giovedì 23 settembre 2010

Il cinese: molto più di un noir

Lo ammetto, ero prevenuto nei confronti dei gialli/noir svedesi. Mi stupiva questo improvviso ed eccessivo successo dei romanzi di genere provenienti dal freddo paese scandinavo. Mi dava quasi fastidio il fatto che ormai ovunque si parlasse della trilogia Millennium di Stieg Larsson e tutti facessero a gara nel leggere quei volumoni. Senza parlare della loro versione cinematografica... Ovviamente il mio era un pregiudizio, perché non avevo letto nemmeno uno dei romanzi noir scritti da un autore svedese e, come mi succede spesso quando mi creo un pregiudizio, non vedevo l'ora che la verità me lo confermasse.. o me lo smentisse. Tuttavia non volevo scendere a patti con me stesso e quindi non mi risolvevo a comprarne uno... anche perché mi trovavo così bene con i miei Izzo, Carlotto e il maestro Chandler...
Poi il destino ha scelto per me nelle vesti di un regalo donatomi da una cara amica in occasione del mio compleanno. Vista la stima che nutro per lei e per i suoi gusti letterari, mi son detto: "Beh, se me l'ha regalato lei, qualcosa di buono ci sarà!". E così mi sono avventurato con molta curiosità nella lettura de "Il cinese" di Henning Mankell. Ho già ringraziato la mia amica per il suo dono azzeccato, visto che il romanzo si è rivelato molto più che un noir. La vera protagonista della storia non è Birgitta Roslin, il giudice svedese che mette il naso in un'inchiesta difficilissima e completamente nuova per l'apparentemente tranquillo paese scandinavo. Si tratta infatti di una strage di dimensioni colossali avvenuta in uno sperduto e minuscolo villaggio del nord: 19 vittime trafitte con precisione maniacale da un'affilatissima arma da taglio in un uragano di sangue. Mentre la polizia punta su una pista sbagliata che però tranquillizza l'incredula e spaurita opinione pubblica, i sospetti della giudice, interessata al caso per una sua parentela con una delle vittime, vanno verso un uomo dalla fisionomia cinese. E questo è lo spunto che consente all'autore di affrontare il tema enorme dello sviluppo di quel lontano paese.
La protagonista vera è la Cina, attraverso le vicende di una famiglia, ritratta in due epoche molto distanti nel tempo. La prima generazione vede tre fratelli fuggire dalla schiavitù delle campagne cinesi della metà 800 per finire in un'altra schiavitù nei cantieri di costruzione delle ferrovie nordamericane. Solo un fratello si salverà e farà ritorno, grazie a missionari europei, nella madrepatria per scoprire però di nuovo il disprezzo dell'uomo bianco. La vendetta dovrà attendere molte generazioni fino ai giorni nostri, quando incontriamo Ya Ru, un rampante imprenditore figlio della nuova Cina aggressiva sui mercati. Pochi peli sullo stomaco e molti ammanicamenti nei posti che contano lo hanno reso uno degli uomini più potenti del paese. Hong, la sorella, è anche lei una donna importante del partito, ma, a differenza del cinico fratello, è legata agli ideali antichi della Rivoluzione di Mao, il Grande Timoniere che ha traghettato la Cina dalla barbarie e dalla dipendenza dallo straniero in un futuro radioso. Per Hong, nonostante gli errori compiuti anche da Mao, contano i valori fondanti della sua Rivoluzione: solidarietà ed emancipazione, completamente traditi però dagli uomini nuovi come Ra Yu. Saranno proprio questi valori a renderla amica di Birgitta, una donna che in gioventù aveva un po' fanaticamente inneggiato a Mao e al suo libretto rosso come a strumenti di liberazione del mondo dall'ingiustizia.
Entrambe sono cresciute e sono diventate donne molto diverse, ma fra di loro si stabilisce un rapporto di fiducia e di rispetto. Questo bel ritratto di precaria ma profonda amicizia femminile si staglia sullo sfondo di una Cina in tumultuosa evoluzione, con un piede ancora nel medio evo delle campagne e l'altro nei mercati finanziari e nel capitalismo di stato più sfrenato delle città. Dal suo destino e dalla sua evoluzione dipenderà il futuro di tutto il pianeta, sembra suggerirci Mankell.

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