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mercoledì 20 agosto 2014

Ken Parker e la sporca guerra


Ne La leggenda del generale, secondo episodo contenuto nel sedicesimo volume della collana Ken Parker pubblicata da Mondadori Comics, giunge alla maturazione una decisione che ha assilato Ken per lungo tempo: l'abbandono dell'esercito. Il nostro biondo amico è, infatti, uno scout, un esploratore che lavora per l'esercito degli Stat Uniti. Non è quindi un soldato, ha più libertà e spazio per la sua azione, ma deve comunque sottostare agli ordini che gli vengono impartiti dall'alto. Lo immaginiamo bene: non è la condizione ideale per Ken, che sappiamo essere uno spirito libero, uno che pensa con la propria testa, che ascolta gli altri e che cerca di mettersi nei loro panni prima di giudicare. Ma sappiamo anche che Ken non è un eroe, è un uomo e, come tale, ha mille dubbi. Ha certo le sue idee e i suoi ideali, ma sperimentarli nella realtà non è sempre facile: si rischia spesso di commettere degli errori. Poi, però, l'importante è che si impari da essi, e questo sappiamo che Ken lo fa. E ci piace per questo.


Lungo Fucile esprime per la prima volta in modo esplicito i dubbi riguardo al proprio lavoro nell'episodio Lily e il cacciatore (storia meravigliosa disegnata da Ivo Milazzo su cui tornerò in un altro post). Ken ammette di fronte ad un soldato di non saper far altro che la guida e che per guadagnarsi da vivere gli è toccato di ritornare sotto le armi. All'obiezione avanzata dal commilitone che non si tratta comunque di una brutta vita, Ken ribatte:
"Sì, basta abituarsi a non pensare. L'esercito è solo uno strumento nelle mani dei politici, senza volontà propria. E il più delle volte diventa uno strumento di sopraffazione e di morte."
Le parole che Giancarlo Berardi fa pronunciare a Ken sono molto chiare e nette: ma non sufficienti a spingere il suo personaggio a tradurle in un'azione coerente. Ken rimane ancora nell'esercito. D'altronde, lo ha detto lui stesso: non sa far altro e di qualcosa bisogna pur vivere.
Nell'episodio successivo, Pellerossa (sceneggiato da Maurizio Mantero e disegnata da Carlo Ambrosini e Ivo Milazzo), Ken incontra una sua vecchia conoscenza, il capo cheyenne Mandan, tragico protagonista del primo episodio della collana, Lungo Fucile. Allora il capo indiano aveva rifiutato il fucile che lo scout intendeva donargli come arma di difesa per il proprio figlio dalle future insidie dell'uomo bianco. Il motivo di questo rifiuto era dettato dalla constatazione che le armi non avevano giovato al popolo rosso, causando solo morte e distruzione. Il figlio di Mandan avrebbe quindi dovuto trovare un altro modo per combattere. Alcuni anni dopo, Ken si imbatte nel capo indiano durante un drammatico assedio, nel quale lo scout sta difendendo uno sparuto convoglio composto da donne, bambini e soldati feriti, dall'assalto di un folto gruppo di guerrieri pellerossa. Il loro capo è Mandan e, quando i due per caso si riconoscono, un epilogo più doloroso viene scongiurato. Il Nostro non risparmia comunque all'altro le parole non mantenute di allora, ma il dialogo che ne nasce rappresenta una dura lezione per Ken. E' Mandan ad iniziare:
"Ricordi le parole di quel giorno?"

"Le ricordo. Dicevi che non avresti più impugnato le armi."

"Non si può restare a guardare quando il proprio popolo muore."

"A volte l'unico modo che un uomo ha di camminare diritto è quello di cambiare strada!.."

"Tieni, Lungo Fucile. Cambia strada anche tu. Non si può camminare diritto insieme alle giacche blu!"
Porgendo a Ken il suo fucile, Mandan gli ricorda che non si può separare la propria coscienza dai propri atti o da quelli compiuti dall'organizzazione cui volontariamente si appartiene. Nell'ultima vignetta Ken guarda Mandan allontanarsi sul proprio cavallo: è ammutolito, non sa cosa rispondere.

 
Berardi non usa solo il personaggio protagonista della serie per farci capire quello che pensa, ma anche, spesso, i comprimari, o meglio, i protagonisti delle storie di cui Ken è testimone. Nell'episodio Il caso di Oliver Price (sceneggiato da Alfredo Castelli e disegnata da Giancarlo Alessandrini) è l'acceso dialogo fra il colonnello Price e suo figlio Oliver, nuova recluta arrivata al forte all'insaputa del padre che lo comanda, ad aggiungere elementi al quadro entro cui l'immagine dell'esercito viene ritratta.
"Ed eccoti qua... arruolato come soldato semplice insieme a un mucchio di vaccari che non sanno nè leggere nè scrivere e sono solo poco meno bestie delle bestie che macellano... Tu, mio figlio, in mezzo a un gruppo di disperati il cui massimo divertimento è gettare i petardi a una recluta o portrsi a letto una lavandaia.."

"Vedo che hai molta stima dei tuoi uomini papà!"

"Sono ottimi soldati! E lo sono proprio perché non hanno una cultura, una preparazione personale. E quando suona la carica vanno all'attacco senza pensare se ciò che fanno è giusto o non è giusto..."
Il concetto espresso precedentemente è quindi rinforzato: per uccidere non serve pensare, anzi è deleterio.


Ma è appunto ne La leggenda del generale (sceneggiata da Berardi insieme a Maurizio Mantero e disegnata da Carlo Ambrosini e Ivo Milazzo) che Ken trova la forza di abbandonare l'esercito. Prende la decisione di fronte allo scempio di cadaveri che copre l'erba di uno dei teatri di guerra diventati più celebri: il Little Big Horn. Tutto l'episodio è incentrato sulla corsa contro il tempo sostenuta da Ken per raggiungere il Settimo Cavalleggeri comandato dal generale Custer, al quale è stato assegnato come scout. Per sua fortuna, una serie di eventi intralcia il cammino del Nostro, facendolo arrivare in ritardo sul luogo della battaglia. Una parte del viaggio è condotta su di un battello che naviga lungo il Missouri, dove Ken fa la conoscenza di Monahseeta, un'indiana che nel passato era stata prigioniera ed amante di Custer e che ora, insieme al figlio avuto dal generale, cerca di raggiungere. Lungo il viaggio fluviale Ken trova il modo di esporre ad un soldato ciò che pensa sull'esercito:
"Beh, è un po' che penso di mollare tutto. Da quando sto con l'esercito, ho visto commettere le peggiori atrocità, in nome di interessi che non sono certo i miei...
Finora mi ha trattenuto la considerazione che non so fare altro che la guida. Ma più passa il tempo, e più mi sembra solo una scusa..."
Il processo decisionale sta giungendo alla sua conclusione. Ken ha capito che sta mentendo a se stesso e che non può più nascondersi.
Passano infatti solo pochi giorni e ciò che Ken vede al Little Big Horn lo spinge all'azione. Ken si rivolge a Monahseeta, riferendosi agli altri soldati giunti con loro sul luogo della battaglia:
"...Guardali, sono tutti assetati di vendetta, e posso anche capirli!...Però io sono stufo di stare nel mezzo! Stufo di dovermi dividere tra il dovere e la coscienza!
Dopo questo, il tuo popolo non ha più scampo. Ma non asisterò alla sua agonia...Io ho chiuso con questa sporca guerra!"

"Hai deciso di lasciare le giacche blu?"

"Sì. E questa volta per sempre."
La decisione infine è presa e non si torna più indietro.   

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