giovedì 27 dicembre 2018

Zerocalcare al Sincrotrone


Per chi, come me, ha studiato ingegneria elettronica a Trieste, il Sincrotrone di Basovizza è sempre stato un luogo da guardare con rispetto e adorazione. Lo popolavamo di geniali ricercatori, fisici ed ingegneri, che piegavano le parti più infinitesimali della materia alla realizzazione di complicatissimi esperimenti scientifici. Sognavamo di poter essere un giorno anche noi fra coloro che avrebbero progettato nuovi delicati dispositivi di controllo del flusso di elettroni sparati ad altissima velocità all'interno di questo enorme anello. Mai però mi ero immaginato nelle vesti di un celerino che irrompe dentro l'anellone sdraiato a manganellare gli elettroni più sfaticati, esausti dalla corsa a folle velocità cui sono costretti. Solo una mente brillante e creativa come quella di Zerocalcare avrebbe potuto rendere in modo così divertente l'idea alla base del funzionamento di Elettra.
Educazione subatomica, il racconto a fumetti che è nato dalla visita che l'autore romano ha fatto quest'estate alla struttura scientifica costruita sul Carso triestino, è contenuto in The Light Issuel'ultimo numero di Comics&Science, la rivista bimestrale edita dal Cnr, curata da Roberto Natalini e Andrea Plazzi. La filosofia che sta alla base della pubblicazione è quella di raccontare delle storie a fumetti interessanti e divertenti che stimolino poi il lettore ad approfondire gli argomenti scientifici di alto livello che vi sono trattati. The Light Issue affronta il tema delle fonti di luce avanzata, quali sono appunto l'anello di accumulazione Elettra e il laser a elettroni liberi Fermi, entrambi realizzati nella grande struttura tecnico-scientifica che si trova a Basovizza, in provincia di Trieste.


Zerocalcare cerca di trasmettere al lettore il principio di funzionamento di Elettra attraverso delle metafore molto divertenti e dei colpi di scena esilaranti. Al solito non nasconde tutto il suo senso di inadeguatezza e la paura di non riuscire a trasmettere il significato e il valore di quanto appreso durante la visita. Ma in realtà il racconto raggiunge il suo scopo, ovvero quello di restituire al lettore l'entusiasmo e la meraviglia con cui i ricercatori indagano nella materia su scale microscopiche, grazie alla sorgente di luce pura di cui dispongono. E, soprattutto, trasmette il senso della ricerca scientifica, ovvero quello di ampliare gli orizzonti della conoscenza umana dell'universo, di allargare la finestra con la quale guardiamo il mondo. Questo è il messaggio che viene raccolto alla fine della storia da un'inaspettata uditrice, una possibile scienziata di domani. Zerocalcare accenna anche ai problemi pratici e di budget in cui si devono barcamenare i ricercatori, ma la questione viene posta nel momento sbagliato, quando il Nostro è completamente rapito dai sapori e dagli odori di una prelibata lubjanska.


Se Educazione subatomica aggancia il lettore facendo intuire l'importanza e il fascino del lavoro svolto al Sincrotrone, sono poi i ricchi redazionali dei ricercatori dell'Istituto di Struttura della Materia del CNR e del Centro di Ricerca di Elettra ad approfondire i temi scientifici. Andrea Lausi e Roberto Visentini ci spiegano con semplicità e precisione i principi di fisica quantistica che stanno alla base del funzionamento dell'anello di accumulazione e del laser e la loro importanza per la ricerca e l'industria. Oltre ad una divertente intervista a Zerocalcare, Mattea Carmen Castrovilli affronta la doppia natura onda-particella della luce, e Daniele Catone ci parla della stressante ma gratificante vita del ricercatore. Infine Gabriele Bianchi di OrgoglioNerd.it ci racconta in un bellissimo articolo l'intrinseca imperfezione del metodo scientifico, nella sua ricerca asintotica, esperimento dopo esperimento, della verità.
Impreziosiscono la rivista le due divertenti tavole a fumetti di Davide La Rosa intitolate Alberi subatomici e pentole quantiche, le vignette umoristiche di Walter Leoni e l'improbabile edicola scientifica di Lercio.it.

