Ci sono dei libri che mi appassionano, che mi catturano al punto che non vorrei mai interromperne la lettura. Non mi capita molto spesso, ma non è poi così raro.
Rarissimi,
invece, sono quei romanzi per i quali accade il seguente fenomeno. Mi prendono
sì, ma non al punto da farmi tirare le ore piccole. Sono interessanti, ben
scritti, ma non possiedono quel quid che me li fa considerare indimenticabili. E
questa impressione continua fino a quando non giro una delle pagine e.... boom!
Nella narrazione capita qualcosa, un fatto, una svolta, una rivelazione che sposta
il piano di lettura tenuto fino a quel momento e che lo catapulta in una
dimensione altra e superiore. Il libro diventa qualcosa di diverso rispetto a prima,
si trasforma. Questa metamorfosi ha il potere di sorprendermi con una forza tale
che solo un pugno inatteso e ben assestato nello stomaco sa provocare. Da quel
momento, leggo come in trance, sono assolutamente estraneo all’ambiente
circostante e ai suoi stimoli. Potrebbero pungolarmi con un ago accuminatissimo
e rovente ma io non staccherei gli occhi, pupille dilatate e palpebre
perennemente spalancate, dalle pagine del romanzo.
Questo è ciò che
mi è successo durante la lettura de "Il Caso Collini" di Ferdinand Von Schirach,
un breve legal thriller che spalanca una porta sulla coscienza. Ne parlo qui, su Fucine Mute.
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