domenica 1 agosto 2010

Non mi piacciono i "graphic novels"


Beh, no! Non è che non mi piacciono, non mi piace il termine "graphic novel". Prendo lo spunto da un articolo di Benedetta Tobagi apparso ieri, 31 luglio, sulle pagine del quotidiano La Repubblica. La parte del giornale R2, dedicata a cultura e spettacoli, riservava l'apertura, nel complesso ben 3 pagine, al tema Scrivere disegnando. Oltre all'articolo citato, anche un bel pezzo di Gipi che racconta come nacque in lui, ancora ragazzino, l'impulso di disegnare per raccontare delle storie.
Mi fa sempre molto piacere quando un grande mezzo di comunicazione dedica uno spazio importante al fumetto, anche se qui il taglio dato non è, secondo me, corretto. Infatti viene creata una contrapposizione tra fumetto e graphic novel, come se si trattasse di due cose diverse. La definizione che si dà al graphic novel, mutuandola da Goffredo Fofi, non è assoluta, ma è sempre posta in relazione al fumetto. Si comincia a dire che il graphic novel è “pensato per un pubblico adulto ed esigente” e si continua affermando che “si distingue dal fumetto perché non è seriale, non ha limiti di lunghezza né vincoli di forma, esibisce una complessità narrativa e una profondità psicologica sconosciute ai comics e trova posto in libreria anziché in edicola. Nel graphic novel parola e immagine si fondono in un corpo unico che ha una cifra letteraria”. Dopo la lettura di queste poche frasi, il sangue mi si era ghiacciato nelle vene.... Ma continuo, perché voglio vedere dove si va a parare. Il pezzo prosegue citando delle opere e degli autori che servono a corroborare la tesi di fondo, ovvero l'alta nobiltà dei graphic novels contrapposta al basso lignaggio dei volgari fumetti...


Si nominano dei veri e propri capolavori indiscussi, V for Vendetta e Sin City, Fuochi e Il ritorno del cavaliere oscuro, Al tempo di Bocchan e Maus, Le starordinarie avventure di Pentothal e Persepolis, per dimostrare come i generi e gli stili più disparati vengano affrontati: dal filone fantastico di Moebius al realismo di Munoz e Sampayo, dalla biografia del Che di Oesterheld e Breccia al memoir storico di Spiegelman, dal giornalismo di Sacco alla denuncia politico-sociale di Elfo. Questa è la parte migliore dell'articolo perché l'autrice dà una sintetica ma valida panoramica (tralasciando però di citare almeno un'opera di Will Eisner) dei temi affrontati, facendo sorgere ad un lettore profano l'idea che i fumetti possono parlare di tutto, e farlo con alta qualità di disegni e parole. Alla fine dell'articolo si argomenta sulle difficoltà di penetrazione nel mercato di un medium come il fumetto che patisce la concorrenza di altri media basati sull'immagine. Il colpo però arriva nell'ultimo capoverso, dove si confessa in realtà che “l'introduzione stessa della dicitura graphic novel negli ultimi anni obbedisce a logiche commerciali, nella speranza di replicare i successi all'estero..”.


Ma allora è tutto una farsa? Tutta la base artistica e la citazione delle opere per validare la tesi che il graphic novel è un genere a se stante, cade alla fine con un'ammissione di carattere puramente commerciale? Ma come? E la complessità narrativa e l'approfondimento psicologico? E la cifra letteraria? E l'aristocratica libreria anziché la plebea edicola? Il re è nudo... Forse all'autrice è venuto in mente qualche fumetto seriale d'edicola che un po' di qualità l'aveva... Che ne so, un certo Ken Parker per esempio? Vogliamo parlare della modernità che questa serie segnò negli anni 70 all'interno della casa editrice Bonelli e nell'intero mondo del fumetto italiano: temi quali i diritti dei lavoratori, l'omosessualità, ma senza toccare niente di particolare per forza, semplicemente con la profondità del personaggio e della sua avventura di vita raccontata in modo poetico e fine da Giancarlo Berardi e disegnata da uno dei maestri italiani, Ivo Milazzo.


Cito solo Ken Parker, ma sono diversi gli esempi di alto valore artistico raggiunto da fumetti seriali. Non mi piacciono le distinzioni intellettualistiche tra comics e graphic novel: si tratta sempre di fumetto, ovvero di un linguaggio espressivo che si presta ad un'infinità di stili e temi, proprio come il cinema e la letteratura. Poi esiste il fumetto di qualità e quello scarso, ma non coincidono affatto rispettivamente con graphic novel e comics seriali. Anzi, ho letto delle graphic novel oscene e dei giornalini seriali stupendi. Parliamo di fumetto e basta, di questo alla fine si tratta.

