domenica 22 febbraio 2015

Il cuore di tenebra di Adam Wild

Il colonialismo occidentale ha avuto lungo i secoli diverse facce, quasi sempre impresentabili, ma è difficile trovarne una così ipocrita come quella offerta da Leopoldo II, sovrano del Belgio, a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo. Il teatro delle sue scellerate imprese fu quella vasta regione africana che oggi chiamiamo Repubblica Democratica del Congo e che allora, con spudorata falsità, venne battezzata Stato libero del Congo. Di libero, quello Stato, non ebbe nulla: le risorse naturali furono depredate e si praticò il commercio degli schiavi. Il sangue dei nativi fu versato a fiumi: mai, lungo la loro storia, le tribù della regione conobbero un periodo così violento.
E' in questo spietato scenario storico che Gianfranco Manfredi ci immerge attraverso il quinto albo della sua fortunata serie a fumetti intitolata con il nome del suo protagonista, lo strafottente e temerario esploratore scozzese Adam Wild. Vitalità e freschezza avevano caratterizzato la prima uscita di questa collana Bonelli, salutata da tutti come il grande ritorno dell'Avventura d'altri tempi fra le serie a fumetti della casa editrice milanese. E' così è stato, anche se Manfredi riesce sempre a connotare con il suo stile narrativo molto personale le storie che racconta, rendendole moderne anche quando si riferiscono a fatti storici lontani nel tempo e, almeno apparentemente, così diversi dal nostro modo di vivere attuale.


La terza luna, titolo dell'ultimo albo, è un viaggio dentro l'inferno. Un inferno popolato da cannibali, torture, soprusi, terrore. Ma in questo scenario da cuore di tenebra si erge la luce di un personaggio che combatte la sua lotta personale contro lo schiavismo. E lo fa a viso aperto, con un sorriso beffardo e guascone sulle labbra. Non si crede un salvatore illuminato che ha una nobile missione da compiere. No, lui si butta nella mischia seguendo quello che il cuore gli dice. E questo accade anche nella storia presente, quando vediamo Adam, stanco e con la barba lunga dopo una estenuante marcia attraverso la foresta, raggiungere una stazione commerciale gestita dagli Anderson, due americani, padre e figlio. Qui apprende della guerra portata nella regione dalla tribù cannibale degli Zappo Zap, capitanata dal crudele capo Malumba. Scopre che i belgi sono in affari con gli Zappo Zap, che forniscono schiavi (della tribù dei Kuba che vivono in pace commerciando avorio con gli Anderson) in cambio di fucili. Adam non ci pensa su un istante e si butta a capofitto nell'impresa apparentemente disperata di sgominare il traffico di esseri umani. Se la decisione è presa d'impulso, non vuol dire che l'azione sia portata avanti con incoscienza, tutt'altro: Adam si rivela un fine stratega, sfruttando a vantaggio proprio e dei Kuba la fragile alleanza fra i belgi del cinico capitano Dufour e i guerrieri di Malumba.


Indiscutibilmente, gran parte del fascino esercitato da questa avventura, viene dai disegni di Antonio Lucchi, new entry in casa Bonelli. Se nel primo numero della serie, i disegni chiari di Alessandro Nespolino avevano ritratto con precisione la città di Zanzibar, ne La terza luna Lucchi ci presenta con grande vividezza una foresta a tinte forti. Lo stile espressionistico del disegnatore sassarese è perfetto nell'evidenziare la crudeltà nei volti di Malumba e dei suoi: lo sguardo spietato e i denti aguzzi degli Zappo Zap conferiscono loro un'espressione demoniaca esaltata dallo stile di Lucchi. Di grande effetto le scene di sacrificio umano ambientate all'interno del campo dei cannibali, così come quelle della battaglia finale. La luna rischiara di un sinistro bagliore la notte in cui avviene lo scontro fra le tre forze in campo: i Kuba con gli Anderson e Adam, gli Zappo Zap di Malumba e i soldati belgi di Dufour. Il tratto (digitale perché realizzato al computer) di Lucchi è abile nel conferire alle scene di scontro un forte dinamismo, senza mai cadere nella confusione. Di notevole impatto anche i primi piani dei protagonisti, i cui volti sono ritratti in numerose espressioni senza mai perdere la caratterizzazione del personaggio, o le inquadrature molto cinematografiche.


