martedì 18 maggio 2010
La via della semplicità
"C'è sempre la via della semplicità, anche se mi ripugna intraprenderla. Non ho figli, non guardo la televisione e non credo in Dio, tutti sentieri che gli uomini calpestano per rendere la loro vita più semplice. I figli aiutano a rimandare l'angoscioso dovere di affronatare se stessi, compito a cui in seguito provvedono i nipoti. La televisione distrae dalla massacrante necessità di fare progetti a partire dal nulla delle nostre frivole esistenze e, ingannando gli occhi, solleva la mente dalla grande opera del senso. E infine Dio mitiga i nostri timori di mammiferi e l'insopportabile prospettiva che i nostri piaceri un giorno abbiano fine. Quindi io, senza futuro nè prole, senza pixel per stordire la cosmica consapevolezza dell'assurdo, certa, invece, della fine e della previsione del vuoto, credo di poter affermare che non ho scelto la via della semplicità."
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ciao Alessandro...finalmente batto un colpo. Ho cercato di seguirti, per quanto fuggevolmente a causa di "travagli vari".
RispondiEliminaMi ritaglio cinque minuti per farti ancora i complimenti per il blog e per commentare il tuo post in cui mi sento per forza di cose tirato in ballo: dato che mi ha raggiunto il mio secondo figliolo: Roberto.
A tal proposito non posso che dissentire vivacemente sul fatto che avere figli sia "una via della semplicità" e mi pare che in questa affermazione ci sia anche un poco di supponenza che rimanda alla favola della "Volpe e dell'uva".
Da quando poi fare il genitore sia "semplice" se tutti riconoscono che sia il mestiere più difficile del mondo?
Per quanto riguarda la mia esperienza di padre - sin qui stupenda - ti assicuro che i figli ogni giorno ci mettono di fronte a interrogativi che superficialmente gli adulti pensano di avere superato e che invece hanno solamente seppellito senza superare: emergono di continuo ricordi, memorie, eventi passati.
Si è costretti a rielaborare i rapporti con se stessi e ripatteggiare quelli con le figure della nostra infanzia: in primis con le figure dei nostri genitori.
Insomma, occorre reinventarsi e "superarsi" ogni giorno; il tutto immerso in uno stress fisico e organizzativo non indifferente.
Serve lavorare per se stessi, per gli altri; lavorare sul rapporto con l'altro genitore; combattere con una società che non ti aiuta e spesso ti si contrappone.
Spesso cerchi di resistere semplicemente.
Sul fatto di "guardarsi dentro partendo dal nulla" si ha molto tempo per farlo: di notte, cullando avanti e in dietro un pargolo che non riesce a prendere sonno. Non hai null'altro da fare.
Intanto, quelli con l'eleganza del riccio possono trastullarsi al cinema, a teatro, a conferenze letterarie. Possono frequentare corsi di scrittura creativa.
Non è ottundimento anche questo allora?
Chiaramente parlo da uno che sta "dall'altra parte della barricata"; da partigiano.
Con Affetto
Emiliano
Ciao Emiliano, saluto con un bacio e un abbraccio il piccolo Roberto: son felicissimo per te e Barbara.
RispondiEliminaTornando al post: io penso che il punto di partenza sia la strutturazione del tempo. E’ questo infatti uno dei problemi principali dell’uomo: come trascorrere il tempo, come usarlo, cosa fare di questa risorsa. Lo è da sempre e ci sono tante possibilità di scelta. La società, la civiltà in cui si è organizzato l’uomo e la sua psiche offrono delle possibilità pre-confezionate: le 3 citate (figli\famiglia, televisione, Dio\religione) ma ci aggiungo anche il lavoro. Queste 4 “offerte” risolvono il problema: ti “incasinano” a tal punto la vita occupando il tuo tempo, sempre se lo vuoi, che non hai tempo di pensare ad altro. Non è ovviamente una regola, non vale per tutti né vale la regola opposta secondo la quale chi non pratica queste “occupazioni” automaticamente dedica il suo tempo a capire il senso profondo della sua vita e di quella degli altri. La vita posso rendermela semplice creandomi una serie infinita di passatempi/grattacapi/problemi da risolvere/eventi da organizzare/appuntamenti da incastrare. I figli, in particolare, noto che spesso sono una fuga, non solo da se stessi, ma anche dalla coppia. Troppe volte vedo copie che trascurano se stesse e fuggono dai propri problemi mettendo al mondo un figlio che, occupando la maggior parte del loro tempo, li esula dall’affrontare se stessi e i propri guai. Per fortuna ce ne sono anche altre, poche secondo me, che invece allevano un figlio in modo consapevole e considerandolo un arricchimento per se, il partner e la società intera.
Non so se hai letto l’eleganza del riccio: l’ho trovato divertente, intelligente e ricco di spunti. La protagonista è tutt’altro che una frequentatrice di teatri, cinema e corsi di scrittura creativa: è una povera e misera portinaia, che vive ai margini della società ma che, grazie all’incontro con 2 persone, scopre l’amore per la vita e per gli altri. E’ un processo fantastico.
Qui poi non ci sono barricate da erigere, parti da difendere: porto tutto il mio rispetto possibile per le famiglie di onesti lavoratori che cercano di sopravvivere in questa società che, se da una parte ti spinge a far figli, dall’altra poi ti mette i bastoni fra le ruote ad ogni occasione. Il mio impegno di sindacalista va anche in questa direzione, pur avendo scelto nella mia vita di non diventare genitore.
Spero di avere chiarito il mio pensiero, che avevo sintetizzato nella citazione del libro.
Un abbraccio caloroso,
Alessandro