25 commenti:

  1. Siamo alle solite, non c'è modo migliore di disprezzare il fumetto che fare distinzioni assurde e dare patenti di "letterarietà", "profondità", "complessità" a quello che sembra meno "fumettistico" - perchè il fumetto è roba da bambini, alla fin fine, no?

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  2. sotto sotto, proprio questo è il messaggio: il fumetto da edicola è per bambini o, al massimo, per adulti poco profondi e superficiali... "Continuiamo così, facciamoci del male!", diceva Nanni Moretti...

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  3. non ho letto l'articolo.

    Come te adoro Ken Parker e Milazzo/Berardi.
    Ho una grande stima di chi suda con grande mestiere nel campo dei fumetti.

    Però, come sai, ritengo che sia onesto fare delle distinzioni.

    Ad esempio, tutti noi distinguiamo tra film e telefilm seriali... poi uno può fare un telefilm geniale e un film pessimo.

    Per me, "Alla scoperta del West" è molto più bello di tanti film sul west.

    Però, mettiamola così: è una questione di ambizioni... fare qualcosa che sia più simile ad un grande romanzo che ad un fotoromanzo seriale.

    Comunicare qualcosa di speciale, anzichè limitarsi a fare "un buon prodotto commerciale".
    I fumetti della Bonelli che tu adori, nascevano come usa e getta, l'idea di raccoglierli è nata in un secondo tempo e Ken Parker è più simile, per tanti versi, ad un incidente di percorso che alla regola.

    In questi giorni ho letto "Batman Anno 100" di Paul Pope.
    Non so se sia una Graphic Novel,
    però di una cosa sono certo: è qualcosa di completamente diverso dal Batman che trovo nell'edicola sottocasa.

    Usa una grafica diversa, un ritmo narrativo diverso, uno stile che non si uniforma, che spiazza e non si concede alla facile linea del già conosciuto.

    E' un progetto ambizioso, scorbutico; nervoso.

    Non è piatto.

    E' un prodotto "unico"; riconosci lo stile dell'autore...la sua personalità.

    Credo sia questo che si tenti di definire faticosamente "Graphic Novel".

    Senza questo tentativo, dovremo accontentarci ancora dell'equazione:

    fumetto=roba da bambini o mentecatti

    ...non so se è meglio.

    Ciao

    Emiliano

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  4. purtroppo è proprio l'operazione di lanciare il prodotto graphic novel che contribuisce a rendere sempre più vera l'equazione fumetto=roba da bambini o mentecatti. Perché il graphic novel vuole distaccarsi da esso, vuole definirsi ome qualcosa di diverso, ma in realtà è sempre fumetto. Con ambizioni diverse? Forse. Con un'aspirazione di unicità? Può essere! Ma perché un fumetto seriale di edicola non può avere le stesse ambizioni? Perché la serialità ne mina la qualità? Può essere vero, ma solo in parte. E non sempre. Non è una regola. E comunque non è questo il punto. Il punto è che un fumetto non può essere qualcosa che non è: il contenitore non può alterare il contenuto. Mi sembrano discorsi da intellettuali schifiltosi, che disdegnano le radici da cui son venuti. Consiglio, per restare al campo Bonelli, la lettura di Julia, Magico Vento, Caravan. Non tutti gli albi sono eccelsi ovviamente, ma lo stile, la tecnica, le emozioni non mancano. Sono tutt'altro che piatti.

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  5. ...e ci mancherebbe: 90 pagine ogni mese per 12 mesi, per anni; più di un professionista della sceneggiatura all'opera, schemi di trama già provati e riprovati.
    Un mercato consolidato e tanta bravura e sudore. Questo è indubbio.

    Ma perchè Tex e Zagor sono ancora tra noi e il buon Ken Parker è morto e sepolto?

    Tu che sei un lettore intelligente e acuto, sono certo che riesci a riconoscere gli "schemi" prestabiliti che si rinnovano di albo in albo.
    Sei d'accordo con me che il personaggio, una volta stabilito, procede sempre uguale a se stesso nel corso degli anni (può variare in un albo, ma nel complesso, ritorna all'ovile - con un processo che ricorda quello dell'elasticità delle materie plastiche).
    Graficamente, il personaggio non muta più di tanto.
    Un cultore riconosce il disegnatore da particolari, il lettore più superficiale non trova alcuna differenza.

