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domenica 30 ottobre 2011

Fumetto e graphic novel: W. Chendi, Devescovi, Manfredi e Milazzo dicono la loro

Dei cosiddetti "graphic novels" e della loro contrapposizione con il termine fumetto avevo già parlato qui.
Mi sembra interessante riportare l'opinone di quattro addetti ai lavori: Walter Chendi, Franco Devescovi, Gianfranco Manfredi e Ivo Milazzo. Si tratta di grandi professionisti italiani del mondo delle nuvole parlanti, ai quali, nel corso delle interviste che mi hanno rilasciato, ho posto, fra le altre, una comune domanda, questa:
"Personalmente mi ritengo un appassionato di fumetti di formazione bonelliana, cioè qualcuno che, da bambino, come tanti, ha scoperto i fumetti grazie agli albi della casa editrice milanese. Poi sono cresciuto e ho imparato ad apprezzare tanti altri autori e generi, ma Bonelli mi ha dato gli strumenti per farlo e tuttora lo seguo. Oggi c’è la tendenza in Italia da parte di molti a contrapporre un fumetto d’autore, da libreria, a un altro popolare, da edicola, per cercare di invogliare ai fumetti coloro, e sono tanti purtroppo, che credono che si tratti solo di una lettura banale per ragazzi. A tal fine si usa anche il termine graphic novel quasi distaccandosi, anche con le parole, dal termine fumetto. Non pensi che si tratti solo di un’operazione di marketing e che in realtà il fumetto è un linguaggio e che il valore artistico di un’opera va al di là del fatto che sia pubblicato in edicola o in libreria?"

Walter Chendi, autore e disegnatore delle sue opere, manifesta con la chiarezza della sua risposta la schiettezza dell'uomo che sta dietro l'artista. Chendi chiama in causa la responsabilità degli editori e delle loro scelte "commerciali":

"È ovvio, o dovrebbe esserlo. Il fatto che il fumetto sia pubblicato in edicola o in libreria è una scelta editoriale, commerciale, di distribuzione. Riguardo al termine “graphic novel”: allora, diciamo che io non faccio fumetto ma faccio bande dessinée, anzi, visto che sto a Trieste, mi suona meglio historieta. Se io facessi delle historietas, sarebbe diverso? Io sempre quelle storie faccio! Il problema ritorna agli editori, secondo me, perché se, come ho letto, fare l’editore non è stampare libri ma non stamparne certi, forse basterebbe solo questo. Ci vorrebbe più selezione. Se ci fosse una selezione, ci sarebbe una crescita di prodotto. È lo stesso discorso della televisione: nessuno ha interesse a fare in televisione L’idiota o I fratelli Karamazov, è meglio a fare un paio di isole, invece di produrre 3 ore ne produciamo 34 con metà dei costi, senza problemi e con i culi di fuori. Ci sono troppo ragazzi in fila per presentare della roba fatta in poco tempo. Il tempo ha la sua importanza."

Franco Devescovi, disegnatore puro, rimarca come il pubblico, a volte, usi un termine solo perché veicolato dai mass media, senza nemmeno riflettere sul suo significato: beh, aggiungo che è l'obiettivo della cattiva pubblicità e del cattivo marketing, (sempre se ne esistono di buoni...). L'idea poi del romanzo come un written comic book, un fumetto senza immagini, sarà sì provocatoria, ma, spesso, capovolgere i punti di vista aiuta la mente a liberarsi da limitanti stereotipi: 

"Per me è indifferente usare un termine o l’altro. Alla recente mostra di Villa Manin ho tenuto un incontro col pubblico e una ragazza mi ha fatto una domanda usando il termine graphic novel. Al che io le ho chiesto la differenza fra fumetto e graphic novel: non lo sapeva… Graphic novel significa novella grafica, e non è una novella grafica anche il fumetto? Cos’è? Graphic novel è più intellettuale? È un’operazione di marketing. È come la distinzione tra fumetto d’autore e seriale: quello d’autore è fumetto di nicchia, d’élite, come dire che quello seriale è da proletari, popolare, per le serve come i giornali tipo Grand Hotel che venivano chiamati giornali delle serve, senza voler assolutamente mancare di rispetto alle colf, perché si presumeva che chi faceva la fantesca non avesse un grado culturale elevato.
Ho visto disegnatori di fumetti considerati d’autore che fanno delle boiate pazzesche e ho visto dei bellissimi fumetti seriali, non solo italiani ma anche americani (vedi Rip Kirby o Flash Gordon, pubblicati fra l’altro sui giornali quotidiani). Io sono un disegnatore come lo era Gustave Doré o come Egon Schiele, ma non mi metto alla pari con un pittore, anche se ci sono dei pittori che potrebbero imparare molto da un fumettista. Perché devi fare distinzioni? Il fumetto è una forma d’arte, magari povera, ma sempre arte. Franco Caprioli, che aveva frequentato l’Accademia delle Belle Arti, in un’intervista aveva detto che gli sarebbe piaciuto fare il pittore, ma siccome la strada per l’Arte con la “A” maiuscola era molto gravosa e piena di intoppi, aveva scelto una stradina, che fiancheggiava quella strada grande, che portava all’arte con la minuscola ed era così diventato disegnatore di fumetti, arte con la minuscola. Forma d’arte meno opulenta quindi, quella dei fumetti, ma pur sempre arte. Mi accorgo che sto un po’ divagando. Quindi concludo dicendo che per me non esiste alcuna differenza tra graphic novel e fumetto… o vogliamo chiamare il romanzo Fumetto senza figure?"

