sabato 28 agosto 2010

Igort racconta le tragedie del comunismo in URSS

"IGORT: Urss, una tragedia comunista a fumetti" è il titolo di un articolo uscito sul quotidiano La Repubblica il 26 agosto e che potete trovare online qui. Si tratta di un'interessante intervista a Igort, uno degli autori italiani di fumetti più noti all'estero.... tanto è vero che vive a Parigi.


E proprio in Francia a maggio è uscito il suo ultimo libro "Les Cahiers Ukrainiens", che è l'oggetto dell'intervista di Antonio Gnoli, visto che sarà pubblicato anche in Italia per Mondadori con il titolo "Quaderni ucraini "e presentato il prossimo 11 settembre in occasione del festival della letteratura di Mantova.
Memorie dai tempi dell'URSS è il sottotitolo di questo reportage a fumetti, frutto dell'anno e mezzo trascorso da Igort in Ucraina a parlare con la gente del luogo. L'intervista mi ha colpito per diversi aspetti. Innanzitutto perchè si tratta di un libro di testimonianze, un genere che mi piace leggere attraverso i fumetti, anche se è poco diffuso. I reportage di Joe Sacco che leggo su Internazionale (di cui ho parlato recentemente qui) hanno uno spessore e un realismo straordinari: sono ansioso di vedere quale sarà lo stile di Igort.
Ciò che tuttavia più mi attira di quest'opera è il tema. Le memorie riguardano i tragici fatti che ebbero luogo in Ucraina negli anni 30, quando Stalin condusse un vero e proprio genocidio nei confronti della popolazione locale, arrivando perfino a indurre di proposito una carestia. Milioni di persone perirono. Nonostante ciò Stalin è ancora adorato da molti nostalgici, non solo nella lontana Italia che non ha vissuto le sue terribili pazzie, ma anche laddove lasciò la sua scia di morte, in Ucraina, in Russia e nelle repubbliche dell'ex Unione Sovietica.


Per uno che ha scelto come immagine di sfondo al titolo del proprio blog un esplicito riferimento al Quarto stato di Pellizza da Volpedo, è sempre triste constatare che quello che si era presentato come il più importante movimento di trasformazione radicale della società secondo giustizia e libertà, si sia poi rivelato l'esatto contrario in quasi tutte le sue realizzazioni.
Seguirà un secondo post sul tema dopo che avrò letto il libro di Igort.

Aggiornamento del primo settembre: dal blog di Igort apprendo che Quaderni ucraini è uscito nelle librerie italiane. Mi procurerò presto una copia!

domenica 22 agosto 2010

Il rock

Cos'è il rock? Questo:



In parole? Emozioni, gioia, grida, salti, amore, fratellanza, coinvolgimento, passione, commozione, dono e tante altre cose... ovvero, la parte più bella della vita.

venerdì 20 agosto 2010

Letture nere... balneari

Anche quest’estate le vacanze sono finite e, come la scorsa, le mie letture balneari si son divise fra fumetti di vario genere e romanzi noir. Questi ultimi mi son stati consigliati dal libraio della località di villeggiatura in cui passo qualche settimana di relax. E’ un ragazzo che legge quello che vende, qualità ormai non tanto comune fra i professionisti del libro, uno di quei librai vecchio stile con cui parleresti per ore su scrittori, romanzi e generi preferiti. A partire dall’estate scorsa mi son completamente affidato ai suoi consigli in materia di romanzi noir di nuova pubblicazione e, visto il successo, ho bissato anche quest’anno. Si tratta complessivamente di cinque opere, (quasi) tutte di autori americani, (quasi) tutti viventi.



La prima che lessi l’anno scorso fu folgorante: il genere classico del thriller di mafia reinventato completamente e ambientato in un ospedale. Il protagonista di Vedi di non morire è infatti un medico (come anche lo scrittore Josh Bazell, specializzando in psichiatria) ex killer mafioso dalla nuova identità protetta dal governo, a cui capita di dover assistere, nel reparto di chirurgia d’urgenza dell’ospedale in cui lavora, una sua vecchia conoscenza della malavita, che lo ricatapulterà, suo malgrado, nel mondo del crimine che pensava di essersi lasciato alle spalle. Il ritmo è sostenuto ed esuberante, si alterna comicità e tragedia, il tutto condito con particolari precisissimi di medicina e chirurgia, molto azzeccati nel contesto dello sviluppo narrativo.