    Se tentare di nobilitare il fumetto attraverso la definizione di "Graphic Novel" (quella coniata da Eisner, non dall'industria commerciale) fa parte di un aproccio snobistico; quello di difendere a spada tratta il fumetto seriale, può apparire il tentativo di mantenere uno status in una cerchia ristretta di persone: i cultori dei fumetti.
    E' un atteggiamento da conservatori.

    Gli articoli della Repubblica si rivolgono ad un pubblico più vasto e meno informato, sicuramente più superficiale.
    Nei giorni scorsi ne è uscito uno su Moebius che nulla aggiunge a chi conosce già l'autore.
    Accanto a questi, prosegue la ristampa del caro e vecchio Tex.

    A me pare normale che i lettori vengano indirizzati verso le opere di Miller, Moebius,Eisner, etc...etc... e non verso il già visto e sentito.

    E poi tutto questo, contribuisce a far parlare di fumetto e di quali obiettivi questo mezzo può porsi.

    Ciao

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  6. Temo che non mi son fatto capire bene. A me fa piacere, molto piacere che la Repubblica parli di fumetti, anche se cita autori che conosco bene e non mi aggiunge nulla, son contento perché ogni articolo contribuisce a difondere il fumetto. Mi fa piacere anche che sottolinei il valore "artistico" delle opere, perché molti italiani tendono a trattare il fumetto come un passatempo per bambini. Mi fa meno piacere quando, per sottolineare quest'ultimo aspetto, usi uno stratagemma quale quello di definire i graphic novels come cosa diversa dal fumetto. non lo è. E' un linguaggio il fumetto, così come il cinema. E io chiamo film sia un'opera di Antonioni che un'opera di Vanzina. Il primo magari sarà definito un film d'autore, ma sempre di film si tratta. Qui invece cambiamo proprio parola, graphic novel non ha niente di etimologicamente simile a fumetto: è questo che mi disturba, una pura questione linguistica, ma le parole sono importanti.
    Venendo a Bonelli: Ken Parker non è durato perché il team di sceneggiatori/disegnatori non riusciva a reggere la cadenza mensile, mantenendo gli standar di stile e contenuti prefissati. Probabilmente non vendeva nemmeno tanto. Poi berradi e Milazzo hanno creato una rivista che conteneva le storie di Ken, prima dentro e poi fuori Bonelli: ma anche questa non funzionò commercialmente. Il motivo? L'obbligo di mantenere una cadenza mensile? O il basso spettro di lettori interessati? Uscisse adesso , magari si cercherebbe una formula diversa, ma non credo che le tirature sarebbero comunque altissime, come Bonelli invece assicurò. Ken fu uno straordinario tentativo di pubblicare un fumetto con contenuti e stile d'autore in edicola. Fu un errore o un fallimento? No, per niente, altrimenti non staremmo qui a discuterne. E chi permise questo? Bonelli....
    Riguardo poi alle sceneggiature che si ripetono e prevedono sempre gli stessi schemi. Certo, è così per i sempiterni Tex, zagor, Martin Mystere. Anche se comunque, ogni tanto, c'è una striscia di albi bellissimi. Vedi Tex premiato a Napoli comicon come miglior fumetto dell'anno. E lo confermo. Ma i 3 che ti ho citato (julia, Magico Vento e Caravan) prevedono il cambiamento come costante: il protagonista cambia durante la serie, e alla finenon è più quello di prima. Posso dirlo per Caraven, serie finita, e Magico Vento, che sta per finire. Julia per fortuna continua, ma sta evolvendo di storia in storia: d'altronde Berardi è l'autore. Aggiungo Storia del West, per citarne una vecchia: ne parlo in un mio vecchio post.

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  7. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  8. Il confronto che ti proponevo era quello tra film vs telefilm.

    Comunque, credo si debba fare un passo indietro e valutare il momento in cui Will Eisner coniò il termine...effettivamente devi ammettere che in quella prospettiva indicava una direzione diversa e un modo differente di rapportarsi al fumetto.

    Io non sarei così scontroso nei confronti della versione "commerciale" del termine; mi pare che siamo tutti d'accordo sul fatto che i fumetti in libreria ci stanno benissimo. Conquistare nuovi lettori potrebbe avere un ritorno persino per i fumetti seriali.

