Fortunatamente Corto Maltese si sbaglia: personaggi reali, e non di fantasia come lui, hanno immolato infatti la propria vita in un atto coraggioso e disinteressato, in nome della libertà e della dignità dell'uomo. È questo il caso di Jozef Gabcìk e Jan Kubis, i due paracadutisti, uno ceco, l'altro slovacco, che si avventurarono in una missione suicida per uccidere lo spietato Reinhard Heydrich, la bestia bionda, il numero 2 di Himmler, l'architetto della soluzione finale degli ebrei. Operazione Antropoide era il nome in codice della più spettacolare ed eroica azione di guerriglia partigiana messa in atto in Europa contro il nazifascismo.
Il teatro è il seguente: la Cecoslovacchia è divisa e assoggettata al giogo nazista, il Protettorato di Boemia e Moravia è affidato al feroce gerarca delle SS che soffoca in un terrore sanguinario ogni resistenza locale, la Praga del 1941-1942 è completamente sottomessa al principe nero. Il governo cecoslovacco di Benes, in esilio a Londra, progetta l'attentato affidandone l'esecuzione a due giovani soldati. Non ne sapevo nulla finché non ho letto “HHhH– il cervello di Himmler si chiama Heydrich” l'appassionante romanzo di Laurent Binet, giovane studioso francese ossessionato da questa vicenda. L'opera di Binet in realtà sfugge ad una chiara definizione: non è esattamente un romanzo ma è appassionante come solo i migliori romanzi sanno essere. Binet entra in prima persona come personaggio raccontandoci la storia della sua ossessione per Antropoide, ci svela tutte le sue ricerche, i suoi dubbi, la cura e gli scrupoli osservati nella ricostruzione storica. Chiede scusa al lettore ma soprattutto ai veri protagonisti storici se, facendone un romanzo, altera inevitabilmente la realtà (“la Mercedes su cui viaggiava Heydrich al momento dell'attentato era verde o nera?”). Ma è solo attraverso la letteratura che il suo omaggio ai resistenti fa imprimere la loro figura nella memoria collettiva. Il pregio del libro sta proprio nel far rivivere i protagonisti, i loro sentimenti, le loro idee anche e soprattutto grazie alla vibrante passione dell'autore, trasmessa al lettore in ogni pagina. Il 27 maggio del 1942 l'attentato si compie e il suo svolgimento sembra scritto da uno sceneggiatore di Hollywood: la granata lanciata contro la Mercedes non uccide ma ferisce la bestia bionda che si rialza in piedi per sparare al partigiano il cui Sten si è inceppato. C'è la fuga attraverso le vie di Praga e la ricerca di un nascondiglio all'interno di una cripta dove, a distanza di pochi giorni, dopo che la bestia bionda è morta in ospedale in seguito alle ferite, un lungo assedio da parte di ottocento SS avrà ragione di pochi uomini. In quella cripta Binet torna dopo più di sessant'anni e ritrova tutto:
Laurent Binet |
C’erano le tracce ancora spaventosamente fresche del dramma che si era consumato in quella stanza piú di sessant’anni prima: l’interno della finestrella che avevo scorto da fuori, un cunicolo scavato per qualche metro di lunghezza, scalfitture di proiettili sui muri e sulla volta, due porticine di legno. Ma c’erano anche le facce dei paracadutisti in alcune fotografie, in un testo in ceco e in inglese c’era il nome di un traditore, c’erano un impermeabile vuoto, un tascapane, una bicicletta raffigurati insieme su un manifesto, c’era effettivamente un mitra Sten che s’inceppa proprio nel momento peggiore, c’erano nomi di donne, c’erano accenni a imprudenze commesse, c’era Londra, c’era la Francia, c’erano soldati della Legione straniera, c’era un governo in esilio, c’era un villaggio chiamato Lidice, c’era una giovane vedetta di nome Valčík, c’era un tram che passava, anch’esso, nel momento peggiore, […], c’erano la grandezza e la follia, la debolezza e il tradimento, il coraggio e la paura, la speranza e il dolore, c’erano tutte le passioni umane riunite in pochi metri quadrati, c’era la guerra e c’era la morte, c’erano ebrei deportati, famiglie massacrate, soldati sacrificati, c’erano vendetta e calcolo politico, c’era un uomo che, fra l’altro, suonava il violino e tirava di scherma, c’era un fabbro che non ha mai potuto esercitare il suo mestiere, c’era lo spirito della Resistenza che si è scolpito per sempre su quei muri, c’erano le tracce della lotta tra le forze della vita e quelle della morte, c’erano la Boemia, la Moravia, la Slovacchia, c’era tutta la storia del mondo racchiusa in poche pietre.”
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