La Storia va rispettata e, se Malumba e gli Zappo Zap vengono sconfitti e i Kuba liberati, i belgi perdono soltanto questa battaglia, ritirandosi dietro a un Dufour che, umiliato da Adam, si augura, vendicativo, un futuro incontro. L'albo termina qualche tempo dopo e in un altro luogo. Dopo una lunga e trepidante attesa, il conte Molfetta può riabbracciare calorosamente Adam, ritornato da un'esperienza che lo ha duramente provato. Manfredi sembra suggerire che l'abbraccio di un amico, ritratto splendidamente da Lucchi alla luce del sole al tramonto, è uno dei pochi gesti di umanità che fa ritornare la fiducia nel genere umano.

venerdì 20 febbraio 2015

La leggenda di Tex Willer


Le profonde rughe di Carson. E' l'elemento che mi ha subito colpito in L'eroe e la leggenda, primo volume di una collana annuale edita dalla Sergio Bonelli Editore, intitolata Tex d'autore. E che autore! Stiamo parlando di Paolo Eleuteri Serpieri e del suo grande ritorno al genere western dopo tanti anni. Un ritorno che non poteva accadere se non in via Buonarroti a Milano, sede di quella casa editrice, la Bonelli, con la quale l'autore veneziano si è rincorso a lungo negli anni. Finalmente vede la luce il risultato di questa rincorsa, con un unico grande cruccio: uno degli artefici dell'incontro, Sergio Bonelli, l'uomo a cui è dedicato lo stesso volume, non c'è più. Ne sarebbe stato sicuramente orgoglioso perché, a mio parere, questo albo speciale entrerà nella storia della casa editrice milanese. Per più di un motivo. Il primo l'ho già citato: Paolo Eleuteri Serpieri, un nome che si presenta da solo, autore di soggetto, sceneggiatura, disegni e colori di questo volume cartonato.

E poi i disegni, valorizzati dal grande formato alla francese e dai colori: ogni vignetta è una piccola opera d'arte cui va dedicato il giusto tempo per poterla gustare, soffermandosi sui dettagli, tanto questa ritragga il viso di Carson segnato dalle rughe, quanto rappresenti una concitata scena di lotta all'arma bianca o di scontro in campo aperto. E ancora: lo sguardo inedito sul passato di Tex, offerto nel 1913 da un Carson incanutito, ospite di una casa psichiatrica di New York, che funge anche da ricovero per anziani. Il Tex raccontato da Carson è giovane, porta i capelli lunghi, è armato fino ai denti, dimostra un coraggio fuori dal comune ed una espressione costantemente seria e risoluta. Il lettore del Tex mensile potrebbe trovarsi spiazzato, notando l'assoluta mancanza dell'ironia con la quale il Ranger condisce ogni tanto le sue parole. Nessun sorriso, nessuna battuta salace, ma solo estrema determinazione nel portare a termine la propria vendetta. Non c'è spazio per altro.


E certamente il lettore del Tex mensile sarà rimasto a bocca aperta quando avrà visto la mano dell'eroe compiere un atto che non avrebbe mai pensato di trovare su una tavola di Tex. Ma l'atto era necessario e dovuto, e Carson, che ha assistito alla scena centrale del duello fra Tex e il comanche Luna Nera, lo spiega e lo motiva in lungo e in largo. Tuttavia resta e colpisce. Inevitabilmente.
Ma la parte migliore della storia di Eleuteri Serpieri è racchiusa nella tavola finale, quando il direttore della clinica, ritratto in modo molto somigliante a Mark Twain, riferisce al giornalista delle sue forti perplessità circa la vera identità del vecchio ospite del ricovero. Ci rimane il dubbio se si tratti di Carson o meno e, ancor di più, se il personaggio di Tex protagonista del racconto sia reale o fantastico. Secondo il direttore è solo un mito e una leggenda. Ma è la sua opinione, irrilevante per il giornalista. E qui, nell'ultima vignetta, accade quello che mai mi sarei aspettato e che mi ha profondamente emozionato. Non lo svelo per non rovinare la lettura a coloro che non hanno ancora avuto fra le mani questo volume. Ma il tocco finale è davvero un incanto, perché riesce a dare una luce del tutto nuova, ma estremamente coerente con tutta la sua storia quasi settantennale, alla nascita di Tex come personaggio. Reale o leggendario? Ognuno risponderà come preferisce, ma di certo questo albo è la prova che il monumento di Tex Willer è tutt'altro che immutabile e scolpito.