    Sono felice che Bonelli abbia pubblicato Ken Parker.
    Vedi, però, che anche tu individui in due dei pilastri fondanti il fumetto seriale i motivi della sua dipartita: il numero di lettori immediati (perchè poi nel tempo lungo i lettori di Ken Parker sono stati molti) e la cadenza serrata di uscita.

    Ciao e a presto.

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  9. @es & alessandro

    e mo' arrivo io con la mia consueta carica di leggerezza:
    il termine "graphic novel"... è una cagata pazzesca!

    provocazioni fantozziane a parte, come ben sapete entrambi anche io non sopporto l'uso (o meglio, l'abuso) del termine "graphic novel" che fu proprio sfruttato a fini puramente commerciali dal buon vecchio eisner (pare che il termine non l'abbia nemmeno ideato lui) per pubblicizzare il suo seminale "contratto con dio" nel 1978.
    mercato, ragazzi.
    e parliamo di eisner.

    anche per me è assurdo vaneggiare di "graphic novel" contrapposte a "fumetti" perché una graphic novel (occhio boyz che fa più figo dire "un" graphic novel, quindi adeguiamoci, dai!) altro non è che un fumetto.
    poi è ovvio che ci sono quelli che sulla questione ci fanno i manifesti (vedi eddie campbell qui: http://wasaaak.blogspot.com/2006/02/eddie-campbells-revised-graphic-novel.html ) e dicono (legittimamente) quel che gli passa per la testa in quel momento ma io sinceramente non mi fossilizzerei su una questione lessicale.

    anche per me ci sono fumetti belli e fumetti brutti. la serialità non è garanzia di bruttezza come l'autorialità non è garanzia di capolavoro.
    tra l'altro ignorare (in entrambi i casi) elementi di tipo economico e produttivo non sarebbe corretto: i fumetti che conosciamo nascono all'interno di un mercato che ha regole molto precise in termini di costo-efficacia.
    ciò vale per le serie ma anche per le graphic novel... pardon "i" graphic novel...
    (ci mancava solo la provincialissima diatriba sul genere... povera italia!)

    un bacione a tutti e due!

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  10. AVVERTENZA: il tono del seguente commento è ironico e divertito; come di persona che discute davanti a un grande boccale di birra con due suoi cari amici.

    ES: Beh...lo ammetto: io sono provinciale!

    Non è che me ne freghi più di tanto... se la questione mi stuzzica, dico la mia; altrimenti lascio perdere.

    Io preferisco il femminile per via che mi sembra più aggraziato, e anche qui, dicano pure gli altri come gli gira: la clitoride oppure il clitoride... per conto mio in questi casi decide l'Accademia Della Crusca!

    So di essere minoritario; basta girare pochissimo i blog, per vedere quante ringhiate e bastonate s'è presa la povera giornalista de: "La Repubblica".
    Testata giornalistica che non merita tutto 'sto disprezzo, visto cosa ha fatto per i fumetti negli ultimi anni (parlando di mercato: è stata la prima a lanciarli e ha trascinato in un effetto a catena tutti gli altri...persino i giornali sportivi hanno allegato i fumetti oramai!).

    Sono solo contro tutti; però mi ruga il fatto che chi si scaglia contro LA "Graphic Novel" lo faccia dicendo che è solo un'operazione commerciale e difendendo i poveri fumetti seriali...
    ...ma questi fumetti seriali son fatti da gente che più "commmerciale" non può essere (anche a ragione - visti i risultati).

    Ve la butto lì, anche a costo di sembrare contorto:
    perchè i fumetti di Bonelli sono ancora in bianco e nero?

    (ma tanto tu Biri, non li compri perchè pensi che son brutti! o no?)

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  11. ...burp!

    scusatemi. E' il boccalone di birra che mi fa sto effetto!

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  12. W "LA" graphic novel, assolutamente!!!!
    e W "IL/LA" clitoride a prescindere!!!!

    d'ogni modo mi pare che la discussione abbia preso una strana piega.
    mi sembra assurdo erigere barricate e contrapporre (tipologie di) fumetti a (tipologie di) fumetti.
    nessun fumetto è bello o brutto a prescindere. a prescindere c'è solo il/la clitoride...

    peraltro io non penso che i bonelliani siano brutti.
    se non li compro e non li seguo (dunque non posso averne un'opinione) è per una mera questione economica.
    ma non disprezzo la serialità: vedi hellblazer, tanto per dire.

    e detto ciò, brindiamo col boccalone di birra!

