Julia 149 - Le lancette del destino. Copertina: Marco Soldi |
Ne parlo solo ora, dopo un anno di apertura del blog: mi son reso conto di non aver dedicato nemmeno un post a Julia, uno dei miei fumetti preferiti, scritto da Giancarlo Berardi e pubblicato da Sergio Bonelli Editore. Eppure è un albo che mi accompagna ormai dall'ottobre del 1998 quando l'autore di Ken Parker tornò dall'editore milanese con un nuovo personaggio. Ne parlo ora perché il numero uscito in edicola in febbraio, intitolato Le lancette del destino, è un piccolo capolavoro.
E' una tipologia di storia nella quale Berardi è un maestro, e che tante volte ho ammirato leggendo la saga di Lungo Fucile. Si tratta di una di quelle narrazioni in cui il protagonista non è il personaggio cui è dedicata la serie, bensì compaiono sulla scena un insieme di persone di cui si narra un pezzo di vita. In altre parole è una storia corale, dove Julia è una in mezzo a tanti. Berardi fa emergere le storie di persone normali dosando con equilibrio e ritmo lo spazio dedicato ad ognuna di esse. C'è una colonna sonora, come spesso succede nelle storie di Julia, a far da sfondo comune alle vicende dei personaggi: in questo caso è quella di una stazione radio cittadina su cui son sintonizzati gli apparecchi radiofonici degli ambienti in cui si muovono i protagonisti. C'è una mattinata piovosa come tante, in una città come tante. C'è la gente che va al lavoro con la metro, c'è lo sciopero degli autobus, il traffico bloccato. Scene di vita urbana quotidiana. I destini si incrociano tragicamente in un ufficio postale, un altro luogo pubblico molto comune, nel quale i protagonisti si trovano gomito a gomito a far la fila allo sportello, o negli uffici retrostanti.
Julia 149 - Le lancette del destino. Sceneggiatura: Berardi / Calza. Disegni: Piccoli |
C'è spazio anche per una lezione di Julia all'università nella quale, esponendo le differenze fra Freud e Jung, la nostra coglie l'occasione per spiegare ai suoi studenti quali siano gli strumenti che un criminologo usa nelle sue indagini, ovvero profilo psichico e analisi del contesto ambientale.
"Simboli, sogni, libido, inconscio. Questo è l'universo di chi uccide, che porta alle estreme conseguenze ciò che è dentro ognuno di noi..."
In queste parole pronunciate da Julia sta la chiave e il nucleo dell'intera serie. Berardi, attraverso il suo personaggio, ci parla del disagio che pervade gli uomini e le donne che vivono nella società contemporanea. Quel disagio psichico che porta alcuni fra noi a compiere azioni criminali, che recano offesa, danno e morte ad altri. Il lato oscuro presente in ciascuno di noi viene raccontato senza moralismi: Julia non incontra lungo la sua strada dei mostri o dei folli, come spesso le cronache si affrettano a definire gli autori di atti efferati più per un meccansimo psicologico di difesa che per una reale analisi dei fatti. Julia affronta persone che per mille motivi agiscono in modo tremendo e cerca di porli di fronte alle proprie responsabilità. E questo accade anche nell'ufficio postale di Garden City, dove Julia si trova faccia a faccia con una donna che odia se stessa molto più delle sue vittime.
Coadiuvato nella sceneggiatura da Lorenzo Calza e affidatosi per i disegni all'ottimo Claudio Piccoli, Giancarlo Berardi ci offre un piccolo gioiello a fumetti. L'aspetto straordinario è che non è un fatto isolato: Julia è l'esempio di come un fumetto seriale possa raggiungere degli standard elevati di qualità pur sottostando all'incombenza temporale dell'uscita mensile. Come ha fatto con Ken, anche con Julia Berardi riesce a raccontare delle storie in cui prevale l'umanità dei personaggi, e lo fa con quella sensibilità, cura e attenzione che i suoi lettori gli riconoscono ormai da molti anni. L'aspetto però che più rincuora, come testimoniano le lettere pubblicate nella rubrica della posta Il Diario di Julia, è vedere come sempre nuovi e giovani lettori vengano conquistati dal personaggio. E questa è senz'altro un'ottima notizia.
Per quanto sia comunque una lettura di qualità, non sono mai riuscito ad affezionarmi al personaggio. Lo standard, come dici anche tu, è ben più alto di mille altre cose, ma Julia rimane un po' la "perfetta imperfettina". E a volte, gli aspetti legati alla psicologia (intesa come disciplina che studia il comportamento umano), vengono trattati come quella televisiva (ben più "scenografica" della realtà). Come nella serie "Lie to Me" dove, per quanto qualche episodio mi sia anche piaciuto, bisognerebbe spiegare agli autori che non basta incrociare le braccia per essere riconosciuti come persone chiuse. Questa è fantascienza. Anzi nemmeno, perchè altrimenti mi sarebbe piaciuta :)
RispondiEliminaNon è esattamente il caso della serie di Berardi, naturalmente, ma devo ammettere che su qualche storia da almanacco (quelle dove lei è una giovane studentessa), certe cose sono accadute.