A parte il punto di vista originale e tagliente su "Maus" di Spiegelman, nel pensiero di Gianfranco Manfredi, autore puro, si sottolinea il richiamo all'origine popolare del fumetto e alla responsabilità dell'autore nella scelta di esprimersi anche mediante immagini o attraverso pagine solo scritte:

"La penso come te, anzi penso addirittura che molti autori di graphic novel non riuscirebbero mai a disegnare un fumetto Bonelli perché sono meno bravi tecnicamente. Molte cose spacciate per fumetto d’autore, si vendono così in virtù del tema scelto, che magari è di qualche interesse politico-sociale, ma dal punto di vista estetico producono delle cose poverissime e di una monotonia desolante, con gabbie ancor più affliggenti di quelle di un fumetto normale. Non sono così scemo da non ammettere che Maus è un grande fumetto, però sono altrettanto sincero confessando che tutti quei topi in pagina, mi sembrano avvilenti, anzi un mezzuccio. L’Olocausto meriterebbe ben altro e sottilmente mi ripugna vedere la tragedia storica degli ebrei rappresentata così, anche se capisco le ottime intenzioni. Che senso ha costruire un intero romanzo su una metafora? In fumetto ha ancora meno senso, perché le immagini diventano ripetitive, al di là del contenuto. Personalmente se devo stare in libreria, preferisco farlo con un romanzo piuttosto che con un fumetto. Se non altro mi assumo anche la responsabilità stilistica. Dunque giustifico che un autore completo (di testo e disegni) di preferenza possa scegliere la libreria, ma io non disegno, dunque preferisco essere presente in libreria con un romanzo puramente letterario. I fumetti nascono dalle pagine dei giornali. Se tagliano i ponti con questa loro origine, povera, ma che ha richiesto uno sviluppo impressionante di tecniche sia narrative che di disegno, e vanno verso la forma libro, secondo me ci perdono. Fatalmente il lettore pensa che se uno ha bisogno di disegnare una storia è perché non riesce a farlo ricorrendo alle sole parole. Chi ha come sua principale espressione le immagini è avvantaggiato, ma i narratori letterari, tranne rare eccezioni, si ritrovano sacrificati e immiseriti."


Un altro grande disegnatore, Ivo Milazzo, evidenzia, al di là della forma usata per darle un nome, l'importanza del lavoro che c'è dietro l'opera: l'impegno di creatività e di natura economica. E si domanda anche quanto delicato sia parlare di arte:

"Fumetto, bd, historietas, quadrinos, graphic-novel. Tutti sinonimi per definire il “racconto disegnato”. Il luogo dove esso viene messo a disposizione per il lettore non ha grande importanza. Fondamentalmente è importante capire che dietro c’è sempre e comunque un grande sforzo creativo ed economico. Se poi esso sia arte… è un altro discorso, molto complesso e articolato. Oggi in Italia si usa spesso questo termine, a volte senza avere esattamente decodificato, e perciò capito, l’oggetto di riferimento."

Gli spunti offerti da questi quattro "fumettisti" sono molteplici e interessanti: mai, da ragazzino, avrei pensato che si potesse dire tanto sui "giornalini"....

2 commenti:

  1. @ Devescovi: solo una tiratina d'orecchie. Novel tradotto vuol dire romanzo non novella. Per il resto poche idee, ma confuse.
    @ Manfredi: Maus è un capolavoro conclamato del fumetto in tutto il pianeta Terra dove, Le ricordo, non esistono solo i fumetti prodotti dal suo editore (!). C'è un'infinita diversità di segni e linguaggi. Il suo giudizio pecca di arroganza e supponenza, scusi. (Manfredi chi poi!? Quello che Magico Vento è fallito. CHIUSO. Capirai...). Non basta aver avuto un personaggio di successo (?) in edicola (e in Italia) per avere cognizione del fumetto internazionale naturalmente, ma un minimo di umiltà aiuterebbe a evitare certe figuracce. Un consiglio: rifletta cinque minuti la prossima volta prima di sproloquiare. Prosit!

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  2. @Boogyeman: le opinioni degli altri vanno rispettate, cosa che tu non fai in questo commento. Ogni opera a fumetti, per quanto famosa e importante, è soggetta al libero giudizio e al gusto di qualsiasi lettore. L'arroganza e supponenza sono solo quelle che dimostri tu sbeffeggiando sia Devescovi che Manfredi.

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