mercoledì 10 febbraio 2010

La città dei matti

Domenica e lunedì sera mi son detto che i soldi del canone televisivo non erano del tutto buttati. Avevo appena terminato di vedere la fiction su Rai Uno "C'era una volta la città dei matti" dedicata alla rivoluzione operata da Franco Basaglia nella pschiatria italiana e mondiale. Finalmente una fiction in cui il protagonista non è la solita figura rassicurante del prete, del medico o del carabiniere; ma invece uno sceneggiato (come si diceva una volta) che affronta un tema molto scomodo tuttora, ma pieno di implicazioni umane, morali, che attengono alla dignità e ai diritti dell'uomo e della donna, come quello rappresentato dal manicomio e dalla dura lotta per eliminarlo. Sono state due serate di ottima televisione, finalmente da servizio pubblico capace di ottenere un ottimo ascolto.



Qui sopra Fabrizio Gifuni e Vittoria Puccini

Siè ben rappresentata l'esperienza di Basaglia, interpretato da un sincerissimo Fabrizio Gifuni, nell'ospedale psichiatrico prima di Gorizia e poi di Trieste, con immagini a volte anche molto crude, ma necessarie: il manicomio fino all' arrivo di Basaglia era un lager, in cui la persona veniva sottoposta a trattamenti orribili, veniva trattata da non-persona. C'è una bella scena che vede discutere Basaglia e i suoi collaboratori poco dopo aver assistito per la prima volta alle terribili condizioni in cui erano tenuti i pazienti all'ospedale di Gorizia. Un medico gli chiede quale terapia intendesse adottare, lui risponde: "Solo l'ascolto, che terapie volete fare con persone che son rimaste legate ad un letto per 15 anni, o chiuse in gabbia? Ascoltarle, dobbiamo andare da loro ed ascoltarle". In sè è un fatto molto semplice e ovvio, diremmo adesso, ma per quel tempo era una rivoluzione: trattare i matti come persone. Nella fiction emerge la figura umana di Basaglia, in altri gesti altrettanto semplici ma ancora rivoluzionari: come il non indossare i camici bianchi o come abbattere la divisione fra settore maschile e femminile e poi i cancelli fra interno ed esterno del manicomio. O come quando inizia ad organizzare le assemblee in cui tutti possono dire la propia opinione: nelle prime c'è un grande silenzio, perché nessuno è più abituato ad esprimersi, ma poi le voci si accavallano tanto che bisogna stabilire un presidente. Infine si sperimenta anche la libertà dell'uscire fuori grazie a permessi. Libertà è la nuova conquista. Realizzata in pieno solo più tardi a Trieste, e con la legge 180 del 1978 con cui si aboliscono i manicomi. L'ultimo in Italia verrà smantellato appena nel 1999, perché, come dice bene Basaglia in commissione parlamentare, non puoi abolirli senza aver prima creato una rete di centri diffusi sul territorio in grado di fornire assistenza in loco, a domicilio se serve. Come appunto si fa per la prima volta in Italia a Trieste, quando la legge è ancora in fase di approvazione. Si mostra anche la prima riluttanza della gente nel vedere i matti liberi venire a vivere accanto a sè. Ma anche il ravvedimento di molti, dopo averne fatto la conoscenza e essersi accorti che si tratta di persone. In effetti si ha molto più paura di ciò che non si conosce.

Accanto alla vicenda umana di Basaglia si raccontano anche le storie di diversi matti e di un'infermiera che segue lo psichiatra da Gorizia a Trieste. La fine è nello stesso tempo gioiosa e triste: accanto alla ritrovata libertà e voglia di vivere dei matti, c'è la morte di Basaglia avvenuta precocemente nel 1980. Tuttavia prevale la fiducia e l'ottimismo, perchè si vede come i suoi sforzi siano serviti a creare qualcosa di veramente importante per la vita di molti in Italia e nel mondo intero. Proprio questa settimana si sta tenendo a Trieste un convegno internazionale di psichiatria incentrato sulla figura e l'opera di Basaglia. Medici ed operatori di tutto il mondo son accorsi per confrontarsi sui suoi metodi e sui risultati ottenuti e da ottenere ancora. L'OMS ha riconosciuto la legge 180 come modello da poter attuare ovunque nel mondo, in quanto le sue basi si fondano su concetti comuni (o che dovrebbero esserlo) a tutti gli uomini e società del mondo, ovvero la dignità e la libertà dell'essere umano.

Vedere la fiction ha per me poi rappresentato sul piano personale un ritorno con il cuore e l'animo al mio periodo di obiettorato, prestato proprio in una di quelle strutture diurne e notturne dislocate sul territorio. Ho convissuto per 10 mesi con i matti, gli operatori e il mio collega/amico obiettore. Ho imparato lo stesso messaggio lanciato da Basaglia: a guardare ai matti come persone, ad ascoltarli, a condividere con loro le cose di tutti i giorni. Tutto qua, semplice a prima vista, ma difficile se parti da un'idea che colloca i matti in un mondo a parte. Basaglia ha fatto di tutto per distruggere quel mondo a parte e far coincidere il loro mondo con il nostro.




link al sito della fiction


link all'incontro internazionale di psichiatria a Trieste

1 commento:

  1. Per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi d'ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali che esplodono tra le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno oh!

    jack kerouac - on the road

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