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  13. mi unisco al boccale di birra con due vecchi amici!! peccato che il boccale è solo virtuale... sarebbe bello continuare, o meglio, fare altri discorsi, e non solo sul fumetto, insieme dal vivo, con vera birra fresca...

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  14. PS: riguardo al fatto che i bonelli son creati da gente che più commerciale non si può... beh, qui il discorso è immenso: cos'è commerciale? tutto e niente... e comunque, prima di emettere un tale giudizio, bisogna conoscere l'argomento, ovvero comprare e leggere un po' di albi bonelli...

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  15. Se invece di Fumetto e Graphic novel si parlasse di cinema? Come verrebbero differenziati "Il favoloso mondo di Amelie", "Apocalypse now","Natale a Miami", "Manhattan" e "Il posto delle fragole" ?
    Buona sera e buona fortuna a tutti.

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  16. Alcuni usano il termine cinema d'autore per differenziare Bergman da Vanzina, ma si può semplicemente parlare di cinema di qualità o meno. Graphic novel è un termine che non contiene la parola fumetto, come se volesse discostarsi da questo, ma in realtà sempre di quello si tratta. In più sottintende che sia di qualità per forza... mica detto!

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  17. io ammetto i miei limiti e in materia di film e fumetti non ho niente da insegnae a nessuno.
    Però ripropongo la mia banalissima tesi: il confronto da fare non è tra film e film, ma tra film e telefilm!
    Infatti: entrambi i prodotti sono fatti con gli stessi ingredienti (ossia, in apparenza, lo stesso "linguaggio"): sceneggiature, regista, cast di attori, scenografie e set o "location" come si usa dire adesso, cineprese, montaggio...cito a caso...
    Tutti gli elementi sembrano essere identici, eppure: IL RISULTATO FINALE E' DIVERSO!
    E questo è indubbio, chi non riesce a distinguere un film da un telefilm?
    Perchè accade tutto ciò?
    Perchè il pubblico ai quali si rivolgono, i canali di distribuzione e la tradizione, sono differenti.
    Anche l'approccio ai due prodotti è diverso.

    Poi, concordo, ci sono film bruttissimi e telefilm di grande qualità, così come ci sono graphic novel noiose e boriose e fumetti da edicola avvincenti.

    Non trovo così scandaloso usare due denominazioni per due cose differenti.

    E mi sembra che nel famoso articolo di Repubblica non ci fossero offese o denigramento di quelle persone che operano nel settore dei fumetti di grande distribuzione.

    A proposito, sul Corriere della Sera di alcuni giorni fa è uscito un articolo sui fumetti e il cinema, a mio giudizio, ben più superficiale e privo di spunti utili (tra l'altro vi si trovava la solita accusa dei fumetti che istigano la demenza e la violenza e si citava come fumetto Shrek, che invece è nato come favola) e nessuno del campo ha detto nulla... ergo: è proprio la parola Graphic Novel che fa incazzare!

    Ciao

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  18. Guardate questo articolo e paragonatelo a quello sulle Graphic Novel:

    http://www.corriere.it/cultura/10_agosto_16/supereroi-violenza-egoismo-dipasqua_618b9b58-a917-11df-b3a8-00144f02aabe.shtml

    Manca una parte, ma provvederò volentieri a scannerizzarla e pubblicarla sul mio blog al più presto!

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  19. Se il confronto che tu proponi è quello fra film e telefilm, allora dovrei paragonare i fumetti one shot (i cosiddetti graphic novel) con quelli a puntate, distribuiti su più numeri? Ma allora Budda, Black Jack, Fenice o La storia dei 3 Adolf di Osamu Tezuka cosa sono? Solo perche' si sviluppano su più numeri non si possono chiamare graphic novel? Il pubblico cui sono rivolti questi fumetti è lo stesso di quello delle graphic novel.. Mah... Non mi sembri che calzi molto il confronto film-telefilm...

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  20. Le opere di Osamu Tezuka - che mi piacciono molto - sono molto datate e per un mercato tutto particolare come quello Giapponese dei tempi che furono...

    ...forse con Hayao Miyazaki ci capiamo meglio: "Conan il ragazzo del futuro" è in assoluto il miglior telefilm a cartoni animati che io abbia mai visto ed è più divertente e intelligente di tantissimi film a cartoni animati. E' una storia ad episodi, 25 o 27, se non erro. E' un telefilm di grande qualità. Ma è un telefilm, nel bene e nel male.

