domenica 27 gennaio 2013

La memoria, tra compassione e lucidità

"Della Shoah si parla troppo perché se ne parla male. Cioè se ne parla in maniera compassionevole per le vittime, mentre la Shoah è un’enorme questione politica e antropologica. Politica, perché pone il problema di come un popolo civilizzato abbia scientemente deciso di eliminarne un altro. Antropologica, perché rappresenta una cesura, una rottura nella civiltà occidentale."
Sono d'accordo con il parere espresso in un'intervista a La Stampa del 22 gennaio da Gorges Bensoussan, storico e responsabile editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi, autore di una sintetica ma assai ben fatta Storia della Shoah che La Giuntina ha appena tradotto e pubblicato in Italia (pp. 168, € 12). Indulgere nella compassione per le vittime non lascia la lucidità sufficiente ad analizzare la questione sotto i due profili che suggerisce lo storico francese. Personalmente mi lascia sempre senza respiro l'idea che la Shoah sia un evento successo poche decine di anni fa, ad opera di persone appartenenti al mondo e alla cultura cui io appartengo, sul territorio che io stesso calpesto. Nello stesso tempo assisto alla banalizzazione della Shoah e all'uso indiscriminato di questo termine, applicato a tanti tragici eventi nei quali ci sono delle vittime. L'errore è madornale e nasce anche dalla scarsa conoscenza della Shoah, come fatto storico, politico e antropologico. Mi auguro che oggi sia un giorno in cui approfondire questi aspetti attraverso vari strumenti. Uno potrebbe essere il libro di Bensoussan.

Un altro potrebbe essere recarsi oggi alle 18 alla libreria Lovat di Trieste per assistere alla presentazione del racconto a fumetti Torri di fumo - Una storia di Trieste, di Eugenio Belgrado, edito da Lavieri e secondo volume della collana Uomini e storie del Friuli Venezia Giulia. La storia è centrata sull'amicizia di due giovani nella città giuliana all'epoca della Seconda Guerra Mondiale. L'occupazione tedesca, la collaborazione fascista, il campo di sterminio nazista noto con il nome di Risiera di San Sabba sono ingredienti del fumetto. E' significativo che l'autore abbia poco più che vent'anni e non sia triestino, bensì pordenonese. In una precedente presentazione del suo libro aveva affermato che nella sua zona, che dista poco più di cento chilometri da Trieste, ben pochi ragazzi conoscessero ciò che era accaduto in Risiera, una vecchia fabbrica dedicata alla pileria del riso, riadattata dai nazisti a campo di concentramento prima e di sterminio poi, di detenuti politici e partigiani italiani, sloveni e croati, e di ebrei. La prima lacuna da colmare è la conoscenza. Se un buon fumetto può dare il suo piccolo contributo in questo senso, ben venga. Se inoltre può stimolare il lettore a riflettere su come una città dalla cultura mitteleuropea secolare abbia potuto ospitare un campo di sterminio, senza ridurre tutto al solito, e per certi versi rassicurante, stereotipo del sonno della ragione, allora è anche meglio.
Qui una intervista video ad Eugenio Belgrado.

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