impietrì quando vide al volante un uomo a volto coperto. In quel
momento Cassidy fece per avvicinarsi alle spalle di Towers.
Accadde tutto in un paio di secondi.
“Signor Towers!”. Cassidy sentì
dietro di sé una voce femminile mentre stava per puntare la canna
della pistola verso l'uomo. Il gioielliere, riconosciuta la voce
della sua impiegata, si voltò e, d'istinto, alzò il braccio destro.
La valigetta prese Cassidy in piena faccia. Il rapinatore ruzzolò a
terra e la pistola scivolò oltre il marciapiede, sotto la Ford. La
donna gridò. Towers corse via in direzione opposta. Brendon scese
dall'auto e si piegò per cercare l'arma. La trovò, la impugnò e la
rivolse verso il tipo che correva. Cassidy, ancora mezzo inebetito,
vide Brendon sopra di lui con il braccio teso. Incredulo, sentì il
colpo. Si alzò nonostante i capogiri feroci.
“Che cazzo fai?” gridò. Le sue
mani cercarono il corpo di Brendon ma mancarono il bersaglio. Cadde
ancora a terra. Sentì il sapore del sangue mescolarsi dentro la
bocca con quello della polvere. La vista si annebbiò. Dentro le
orecchie grida di donna. Poi si sentì sollevare. Fu spinto sopra
qualcosa di morbido. Le gambe accartocciate in una posa innaturale.
L'auto partì con un interminabile stridio di freni e il corpo di
Cassidy fu sballottato avanti e indietro. Cadde con la faccia rivolta
all'ingiù nello spazio fra il sedile posteriore e quello anteriore.
Aprì gli occhi e vide la foto di Baumgartner sul giornale a pochi
centimetri da lui. L'austriaco sorrideva e lo guardava negli occhi.
Teneva una mano alzata a mo' di saluto. Indossava una tuta
d'astronauta. Era come quelle, si disse Cassidy, che aveva disegnato
mille volte da piccolo. Poi si spense la luce.
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