Strabiliante invece come tratta e rispetta tutto il resto dell'umanità (piccola?) che fa girare nelle storie. Storie sempre orchestrate in modo perfetto. Ma come sappiamo, Berardi è comunque il maestro della sceneggiatura.
Dal punto di vista grafico, non ho mai davvero capito questa "omologazione" del segno. Forse fa comodo pensare che in questo modo (forse è vero, forse no) si piace a più gente, come per Diabolik. Ma pensavo che i tempi in cui si pensava a certe cose, fossero anche passati.
So che è sbagliato mettere a confronto le attuali cose dell'autore con quelle passate, ma in Julia ritrovo anche una "gabbia" narrativa che con Ken veniva bypassata in mille modi. Poi c'è anche da dire che senza quella, magari, è difficile con una serie arrivare a 150 numeri mensili da 130 pagine cadauno.
Insomma, non lo prendo tutti i mesi. Prendo solo i numeri dei quali si parla molto bene. Come in questo caso. Prenderò il 149 :)
P.S.: Ma quanto ho scritto??? Ma quando si parla di certe cose...
Nonostante sia un ingegnere, qualcosa di psicologia l’ho studiato mentre frequentavo la scuola di counseling e ti posso assicurare che, a mia memoria, Berardi non fa pronunciare a Julia delle argomentazioni psicologiche sbagliate, spicciole o banali. Ovviamnete non può certo farla discettare in modo troppo complesso e approfondito: non si adatterebbe allo svolgimento della narrazione.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la griglia narrativa: paragonata a Ken in effetti è più costante ma, nonostante questo, rimango sempre stupito da come Berardi riesca ad affrontare con estrema sensibilità molti temi importanti o meno che ci riguardano tutti. Realizza delle storie che ti pongono di fronte ad interrogativi reali in modo a volte disarmante e diretto, in altre con ironia o dolcezza. Mai in modo moralista o banale. Nelle lettere della posta spesso delle donne gli fanno i complimenti per come riesca a tratteggiare gli aspetti femminili delle protagoniste molto meglio di quanto facciano tante donne scrittrici (aggiungo che Berardi evidentemente ha molto bene integrata la propria parte psichica femminile, e quindi sa capire bene le donne: fatto comune a molti uomini, in realtà, anche se non abbastanza....)
Per i disegni: il segno in effetti è abbastanza simile fra i vari disegnatori. Poi ce n’è qualcuno che a me piace molto di più (come la Zuccheri). Ma mi sembra che Berardi sia molto “direttivo” in questo senso: pretende anche un certo tipo di tratto, e penso anche che ci stia.
Berardi è Berardi e in effetti riesce a districarsi in qualsiasi situazione in modo elegante.
RispondiEliminaNon intendevo dire che fa dire cose banali o piatte a Julia, ma che, comunque, l'aspetto psicologico lavorativo, a mio avviso, è trattato un po' come altrove, in modo standardizzato. Lo dico solo perchè tra famiglia e amici sono sommerso da psicologi che sono assolutamente contro la categoria "televisiva".
Ma come dicevi anche tu, non è detto che ci sia il bisogno di andare oltre una certa linea, altrimenti sarebbe un bagno di sangue e probabilmente la serie risulterebbe molto più pesante e verrebbe letta da meno persone.
Per come tratta invece "psicologicamente" gli altri personaggi, come dicevo, Berardi è sempre Berardi. Che sia Ken o Julia, nulla da eccepire. E anche volendo, non sarei in grado di giudicare.
E sulla parte grafica sono d'accordo: la Zuccheri è davvero una maestra. Essendo un fervente sostenitore dell'individualismo grafico, però, mi è solo dispiaciuto vedere e non riconoscere per nulla alcuni disegnatori che hanno lavorato alla serie come Dall'Agnol, Michelazzo, Siniscalchi o Zaghi.
a proposito dell'individualismo grafico, deo dire che mi hai messo la pulce nell'orecchio: andrò a rivedermi un po' i disegnatori "dimenticati"
RispondiEliminaAh! Questo è interessante. Mettimi poi al corrente della tua ricerca.
RispondiEliminaUna di quelle letture che meritavano l'approfondimento che gli hai saputo donare con questo post.
RispondiEliminaPersonalmente non la ho mai seguita moltissimo... tuttavia il tuo scritto mi fa desiderare di rivedere le mie posizioni.
:)
son contento Alberto di averti fatto venire un po' di voglia di approfondire la lettura di julia: non ne resterai deluso
RispondiElimina