    Però, "La Città Incantata" è diverso, è un lungometraggio, nasce per essere visto in un solo "colpo", potrebbe essere diverso?
    Per me è impossibile.
    Miyazaki poteva andare da un produttore di cartoni animati seriali con la storia de: "La Città Incantata"? Poteva rispondere di fronte ad un sicuro rifiuto: "Embè?! E' sempre lo stesso linguaggio!"?

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  21. io trovo le opere di Tezuka del tutto contemporanee e adatte al pubblico attuale... poi possono piacere o meno, per me sono dei capolavori... non vedo perche' non ci si possa riferire a questo esempio, è il maestro del manga!!
    comuqnue, tu mi stai parlando di anime, che è un po' diverso, e restando a Miyazaki, di Nausicaa nella valle del vento (che è un film unico) esiste il manga su 7 libri... e quindi? è graphic novel o è seriale? mi sa che catalogare per forza le cose non funzioni sempre...

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  22. Anime? Che cosa è un anime? E' una formula giapponese per dire film a cartoni animati. E' la stessa cosa con lo stesso linguaggio solo fatto in stile e sensibilità giapponesi! Allora tu dici che "Graphic Novel" è una scatola vuota e poi usi anime per dire cartone animato giapponese... comunque, deponiamo le armi... ok,sono tutti fumetti. Ma se vuoi dire a uno che non ne sa nulla e ha montagne di pregiudizi (perchè gli esperti e quelli che già li amano non hanno bisogno che glielo spieghi) che c'è un fumetto, ma che non è fatto come quelli che ha sempre visto e che già crede di conoscere, cosa gli dici? Fumetto di qualità? E' una mossa vincente come marketing? O è poco accattivante? Gli vai a riproporre le cose nella stessa maniera?
    Va bene rimaniamo nella nostra riserva indiana a sbronzarci con il vecchio Wisky di sempre.

    P.S.: Le opere di Tezuka mi piacciono moltissimo, hanno definito tutti i generi manga (e quindi li precedono!)...ma sono datate, tanto è vero che alla scuola di fumetto, piena zeppa di adoratori del manga, nessuno lo conosceva...e quando ho mostrato qualcosa, hanno storto tutti il naso, perchè giudicato superato.

    Il tipo che mi ha venduto "Black Jack" nella fumetteria più grande di Brescia mi ha detto esplicitamente che fa fatica a venderlo, perchè è un prodotto considerato vecchio.

    Per me sono opere bellissime e attuali...ma non per il mercato, ed è a questo che mi riferivo.

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  23. stiamo discutendo fra amici di un argomento che ci appassiona... sbronziamoci insieme quindi.... ho usato la parola anime come sinonimo giapponese di cartone animato, dandogli la stessa valenza... il termine graphic novel invece non viene usato come sinonimo ma contiene (o vorrebbe contenere) un valore superiore di quello posseduto dal termine fumetto (o comics se usiamo l'americano)... se mi devo confrontare con una persona piena di pregiudizi nei confronti del fumetto gli dico che esistono, come nel cinema, dei fumetti di tanti stili e formati e che affrontano tutti i temi possibili, non uso un termine alla moda e sbagliato solo per semplificare e che alla fine non fa altro che confermare i suoi pregiudizi creando rinforzando nella sua idea il concetto fumetto d'edicola=porcheria, fumetto di libreria=qualità....

    PS: Tezuka è uno dei miei autori preferiti

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  24. Purtroppo i pregiudizi sono radicati e fortissimi: mi riprometto di dedicare uno o due post sull'argomento... e ne sentirai delle belle.
    Qualsiasi strumento atto a spezzarli è buono...per questo dico che anche la definizione "Graphic Novel" va benissimo e non è il caso di prendersela, soprattutto in tempi di crisi.

    Francamente non ho capito l'accanimento nei confronti della Tobagi, letteralmente massacrata, quando, ti ripeto, escono "studi sociologici" e articoli ben più stupidi e superficiali.
    Bisognerebbe contestualizzare e capire anche a chi era destinato l'articolo famoso.

    A proposito, completo la storia degli idolatri del manga, tieniti forte, dopo Tezuka ho mostrato Otomo, con un sorrisetto di superiorità hanno concluso: " Sì, ci sono autori migliori, roba già vista, etc... etc..."

    Otomo! Uno dei maestri assoluti! Non sapevano chi fosse!

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  25. ecco finalmente una definizione accettabile di graphic novel: è un formato. Ne parla Tito Faraci in questa intervista
    http://titofaraci.nova100.ilsole24ore.com/2010/09/di-fumetti-e-letteratura-a-mantova.html

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