Il secondo romanzo è di tenore completamente diverso: una storia dal ritmo superficiale sommesso e tranquillo, ma carico di una tensione profonda che fa nascere nel lettore una angoscia crescente. La protagonista di Abbiamo sempre vissuto nel castello della scomparsa Shirley Jackson è una diciottenne che ci descrive la vita serena che conduce insieme alla sorella ed allo zio invalido in una grande villa di campagna. E’ un’esistenza fatta di piccoli gesti quotidiani: il the, la cucina, la cura del giardino che hanno luogo in ambiente solare, immerso nel verde. Ma il lettore avverte che c’è qualcosa che non va: l’ostilità manifesta degli abitanti del vicino villaggio, il fatto che tutti gli altri componenti della famiglia sono morti avvelenati durante un pasto tenuto nella villa, cui sopravvissero solo gli attuali dimoranti. Si intuisce che c’è un terribile ed inconfessabile segreto, che il Male alberga anche in questo quadretto delizioso di provincia.

Shirley Jackson, che scrisse questo romanzo nel 1962, è considerata una delle capostipiti del genere americano del terrore, grazie anche ai racconti La lotteria e soprattutto a L’incubo di Hill House, che ho letto successivamente lo scorso inverno. La seconda opera, in particolare, è diventata il riferimento di ogni narratore o sceneggiatore che abbia voluto cimentarsi con il tema della casa infestata.


L’ultimo romanzo che lessi la scorsa estate fu il più travolgente, per il tema affrontato, per lo scavo psicologico dei protagonisti, per la coralità dei personaggi, per l’epica della storia: Il potere del cane di Don Winslow. Lo scenario è il Messico patria del narcotraffico e gli Stati Uniti destinatari e nemici dello stesso. C’è il poliziotto che sacrifica la propria vita nella lotta al traffico internazionale di droga, c’è la famiglia messicana di narcos, così potente da controllare economicamente e politicamente un’intera nazione, c’è una prostituta americana d’alto bordo che viene coinvolta pericolosamente nelle vicende criminali, c’è un giovane killer irlandese della Grande Mela assoldato dalla mafia, c’è infine un sacerdote messicano potente ma dedito all’aiuto dei più deboli. Tutti questi personaggi sono i protagonisti di una storia avvincente piena di intrecci, di trame che coinvolgono anche la politica americana e che ti fanno capire molto della storia attuale e recente del nord e centro america in quanto a lotta al narcotraffico, rapporti tra stati, poteri politici invischiati con quelli criminali, servizi segreti collusi con la mafia. Un pessimismo di fondo aleggia lungo tutte le 714 pagine del romanzo: non c’è perdono o possibilità di fuga, il Male assoluto riesce sempre a fare breccia nel cuore degli uomini, quell’antica crudeltà umana chiamata il potere del cane. Don Winslow ci fa un regalo potente e doloroso: un affresco politico, sociale, economico e umano di una faccia ben precisa, quella del narcotraffico, ma universale del crimine. Sull’onda di questo romanzo, lo scorso inverno lessi dello stesso autore L’inverno di Frankie Machine mentre, sempre di Winslow, ho appena acquistato La pattuglia all’alba.


