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martedì 2 marzo 2010

I shot a man in Reno..


..just to watch him die. Sono dei versi tratti da Folsom Prison Blues, una delle più celebri canzoni di Johnny Cash. Se fosse ancora tra noi, lo scorso 26 febbraio avrebbe compiuto 78 anni. Quel giorno è uscito l'ultimo disco della serie American recordings, American VI: Ain’t No Grave, prodotto anch'esso, come i precedenti, da Rick Rubin. The Man in Black lo registrò in condizioni di salute molto precarie, mentre stava ancora piangendo la morte della moglie June Carter: è il suo modo di dire addio al mondo, il suo ultimo saluto.


E' proprio attorno alla canzone Folsom Prison Blues e al famoso concerto che Cash tenne in quella prigione, che è incentrato il bel racconto a fumetti di Reinhard Kleist "Cash - I see a darkness", pubblicato in Italia da BlackVelvet.


E' un tributo del giovane autore tedesco al più grande cantante country di tutti i tempi. Con un tratto un po' sporco ma deciso, Kleist ci illustra la vita movimentata dell'uomo che diventò una leggenda. Ci sono gli inizi difficili e i primi tour on the road per l'America, l'incontro con la moglie June Carter e la dipendenza dalla droga, mostrata in tutto il suo degrado ma di cui non si tace la fonte di ispirazione che comnque rappresentò per Cash. E' quindi un racconto sincero che culmina nel live a Folsom Prison, dopo il quale Cash divenne il più celebre cantante d'America.


Fu proprio grazie a Folsom Prison Blues e al suo testo che Cash divenne così famoso presso i detenuti. Folsom era un carcere di massima sicurezza dove erano rinchiusi i criminali più pericolosi d'America, o per lo meno quelli ritenuti tali. Quei pochi versi furono capaci di instaurare un sentimento di empatia nei loro confronti, e per Cash fu un trionfo.
Si narra anche la storia dell'incontro di Cash con Glen Shirley, un detenuto di Folsom che scrisse la canzone "Greystone Chapel" cantata dallo stesso Cash e inserita nella scaletta appena la sera precedente.


Qui sopra vediamo Cash ringraziare Sherley dopo l'esecuzione della canzone. Fu uno dei momenti più emozionanti della vita di Sherly, come dichiarò egli stesso. Nel fumetto Cash racconta poi a Rubin la triste storia di Sherley che, uscito di prigione, cominciò a collaborare con Cash ma, ottenuto il successo dopo la libertà, non li resse, fu licenziato da Cash, divenne vagabondo e infine si suicidò.
Kleist non nasconde vari dettagli della vita dell'uomo in nero, come il fatto che durante un tour girò armato di pistola, perché minacciato dal Ku Klux Klan in seguito alla pubblicazione di un disco in cui raccontava la storia degli indiani d'America. Fu boicottato anche da tutti i media perché assunse un nativo come consulente per l'album.


Dopo essere diventato un cantante che vendeva più dei Beatles ed Elvis, Cash, sempre più scomodo e inviso alle case discografiche, poco a poco sparì dalle scene, fino all'incontro negli anni 90 con Rubin che lo convinse a portare a termine un'opera grandiosa: i dischi dell'American recordings in cui Rubin fece cantare a Cash cover di brani vecchi e nuovi, di star famose come gli U2 o i Soundgarden e di altre meno note, il country dell'uomo in nero incontrava il mondo.


Anche questo c'è nel fumetto, lo vediamo nella tavola qui sopra: il vecchio e stanco Johnny sollecitato e spronato da Rick, mentre gli propone Hurt, quella che diventerà l'apice del successo di questi dischi.
Io conobbi the Man in Black tardi, appena nel 1993, quando comprai Zooropa, l'album degli U2 che conteneva una traccia, "The Wanderer", cantata da un certo Johnny Cash, una voce bassa, profonda e forte. Mi rimase impressa e diversi anni dopo la riscoprii nella sua anima country acquistando proprio il cd "Johnny Cash at Folsom Prison", nella versione non censurata dei commenti coloriti che Cash si scambiava con i detenuti.


Qui sopra Johnny Cash e June Carter a Folsom Prison
E' davvero un piacere rivivere lo spirito dell'album nel racconto a fumetti di Reinhard Kleist.



7 commenti:

  1. Molto interessante.

    Io ho scoperto la storia di Cash e del concerto nella prigione di Folsom alla radio (Radio 24 - trasmissione dedicata alle vite di musicisti).

    Fu un momento di enorme felicità e di "evasione" per i detenuti.
    Dico questo senza ironia. Fu una vera evasione dalla routine e dalla vita lugubre del carcere.

    Il racconto alla radio fu molto commovente. Chiaramente, tra le parole si inserivano i brani musicali del disco che ne fu tratto. E si percepiva chiaramente quell'energia che si era creata tra Cash e questo pubblico.

    Se non ricordo male, Cash scelse i carcerati come pubblico, perchè li riteneva più "veri" e vicini, nella loro disperazione, al cuore della vita... qualcosa del genere...

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  2. @ulla:
    ma guarda tu se per scoprire johnny cash mi tocca leggere un tuo post... dopo che abbiamo vissuto insieme un anno intero!

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  3. @emiliano: Cash si sentiva molto più simile a loro che a tanti altri a piede libero....

    @biri: il fatto è che quando condividemmo quell'anno insieme, di lui mi era noto solo il pezzo The Wanderer. L'ho riscoperto dopo, negli anni 2000....

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  4. ragazzi...ma lo sapete che parlate di un anno insieme proprio come dei carcerati... beh in effetti: voi a Folsom e io a San Quintino.

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  5. se penso poi al tuo compagno di cella mi vengono i brividi....

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  6. @ulla:
    considerato il post direi che in quel caso certo non valeva il (sopra)nomen omen...

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