domenica 23 dicembre 2018

Sei vite del Sessantotto, secondo Gianfranco Manfredi


I modelli, le categorie servono a semplificare la vita, a renderci più semplici i fenomeni complessi. Fenomeni di qualsiasi tipo, fisico, chimico, storico, economico, e via dicendo. Senza modelli non riusciremmo a farci un'idea sommaria della realtà e, quindi, a viverci dentro ma, nello stesso tempo, i modelli non bastano. Bisogna essere coscienti che la vita è molto più varia e complicata. La realtà che ci circonda e i fatti del passato sono analizzabili sì scientificamente ma poi c'è sempre, e per fortuna, la storia del singolo, la vita che si discosta dal modello e che ci affascina per la sua unicità.
Gianfranco Manfredi sembra aver seguito questa bussola per ideare e scrivere la nuova serie a fumetti Cani sciolti, edita dalla Sergio Bonelli Editore all'interno della nuova etichetta Audace. Son trascorsi cinquant'anni dal Sessantotto e le celebrazioni, gli approfondimenti e i dibattiti su quel fenomeno storico hanno percorso tutto il 2018. La casa editrice milanese ha sfatato un suo tabù, decidendo per la prima volta di dedicare una serie a fumetti ad un periodo storico così vicino a noi, avvenuto (anche) in Italia e che ha ancora conseguenze e il cui dibattito, politico e non, è ancora vivo e vivace tuttora. Lo ha fatto nel modo giusto, affidando la penna ad uno sceneggiatore di fumetti che fu un protagonista diretto di quegli anni, ad uno che il Sessantotto (e poi il Settantasette) lo ha fatto sul serio. 
Gianfranco Manfredi aveva vent'anni all'epoca ed era uno studente universitario nella Milano del 1968. Si trovava al centro, quindi, dei fatti. Chi meglio di lui poteva raccontarli? Ma c'è modo e modo di affrontare un tema così complesso e variegato quale il Sessantotto. Lo schema scelto da Manfredi è quello di narrare delle esperienze di singoli protagonisti immaginari (ma ispirati ad esperienze reali) di quegli eventi. Sei amici, sei vite che si incontrano durante le occupazioni delle aule universitarie e che proseguono la loro amicizia negli anni a venire. Quattro ragazzi e due ragazze di estrazione borghese (chi più alta, chi più bassa) perché allora l'Università non era fatta per i figli dei proletari, ciascuno con le proprie caratteristiche che abbiamo appena iniziato a conoscere grazie ai due numeri pubblicati finora, Sessantotto e Dove siete?, disegnati da Luca Casalanguida.




Il primo albo ci introduce nel vivo delle manifestazioni studentesche e occupazioni delle aule universitarie. Ci fa respirare subito l'aria ribelle che caratterizzava quella stagione. Vediamo gli eventi attraverso gli occhi dei sei amici, tutti diversi l'uno dall'altro, ma tutti accomunati dal desiderio di cambiare le cose. Sei cani sciolti anticonformisti che non appartengono a nessuno schieramento politico particolare e che non vogliono più sottostare alle regole che la società ha imposto loro fino a quel momento: vogliono modificarle, ribaltarle a partire dal luogo che vivono ogni giorno, l'Università.
Il secondo albo è ambientato vent'anni dopo, quando un fotografo che ritrasse insieme i sei amici durante una manifestazione, realizza una mostra fotografica rievocativa del Sessantotto e si chiede che fine abbiano fatto quei sei giovani. Viene affrontato quindi il tema del ricordo, del dibattito, che ha caratterizzato anche il 2018, di come si può ripensare e affrontare dopo tanti anni un evento storico, i cui protagonisti sono ancora vivi e attivi nella società. Ed è inevitabile che i protagonisti del tempo di pongano la domanda su come siano cambiati, cosa sia rimasto dello spirito del tempo e quale risultato abbia prodotto nella società. Ma, di nuovo, Manfredi non ci dà una risposta bensì ci offre il racconto di sei vite, a distanza di vent'anni, ciascuna diversa dall'altra.