Veniamo a quest’estate. Il libraio mi ha invitato a cimentarmi con quella che lui ha definito una chicca del brivido: Fredda è la notte di Carlene Thompson. Si tratta di un thriller ad alta suspense, tanto che, giunto all’ultimo capitolo durante una serata piovosa e un po’ fredda, in cui mi misi a letto rimuginando su chi poteva essere il colpevole dei delitti, balzai in piedi spaventato credendo di aver sentito dei colpi battuti alla porta d’ingresso, tale era la tensione provocata dai miei pensieri. L’ambientazione è un freddo novembre di incipiente inverno in un piccolo centro della West Virginia, dove viva una giovane e ricca vedova, già sospettata del suicidio / omicidio del marito imprenditore. Altre due morti, due amiche adolescenti della figliastra con cui non ha un buon rapporto, turbano il sonno della protagonista, visto che ogni volta lei si trova nei pressi del luogo del delitto. Il terrore si diffonde nel paese e tutti i sospetti ricadono sulla vedova, nonostante lo sceriffo, suo ex durante l’adolescenza, cerchi di trattare il caso seguendo la razionalità e non le emozioni. La narrazione è condotta con perizia: al lettore vengono presentati i vari personaggi, protagonisti e di contorno, delineandone con precisione la psicologia, lasciando all’immaginazione possibili interpretazioni e soluzioni del caso. Non so se qualcuno quella notte abbia effettivamente battuto alla mia porta, ma so che poco dopo ho intuito chi fosse il colpevole, confermato dalla lettura nella mattina successiva dell’ultimo capitolo. Che una forte emozione aiuti il cervello a lavorare meglio?

L’ultimo romanzo divorato, Una tempesta qualunque dell’inglese d’adozione William Boyd, mi ha colpito per avermi presentato una città che avevo visitato da poco, Londra, in una luce del tutto diversa. Il protagonista è un giovane ingegnere climatologo americano, venuto a Londra per sostenere un colloquio di lavoro. La sua vita brillante di giovane rampante scienziato viene cancellata improvvisamente per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato: da testimone di un omicidio ne diventa l’indiziato numero uno, ricercato dalla polizia e dal vero killer, è costretto a nascondersi. Qui comincia, dopo un prologo fra i più classici del genere giallo/thriller, la parte più interessante della storia. Adam, questo il nome dello sfortunato, diventa un barbone per far sparire le proprie tracce, entrando in contatto con un mondo parallelo e invisibile fatto di emarginati, di non cittadini. Perde la propria identità, frequenta mense di poveri gestite da pastori di anime a dir poco rivoluzionari ma anche molto realistici, conosce suo malgrado la malavita dei bassifondi della metropoli rimediando un sacco di botte, diventa amico e amante di una prostituta dei quartieri popolari e poi si innamora di una stravagante poliziotta. Ha perso tutta la sua sovrastruttura ma ha ritrovato la parte più intima e vera, cui deve far ricorso per sopravvivere e dimostrare la propria innocenza. E’ un romanzo di formazione, se vogliamo, condotta attraverso la perdita di se stessi e la successiva rinascita. Alla fine non tutto è risolto, ma Adam è contento lo stesso.

venerdì 13 agosto 2010

Gli ospiti indesiderati


Fra i vari articoli del numero estivo di Internazionale, uno speciale dedicato come di consueto ai viaggi, spicca un reportage a fumetti di Joe Sacco dal titolo The unwanted. Sono 24 pagine di ottimo esempio di quello che la rivista chiama "Graphic journalism" di cui ho già parlato qui e qui. Il tema è quanto mai attuale, ha una portata mondiale, e in Italia accende il dibattito quasi quotidiano tra singoli cittadini, parti politiche e organizzazioni di volontariato: l'immigrazione.
Il teatro del reportage è l'isola di Malta, meta, spesso indesiderata se paragonata alla vicina Sicilia, dei traffici illegali di uomini e donne disperati che dal sud del mondo cercano una speranza di vita migliore nel nostro ricco nord.


Sacco ha come sempre un occhio realista ed obiettivo: non esprime giudizi ma fa parlare la gente che intervista, riportando i loro interventi e le loro risposte come se si trattasse di un reportage giornalistico realizzato con la telecamera.
Protagonisti del reportage sono gli immigrati e i maltesi. Si mostra il punto di vista di entrambi i gruppi: i primi son visti dalla maggior parte dei locali intervistati, come degli "invasori" che altereranno per sempre la cultura e la struttura sociale dell'isola se il ritmo degli sbarchi sarà così sostenuto come lo è stato finora. Sacco ha l'obiettività di far parlare anche un ideologo estremista che esprime tutto il suo odio violento nei confronti degli immigrati: ci fa capire come un personaggio che in altre circostanze verrebbe messo ai margini e ridicolizzato subito, ora invece è considerato e seguito pericolosamente da una rilevante minoranza di maltesi.