domenica 15 febbraio 2015

Il mondo incantato di Hayao Miyazaki


Il vento come motivo conduttore dell'opera di Hayao Miyazaki. E' questa la tesi proposta da Valeria Arnaldi nel suo ottimo libro Hayao Miyazaki - Un mondo incantato, pubblicato da Ultra nel 2014. Da Nausicaa nella Valle del Vento a Kiki, la streghetta che deve imparare a padroneggiarne le correnti per diventare adulta, da Porco Rosso che lo sfrutta volando con il suo aereo a Sheeta che, in Laputa, ne viene sorretta dolcemente fino a posarsi a terra, da Howl e Sophie che ne fanno il luogo della prima romantica passeggiata fino a Si alza il vento, l'ultimo film del maestro nipponico. E il suo celebre studio di animazione non porta forse il nome del Ghibli, il caldo vento africano così ricco di suggestioni? Scorrendo titoli e situazioni all'interno dei suoi film, risulta quindi evidente che il vento rivesta un ruolo centrale nella poetica di Miyazaki. Le parole della Arnaldi sono chiare e colgono il segno:
"E' il vento l'elemento simbolico dell'intera carriera di Hayao Miyazaki. Vento come soffio vitale, vento come trait d'union tra fisico e metafisico, vento come premio che, nel mito, regala all'uomo l'immortalità, vento che è elemento da cui si proviene e cui si torna, ma anche emozione e abbandono. Quell'abbandono che nei giochi dell'infanzia ci fa tendere le braccia aperte per cercare di prenderlo, ci fa inventare o rintracciare delle forme nei riccioli di infinito che ci sovrasta. ... Il vento è il cuore delle anime, nel duplice significato della parola, quella proiezione del Sé al di fuori del limite di carne e carnalità, ma soprattutto è metafora del possesso del cielo, scalata all'Olimpo, che gradino dopo gradino, corrente su corrente, fa percepire l'ascesa della vetta."
L'autrice ci conduce nell'universo di Miyazaki senza tralasciare nessun aspetto. Dal racconto della sua vita al lavoro nei manga, spesso ispiratori di successivi opere d'animazione, dalle serie televisive ai film dello Studio Ghibli, analizzati con estrema cura e in stretto ordine cronologico. Non può mancare un capitolo dedicato a coloro che hanno raccolto la sua eredità all'interno dello Studio e, chicca finale, un capitolo in cui si dà spazio agli artisti che hanno omaggiato il Maestro con delle opere del tutto originali. Il libro è impreziosito inoltre da un ricchissimo contributo iconografico, costituito soprattutto da fotogrammi tratti dai film.
Il saggio della Arnaldi è un atto d'amore nei confronti di un uomo che, a partire dalla propria sensibilità e fantasia, ha saputo costruire delle storie e dei personaggi intimi ma nello stesso tempo universali. Ha saputo sempre inseguire nel mondo reale quel senso del meraviglioso che incanta un bambino e, cosa più importante, è riuscito a trasferirlo nella poesia delle sue immagini.
"Nel mio cinema si sogna molto, ma la realtà ha sempre l'ultima parola."
Hayao Miyazaki

domenica 8 febbraio 2015

Il soffio di libertà di Ken Parker


La riproposizione settimanale dell'umana avventura di Ken Parker nella collana omonima edita da Mondadori corre più veloce di quanto io riesca a scriverne su questo blog. Col numero 41 attualmente in edicola, fumetteria e libreria, intitolato Un soffio di libertà, stiamo per approssimarci alle ultime storie del nostro biondo trapper che, in origine, furono proposte sul Ken Parker Magazine. L'esperimento editoriale, condotto prima da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo anche in qualità di editori (attraverso la Parker Editore) e poi di nuovo sotto le ali più economicamente rassicuranti della Sergio Bonelli Editore, terminò con La carovana Donaver, storia suddivisa nei quattro numeri successivi. Il magazine, come formula editoriale attraverso cui proporre i fumetti, era ormai in profonda crisi e, nonostante l'alta qualità delle sceneggiature e dei disegni che arricchivano la pubblicazione e l'interessante apparato redazionale, non sfuggì alla chiusura. Il rilancio della testata da parte di Sergio Bonelli non aveva potuto nulla contro il calo costante di lettori. Si passò quindi al formato classico bonelliano con cui vennero pubblicati quattro albi speciali di Ken Parker. E queste furono le ultime storie di Lungo Fucile fino a Canto di Natale, il portfolio edito da Spazio Corto Maltese presentato a Lucca 2013, che segnò il ritorno di Chemako con una storia inedita. Il 10 aprile Mondadori pubblicherà Fin dove arriva il mattino, il volume numero 50 della sua collana Ken Parker: qui ci sarà l'epilogo dell'avventura di Ken. Lo vedremo finalmente uscire da quel mondo carcerario che vede il suo esordio lungo proprio nell'episodio Un soffio di libertà.