Centrale nell'albo è poi il confronto fra uno dei protagonisti e il padre, partigiano all'epoca della Seconda Guerra Mondiale. Un confronto fra due generazioni ribelli distanti temporalmente poco più di vent'anni: la Resistenza e il Sessantotto che si parlano attraverso due storie particolari. Un padre che ha dovuto uccidere, giovanissimo, altri uomini e un figlio che si è interrogato sulla possibilità di prendere in mano un'arma. Un dialogo intimo e sincero fra due persone che si aprono l'un l'altra su un tema molto delicato e difficile da rievocare.
L'interesse che mi ha suscitato questa serie a fumetti è andato decisamente oltre le mie aspettative, proprio perché Gianfranco Manfredi ha trovato la formula giusta per raccontare quel periodo che noi, nati negli anni successivi, non abbiamo potuto vivere direttamente e che abbiamo conosciuto attraverso libri, trasmissioni televisive, inchieste giornalistiche che sono state o troppo celebrative e retoriche da una parte, o troppo riduttive e schematiche dall'altra. Raccontare la Storia attraverso le vite di singoli è forse il modo migliore o, comunque, quello che preferisco. E Gianfranco Manfredi ne è maestro.

domenica 16 dicembre 2018

Cinzia, o della lotta quotidiana per essere sé stessi


Rat-Man, per me, è sempre stata una lettura molto piacevole e divertente. Me lo prestava con cadenza settimanale un ex-collega e io restavo rigorosamente folgorato dai colpi bassi che Leo Ortolani inseriva nel bel mezzo della narrazione. Definirle freddure sarebbe riduttivo, perché, molto spesso, erano dei veri colpi di genio: spiazzanti, esilaranti e ficcanti. Ma c'era un altro elemento del mondo di Rat-Man che mi aveva folgorato fin dalla sua prima apparizione: Cinzia. Ben più di un personaggio di contorno, la bionda transessuale era passata nel tempo dal ruolo di mera comparsa a quello di imprescindibile co-protagonista. Ortolani ha deciso quindi di dedicarle un libro e una storia tutta per lei, perché se lo meritava, lo esigeva, aveva tutti i requisiti per poter assurgere a protagonista di un romanzo grafico. La Bao Publishing ha dato alle stampe questo volume, elegante quanto lo è Cinzia, svettante in copertina sul tacco dodici e fasciata da una sexy mise leopardata.
Leggibile anche da chi non abbia mai letto Rat-Man, Cinzia è un fumetto che non si dimentica. Leo Ortolani ha creato una storia che ci restituisce Cinzia in tutta la sua umana quotidianità. La vediamo affrontare il pregiudizio dei perbenisti nella difficile ricerca di un posto di lavoro. Patiamo insieme a lei quando si innamora perdutamente di un uomo apparentemente impossibile. Rivediamo noi stessi nello spasmodico sforzo di piacere a tutti i costi, di compiacere gli altri per ricevere una carezza, un riconoscimento, uno sguardo privo di giudizio. Ci affliggiamo e ci riconosciamo quando mente a se stessa, alla sua natura pur di essere amata. Ma la bellezza di questo fumetto è che mai si cade nel dramma; Ortolani ha il dono di alternare sempre momenti pesanti con i suoi classici colpi di genio comico, che hanno la capacità di risollevarti, anzi, di non farti mai cadere nella tristezza. Il talento che ha l'autore è sapere mantenere questo equilibrio fino all'ultima pagina, girata la quale, ti fermi un po' a pensare. E capisci che hai appena letto un fumetto che dell'ironia fa la sua arma vincente; vincente verso tutti i gretti moralismi che avvelenano la nostra vita, che operano costantemente per non farci essere quello che siamo.
Cinzia è tutti noi, una fragile persona coraggiosa, che lotta ogni giorno contro le sue paure per non affogare nella melma del pregiudizio. Che si accetta e, alla fine, si mostra per quello che veramente è: né uomo, né donna, ma solo e solamente Cinzia, nella sua inimitabile unicità. In questo periodo di dilagante ostilità e rifiuto dell'altro, di mancanza di rispetto verso chi non si uniforma alla norma e alla tradizione, Cinzia diventa un fumetto importante e necessario, come afferma Licia Troisi nella prefazione. Ed è così importante perché usa gli strumenti della sincerità, dell'amore e dell'ironia che, a ben vedere, sono le sole capaci di spazzare via la nube tossica del pregiudizio.