Poi Sacco fa parlare anche gli immigrati, che denunciano spesso intolleranza nei loro confronti, espressa attraverso sguardi, atteggiamenti e parole ostili: manifestazioni che possono diventare tuttavia i prodromi di un processo più pericoloso e strutturato di odio razziale. In questo doppia esposizione dei due punti di vista sta un primo pregio del reportage: con poche tavole capiamo come dei tranquilli cittadini di un paese occidentale quale il nostro, possono diventare dei razzisti convinti. Basta accumulare molte persone di una cultura molto diversa da quella locale, in condizioni di vita inumane per gli standard del posto, accanto alle case per lo più popolari dei cittadini del paese ospitante, per generare incomprensioni, conflitti, sfruttamento, odio. Non è forse quello che sta succedendo un po' ovunque anche nelle nostre città italiane?
L'ultima parte del reportage è interamente dedicata alla testimonianza di un immigrato eritreo: un giovane studente perseguitato in patria per essersi espresso a parole contro il regime, e costretto quindi a fuggire per non essere imprigionato e ucciso. Il racconto è angosciante e si snoda attraverso i pericoli, i raggiri e gli sfruttamenti subiti per raggiungere Malta attraverso il Sudan, il deserto, la Libia e il Mediterraneo, sempre con il terrore di essere tradito dalle varie bande che prendevano in consegna di tappa in tappa la merce costituita dal gruppo di persone di cui il giovane faceva parte.

Solo una merce come un'altra: persone, armi, droga. La fine del viaggio è una spiaggia maltese, frequentata da vacanzieri ignari e stupiti di vedersi arrivare fra ombrelloni e sdraio, un barcone carico di persone sfinite e ai limiti della capacità di sopravvivenza.
Un eritreo avrebbe il diritto di chiedere asilo politico in uno qualsiasi degli stati dell'Unione Europea, Malta inclusa. Ma per esercitare questo diritto deve sottoporsi a tutto ciò che le tavole di Sacco mostrano in questo straordinario fumetto.

mercoledì 11 agosto 2010

Nuovo Clapton!


Dal sito ufficiale whereseric.com di Eric Clapton, scopro che alla fine di settembre uscirà un nuovo album del bluesman inglese, dal titolo.... "Clapton"!
14 brani tra inediti e cover registrati in studio. Comincio già a leccarmi i baffi...
Ecco la track list completa:

01. Travelin' Alone
02. Rocking Chair
03. River Runs Deep
04. Judgment Day
05. How Deep Is The Ocean
06. My Very Good Friend The Milkman
07. Can't Hold Out Much Longer
08. That’s No Way To Get Along
09. Everything Will Be Alright
10. Diamonds Made From Rain
11. When Somebody Thinks You’re Wonderful
12. Hard Times Blues
13. Run Back To Your Side
14. Autumn Leaves

lunedì 9 agosto 2010

Zagor e Alexis de Tocqueville


Attraverso il suo divertente ed interessante blog, Moreno Burattini mi ha consigliato di leggere il Maxi Zagor attualmente in vendita nelle edicole, dal titolo "L'uomo nel mirino".
Erano passati più di 20 anni da quando avevo acquistato il mio ultimo albo di Zagor: la scelta di non proseguire dipese allora da motivi economici. In quel periodo infatti ero uno squattrinato studente universitario e, fra tutti i fumetti che leggevo, dovetti fare delle scelte, ahimè dolorose, escludendo alcuni albi bonelliani, tra cui lo Spirito con la scure. E' da un po' che non sono più studente ( ahimè aggiungo...) e avrei potuto quindi ripermettermi Zagor, ma si sa... ci vuole un'occasione. E questa è arrivata, come dicevo, per mezzo del blog del curatore e sceneggiatore di Zagor stesso.
Devo dire che dopo 20 anni ho ritrovato il signore di Darkwood come l'avevo lasciato: un eroe senza macchia e senza paura, che non si abbassa a compromessi, che non si tira indietro di fronte alle angherie (come afferma lui stesso nella storia). Direi che ho trovato anche qualcosa in più, che non mi aspettavo e che mi ha fatto piacere, ovvero la citazione di un incontro avvenuto in una storia precedente fra lo spirito con la scure e niente popodimeno che Alexis de Tocqueville.


