"Se avete intenzione di partecipare alla squadra di attacco speciale, fate un passo avanti!"
Quel passo ha significato "il nostro inizio" e "la nostra fine".
Mi sono commosso più volte durante la lettura di questa storia che racconta i pensieri e i sentimenti dei componenti di una Tokubetsu Kohgeki Tai (abbreviata in Tokko), ovvero di una di quelle squadre di attacco speciale, note da noi come Kamikaze, il nome che una di queste si era dato.
Siamo ormai vicini alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il solo Giappone, ridotto allo stremo, resiste inutilmente all'avanzata della marina e dell'esercito americani. L'aviazione e la flotta nipponiche sono quasi distrutte e le autorità militari adottano questa ultima, inutile strategia suicida come arma disperata per colpire le navi nemiche. Giovani aviatori neanche ventenni subiscono questo forte indottrinamento, figlio della cultura giapponese che inculca disciplina, adorazione del divino Imperatore, asservimento e sacrificio del singolo per la patria. Su tutto questo riflette Daisuke, sul suo passo, sul fatto se la sua scelta sia stata libera o condizionata. Un dialogo continuo con la madre lontana accompagna la coscienza del caporale nelle sue ultime ore di vita. Una ricerca di una valida motivazione per questo passo arrovella la testa dell'aviatore.
"Quel passo che mi è sembrato meccanico è stato fatto da una marionetta? No, l'abbiamo fatto perché amiamo il paese e vogliamo proteggere le persone che hanno fiducia in noi"Ci sono molti passi toccanti, come quello in cui Daisuke schiaffeggia un suo superiore, addetto alla preparazione della squadra, quando questi gli dice che non c'è bisogno di morire per un paese come questo, che ha già perso se deve ricorrere ad una tattica così disumana come la squadra di attacco speciale:
"Ho picchiato un mio superiore... Ho picchiato un umo che potrebbe essere mio padre. Però non avrebbe dovuto dire "un paese come questo". Dentro di me ho sostituito la parola "paese" con "madre". No: è giusto dire "il nostro paese", "le nostre madri". Possiamo morire proprio perché sarà fatto nel nome del nostro paese e delle nostre madri"
Più tardi Daisuke si presenta a casa del superiore a porgere le proprie scuse, e scopre che il figlio è morto in una squadra speciale di attacco. Nelle lacrime di quello che potrebbe essere il padre che non ha più, perché morto in guerra, scorge il futuro dolore della propria madre per il suo gesto. Nelle parole del superiore che, nonostante la perdita del figlio, confessa il desiderio, inesaudibile a causa dell'età, di far parte di una squadra di attacco speciale, trova un'ulteriore riprova della giustezza del suo passo.
C'è una completa identificazione fra il paese e la madre, fra il paese e la ragazza che ha lavato i vestiti e le lenzuola nella piccola caserma che ha ospitato la squadra, fra il paese e il meccanico che ha preparato meticolosamente l'aereo.
"Non compiamo il nostro gesto solo perché amiamo questo paese...ma anche perché da questo paese siamo amati."
La lettura di questa storia ha eliminato ogni pregiudizio che avevo sui kamikaze, mi ha lasciato dentro tanto rispetto per il coraggio e la forza di tutti i Daisuke che si son sacrificati per gli altri, e tanta tristezza per l'insensatezza e la crudeltà della guerra.
Ali d'argento è stato originariamente pubblicato sulla rivista settimanale Shonen Champion dal N. 21 al N. 29 del 1997, e raccolto in volume nel settembre dello stesso anno.
In Italia è stato pubblicato da Planet Manga nel dicembre 1998.
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