domenica 9 dicembre 2018

Mister No Revolution


Cosa succede se prendi un personaggio dei fumetti e lo sposti nel tempo, se collochi le sue avventure in un altro contesto storico?  Fai un esperimento interessante, delicato e sfidante. Soprattutto se quel personaggio è un caposaldo della casa editrice in cui lavori e del fumetto italiano in generale. Mister No esordì nelle edicole nel 1975, primo antieroe di casa Bonelli, creatura di Guido Nolitta, nome d'arte di Sergio Bonelli. Per tanti versi simile a lui, per molti altri così diverso. Comunque da lui tanto amato. E così anche dai lettori, che apprezzarono le avventure ambientate nell'Amazzonia degli anni Cinquanta di questo scanzonato amante della buona musica, delle sane bevute e delle belle donne, che si guadagnava da vivere scarrozzando gente di tutti i tipi in tutto il Sud america. Finendo immancabilmente per cacciarsi in un sacco di guai. Lui, che di guai e di esperienze terribili, aveva avuto la nausea, tanto da lasciare il cosiddetto mondo civilizzato occidentale per riparare in un angolo sperduto del mondo, Manaus, città nel cuore dell'Amazzonia, a ridosso di una Frontiera con un vasto territorio in gran parte inesplorato.
Le strade difficili di New York e diversi teatri insanguinati della Seconda Guerra Mondiale costituiscono il contesto dal quale fugge Jerry Drake, conosciuto da tutti come Mister No. Michele Masiero ha spostato la nascita del Nostro venticinque anni più avanti. In questo modo è nella New York del 1967 che vediamo Jerry perdere il lavoro di cameriere in una bettola per aver fatto a pugni in difesa di una ragazza.



Si tratta del primo elemento che contraddistingue il personaggio: di fronte alla richiesta di aiuto da parte di una persona in difficoltà, Jerry non si volta dall'altra parte ma interviene senza pensarci due volte. La storia con la ragazza continua e l'amore (che intuiamo difficile) che ne nasce vien mostrato in diversi flashback dagli splendidi disegni di Matteo Cremona. La narrazione presente è collocata qualche mese più avanti, nel 1968, nei tragici scenari della sporca guerra del Vietnam. Jerry e i suoi commilitoni si muovono nella giungla, vengono attaccati, raggiungono un villaggio devastato già in mano americana, dove è chiaro l'eccesso di violenza commesso dall'esercito.



Un secondo elemento del personaggio emerge in quest'occasione: di fronte alla possibilità di stare zitti o parlare di quanto visto coi propri occhi, Jerry non ha dubbi sul fatto che sceglierà la seconda opzione, infischiandosene delle conseguenze. L'amore della verità, il rispetto della vita altrui, l'insofferenza nei confronti delle ingiustizie, l'antimilitarismo si rivelano in un'unica vignetta. Qui c'è tutto Mister No. C'è tutto il No che compone il suo soprannome.
Mi sembra perfetto che Mister No revolution sia ospitato dall'Audace, l'etichetta che fa rivivere uno dei suoi personaggi storici nello spirito originario della casa editrice milanese. Il lavoro compiuto da Michele Masiero ai testi, Matteo Cremona ai disegni, Luca Saponti e Giovanna Niro alla colorazione ed Emiliano Mammucari alla copertina, fa di questo albo, intitolato Brucia, ragazzo brucia!, un esperimento fresco e originale, dalle prospettive interessanti e capace di attrarre tanto i vecchi lettori, che già hanno conosciuto il Mister No di Nolitta, quanto quelli nuovi: in fondo, aver già amato il Jerry Drake del 1975, non è un prerequisito indispensabile per innamorarsi di quello del 2018.