Gli attuali avversari infatti sono gli stessi seguaci della Loggia della Corona, con cui Zagor ebbe a che fare in passato. Il loro obiettivo era restaurare in Europa, a partire dalla Francia, la monarchia assoluta venuta meno dopo la Rivoluzione Francese. Nel precedente scontro il signore di Darkwood eliminò il capo della Loggia, Alphonse D'Artois, duca di Berry e il tesoro, donato ad un suo avo dal re Luigi XVI. Fu aiutato in quest'avventura proprio da Tocqueville che, salutando l'America, disse a Zagor che avrebbe raccontato come nel nuovo continente i cittadini si governano senza nobili o re, attraverso un sistema statale chiamato democrazia. Si allude qui all'opera più importante del filosofo francese: La democrazia in America, primo studio approfondito del nuovo sistema di governo, ancora oggi analizzato e oggetto di ricerche.
Certo un sistema imperfetto, e Zagor lo sa bene. Per difenderlo, tuttavia, fa di tutto per sconfiggere il figlio del duca di Berry, che vuole uccidere il presidente degli Stati Uniti d'America Andrew Jackson e destabilizzare così la giovane democrazia.


Mi piace quando un protagonista di fantasia di un fumetto si incontra con personaggi storici, perché viene data una certa veridicità al protagonista stesso e alle sue avventure: l'incontro contribuisce a renderlo reale, quasi vivo. Se poi il presidente (ex generale) non ci fa una bella figura, gongolo ancora di più. Infatti lo stesso uomo politico ricorda un fatto precedente quando Zagor, invitato alla Casa Bianca, aggredì il padrone di casa perché si era reso responsabile della deportazione dei Cherokee (storia raccontata in un altro Maxi “La lunga marcia”). Il presidente continua poi nella sua parte “andreottiana” quando, pur di imbrigliare lo spirito con la scure gli offre un posto al dipartimento degli affari indiani, sdegnosamente rifiutato dal nostro eroe che impartisce al politico di Washington una lezione su che cosa significa essere leale ai propri principi, senza scendere a vili compromessi.


Un po' troppo didascalico forse? Beh, Zagor è un eroe alla vecchia maniera, senza se e senza ma, si direbbe oggi, e ci piace così. Osservo che sentir parlare di democrazia, lealtà ai principi e lotta all'ingiustizia in un “semplice” fumetto da edicola è un fatto rilevante: vederlo poi sceneggiato in una storia ben strutturata e intrigante è anche piacevole. Non serve mica un graphic novel da libreria per ottenere un simile risultato!

venerdì 6 agosto 2010

Torino si allontana...


Bloccato a casa dal cagotto... :-(

PS: aggiornamento del day after: ecco cosa mi sono perso, una fra tutte: Glastonbury, la nuova canzone

mercoledì 4 agosto 2010

Torino si avvicina...

Così l'anno scorso a Milano, tre fra i momenti più emozionanti del concerto...







domenica 1 agosto 2010

Non mi piacciono i "graphic novels"