Ken è stanco di scappare da una giustizia ingiusta che lo ha inseguito per migliaia di chilometri lungo le fredde terre del Canada. Sono stati questi gli splendidi scenari naturali delle avventure di Lungo Fucile narrate nel Ken Parker Magazine. La natura è stata una coprotagonista, ancor di più che nella prima serie. Ma la costante psicologica del Nostro e del suo lettore è la tristezza. Ho trovato, in questa rilettura del Magazine, un Ken diverso da quello targato Cepim. In fondo son passati quasi vent'anni dalla sua creazione e Berardi, di cui Ken è l'alter ego, lo specchio attraverso cui guardarsi dentro, è cambiato. Gli entusiasmi giovanili si sono attenutati, lasciando spazio ad una maggiore consapevolezza di come va il mondo. Le esperienze vissute da Ken sono state sempre caratterizzate da una profonda empatia nei confronti dell'altro. Ma hanno lasciato molte cicatrici. La disillusione si è fatta strada nell'animo di Ken, senza comunque mai intaccare la sua propensione a porsi nei panni degli altri e a correre in loro aiuto. Lo fa continuamente anche a discapito dei propri interessi. Ma il prezzo psicologico è alto. Alla fine dell'episodio Il marchio dei McCormack Ken si consegna fra le braccia dello sceriffo Lusky, nonostante questi non si regga in piedi, e dopo averne usato l'identità per risolvere un assassinio che aveva sconvolto la famiglia McCormack. Ancora una volta Ken viene scambiato per un altro ma non ne approfitta. Potrebbe fuggire visto che Lusky è incosciente ma la sua etica lo spinge a restare per aiutare la famiglia che lo ha soccorso. Contro i propri interessi. Ma forse il suo interesse è proprio quello di essere a posto con la propria coscienza. Così Ken, stanco di fuggire, accetta il suo destino che lo porta fino al penitenziario di Jackson County.


Ogni volta che leggo un fumetto o romanzo di ambientazione carceraria o guardo un film su questo tema (come Brubaker interpretato da Robert Redford) sono assalito da un profondo disagio. Vedo me stesso come detenuto e mi trovo a pensare a come, e se, sopravviverei in un inferno nel quale si viene privati del valore che dà dignità alla nostra vita: la libertà. Ken prova a sopravvivere ed è anche, inizialmente, abbastanza fortunato (si fa per dire) perché il direttore del penitenziario è un illuminato. Ha introdotto delle riforme tese a rendere il carcere un posto più umano: i prigionieri non sono incatenati, possono ricevere la posta dall'esterno, i neri e i bianchi convivono insieme. In altre parole cerca di mettere in pratica le idee di Cesare Beccaria, trasformando il carcere da luogo di punizione a luogo di recupero. Sfortunatamente le cose non vanno come il direttore vorrebbe, perché il capo dei suoi secondini è un violento che si accanisce sui detenuti con sadismo.


La storia disegnata da Ivo Milazzo si apre con un vano tentativo di fuga sotto la pioggia. L'assassinio del fuggiasco, torturato in carcere dai secondini, costituirà il motivo della rivolta in cui verrà coinvolto Ken. Ancora una volta le qualità umane del Nostro si pongono al servizio di quello che è considerato dalla maggior parte dei detenuti come l'unica possibilità di salvezza: la trattativa. Con l'incombere dell'esercito schierato e pronto ad intervenire, Ken e i capi della rivolta cercano di parlamentare per ottenere l'arresto del capo delle guardie, ostaggio degli stessi carcerati. La sete di vendetta di alcuni detenuti fa però precipitare la situazione e il tragico epilogo vede l'intervento sanguinario dell'esercito, la fine drammatica della rivolta e, con essa, l'addio ai sogni di riforma del direttore. La trama segue un filo se volete scontato, ma il valore della storia sta, come sempre capita con Berardi, nei personaggi. Shute, il fuggiasco, Moore, il capo delle guardie, Blacksie, il cane poliziotto, "Nail" Osborne, il capo dei detenuti, Luke, il suo braccio destro, Pitch, il prigioniero che causa l'intervento dell'esercito, Compton-Scott, il direttore del penitenziario, Agnes, la moglie, e Lucy, la figlia, entrambe ostaggi dei detenuti, Artie, il vecchio ergastolano che accompagna Lucy ogni giorno in calesse fuori dal carcere, McCoy, il giornalista del Washington Journal che intervista il direttore, il Colonnello Brannigan, comandante del battaglione che pone fine alla rivolta. Di ognuno Berardi delinea la psicologia attraverso poche parole e pochi gesti, resi con il solito realismo da Milazzo. La loro veridicità rende la storia credibile, vera, unica. Ken è testimone, ancora una volta, delle relazioni umane che intercorrono in un universo per lui nuovo: il carcere. Il primo assaggio è stato terribile. Dovrà imparare a conviverci, e in condizioni anche peggiori.

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