martedì 4 dicembre 2018

Il Tramezzino di Bacilieri



Dopo Fun e More fun, Paolo Bacilieri ci trasporta ancora dentro la città che ama: Milano. E lo fa in grande, all'interno della collana Sudaca dell'editore Canicola. Le tavole, in formato A3, ti avvolgono, ti risucchiano dentro le strade di Milano, ti fanno scorrere davanti ai palazzi di vario stile edificati nella città meneghina alcuni decenni fa. Ti fanno capire come Milano fosse un'avanguardia architettonica. Ma il tutto è leggero, perché l'altra protagonista dell'albo è una storia d'amore fra due studenti universitari: lei è Skilla, greca, di famiglia intellettuale, lui è Daddo, milanese, di famiglia alto borghese. Un amore travolgente, vissuto e consumato all'ombra e dentro i palazzi cittadini, testimoni quasi vivi degli amplessi dei due giovani. Amore intenso ma breve, lei torna ad Atene, sconvolta dall'ignoranza di lui riguardo a Mussolini, lui resta col suo cane. Milano e i palazzi sono sempre lì. Profondità e levità. Intersezione fra architetture di cuori e architetture urbane. È Tramezzino.


lunedì 3 dicembre 2018

La Resistenza di Zero


Son seduto su un cubo e fisso la parete di fronte a me. Lunga, alta. Più lunga che alta. E piena di immagini, di manifesti disegnati, disposti uno di fianco all'altro. Sono tutti di Zerocalcare. Sto alla mostra Scavare fossati, nutrire coccodrilli a lui dedicata 
al Maxxi di Roma. E la parete che ammiro è la cosa più bella. Raccoglie il lavoro meno conosciuto di Michele Rech, quello per cui si è attirato, per esempio, le accuse di venduto ai NoTav da parte di quelli che non lo conoscono bene. Da parte di quelli che hanno letto solo i suoi libri stravenduti ma ignorano le sue origini. Origini di ragazzo che le ha prese dalla Forestale al G8 di Genova, che frequenta i centri sociali e che mette il suo talento a servizio di quello in cui crede.


Concerti, campagne, manifestazioni. Cose che non vengono fuori sulla stampa nazionale, ma che restano confinate ad un circuito locale e alternativo. Ci devi stare per saperlo. Oppure vieni a questa mostra, ti siedi sul cubo e guardi uno ad uno i manifesti. E leggi quello che c'è scritto. E scopri che c'è un mondo, piccolo ma c'è, di gente che ci crede e che resiste. Pagando spesso un prezzo molto alto sulla propria pelle. Sproporzionato e invisibile ai più. Menomale che ci stanno quelli come Zero che cercano di farlo emergere. Menomale che ci sta questa mostra. E il catalogo che ti porti a casa. E che puoi anche comprare in edicola. Menomale che ci sta chi resiste, chi ci prova, chi fa quello che dice e dice quello che pensa. Con tante paure e sbagli anche, perché i supereroi non esistono. Ma almeno parla, dice, disegna. E ti fa riflettere. Se trova terreno fertile dall'altra parte. Se trova una condivisione di valori fondamentali. Non serve essere antagonisti dei centri sociali. Basta avere umanità, credere che tutti abbiamo gli stessi diritti ed essere antifascisti. Il minimo sindacale per vivere in uno stato veramente democratico. Anche se adesso non c'è più nemmeno il minimo.


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