Beh, no! Non è che non mi piacciono, non mi piace il termine "graphic novel". Prendo lo spunto da un articolo di Benedetta Tobagi apparso ieri, 31 luglio, sulle pagine del quotidiano La Repubblica. La parte del giornale R2, dedicata a cultura e spettacoli, riservava l'apertura, nel complesso ben 3 pagine, al tema Scrivere disegnando. Oltre all'articolo citato, anche un bel pezzo di Gipi che racconta come nacque in lui, ancora ragazzino, l'impulso di disegnare per raccontare delle storie.
Mi fa sempre molto piacere quando un grande mezzo di comunicazione dedica uno spazio importante al fumetto, anche se qui il taglio dato non è, secondo me, corretto. Infatti viene creata una contrapposizione tra fumetto e graphic novel, come se si trattasse di due cose diverse. La definizione che si dà al graphic novel, mutuandola da Goffredo Fofi, non è assoluta, ma è sempre posta in relazione al fumetto. Si comincia a dire che il graphic novel è “pensato per un pubblico adulto ed esigente” e si continua affermando che “si distingue dal fumetto perché non è seriale, non ha limiti di lunghezza né vincoli di forma, esibisce una complessità narrativa e una profondità psicologica sconosciute ai comics e trova posto in libreria anziché in edicola. Nel graphic novel parola e immagine si fondono in un corpo unico che ha una cifra letteraria”. Dopo la lettura di queste poche frasi, il sangue mi si era ghiacciato nelle vene.... Ma continuo, perché voglio vedere dove si va a parare. Il pezzo prosegue citando delle opere e degli autori che servono a corroborare la tesi di fondo, ovvero l'alta nobiltà dei graphic novels contrapposta al basso lignaggio dei volgari fumetti...


Si nominano dei veri e propri capolavori indiscussi, V for Vendetta e Sin City, Fuochi e Il ritorno del cavaliere oscuro, Al tempo di Bocchan e Maus, Le starordinarie avventure di Pentothal e Persepolis, per dimostrare come i generi e gli stili più disparati vengano affrontati: dal filone fantastico di Moebius al realismo di Munoz e Sampayo, dalla biografia del Che di Oesterheld e Breccia al memoir storico di Spiegelman, dal giornalismo di Sacco alla denuncia politico-sociale di Elfo. Questa è la parte migliore dell'articolo perché l'autrice dà una sintetica ma valida panoramica (tralasciando però di citare almeno un'opera di Will Eisner) dei temi affrontati, facendo sorgere ad un lettore profano l'idea che i fumetti possono parlare di tutto, e farlo con alta qualità di disegni e parole. Alla fine dell'articolo si argomenta sulle difficoltà di penetrazione nel mercato di un medium come il fumetto che patisce la concorrenza di altri media basati sull'immagine. Il colpo però arriva nell'ultimo capoverso, dove si confessa in realtà che “l'introduzione stessa della dicitura graphic novel negli ultimi anni obbedisce a logiche commerciali, nella speranza di replicare i successi all'estero..”.


Ma allora è tutto una farsa? Tutta la base artistica e la citazione delle opere per validare la tesi che il graphic novel è un genere a se stante, cade alla fine con un'ammissione di carattere puramente commerciale? Ma come? E la complessità narrativa e l'approfondimento psicologico? E la cifra letteraria? E l'aristocratica libreria anziché la plebea edicola? Il re è nudo... Forse all'autrice è venuto in mente qualche fumetto seriale d'edicola che un po' di qualità l'aveva... Che ne so, un certo Ken Parker per esempio? Vogliamo parlare della modernità che questa serie segnò negli anni 70 all'interno della casa editrice Bonelli e nell'intero mondo del fumetto italiano: temi quali i diritti dei lavoratori, l'omosessualità, ma senza toccare niente di particolare per forza, semplicemente con la profondità del personaggio e della sua avventura di vita raccontata in modo poetico e fine da Giancarlo Berardi e disegnata da uno dei maestri italiani, Ivo Milazzo.


Cito solo Ken Parker, ma sono diversi gli esempi di alto valore artistico raggiunto da fumetti seriali. Non mi piacciono le distinzioni intellettualistiche tra comics e graphic novel: si tratta sempre di fumetto, ovvero di un linguaggio espressivo che si presta ad un'infinità di stili e temi, proprio come il cinema e la letteratura. Poi esiste il fumetto di qualità e quello scarso, ma non coincidono affatto rispettivamente con graphic novel e comics seriali. Anzi, ho letto delle graphic novel oscene e dei giornalini seriali stupendi. Parliamo di fumetto e basta, di questo alla fine si tratta.

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