sabato 30 agosto 2014

Aspettando Adam Wild


Appuntamento in edicola il prossimo ottobre con il primo numero di Adam Wild, la nuova serie a fumetti scritta da Gianfranco Manfredi ed edita da Sergio Bonelli Editore. La casa editrice svela sul proprio sito alcuni dettagli dell'albo di esordio intitolato Gli schiavi di Zanzibar e disegnato da Alessandro Nespolino. La copertina molto espressiva di Darko Perovic lascia intendere molto del carattere di questo nuovo personaggio: sfrontato, ribelle e in cerca di avventura. L'Avventura sarà la protagonista di questa nuova serie, nell'alveo della classica tradizione bonelliana, per non dire salgariana: d'altronde la Bonelli non ha forse raccolto l'eredità lasciata da Emilio Salgari, portando l'Avventura dal campo della letteratura a quello dei fumetti?
Ci sono infatti diverse similitudini fra Adam Wild, le cui vicende sono ambientate nell'Africa nera di fine Ottocento, e gli eroi anticolonialisti come Sandokan o Yanez creati da Salgari. Fin dall'anteprima del primo episodio capiamo che Adam si batte contro la schiavitù e il razzismo e questo, a sua volta, ci ricorda gli altri personaggi creati da Gianfranco Manfredi nelle precedenti serie o miniserie bonelliane: Magico Vento, Volto Nascosto e Shangai Devil. Anche qui il colonialismo era un elemento fondamentale del contesto storico entro cui si muovevano i protagonisti: certamente più familiare il mondo nordamericano del Far West in cui agisce lo sciamano bianco dei Siuox (che frequenta comunque anche l'east coast cittadina), poco nota l'Africa coloniale italiana di fine Ottocento in cui cui Ugo Pastore conosce Volto Nascosto, per non parlare della semisconosciuta Cina del tempo dei Boxer, teatro delle avventure di Shangai Devil/Ugo Pastore.
E ora la fantasia di Gianfranco Manfredi ci porta nell'Africa nera di fine Ottocento, a vivere le imprese di un eroe molto diverso dal tormentato Ugo Pastore. Adam è infatti un uomo d'azione, anticonformista e, diremmo oggi, politicamente scorretto. La sua espressione scanzonata e attaccabrighe ricorda Errol Flynn, fonte di ispirazione tanto per le sembianze del personaggio, quanto per il suo carattere e la sua indole.
La serie sarà organizzata in stagioni annuali e vedrà l'esordio in casa Bonelli di nuovi disegnatori, fra i quali parecchi di nazionalità serba (al riguardo segnalo questa interessante intervista).
Personalmente sono molto contento dell'annunciato inizio di Adam Wild: da una parte perché ho sempre apprezzato molto i precedenti lavori a fumetti di Manfredi, dall'altra perché mi sentivo orfano (!!!), nel pur ricco ventaglio di collane proposte attualmente dalla Bonelli, di una serie d'avventura classica, di ambientazione storica e con un protagonista fisso. 

mercoledì 20 agosto 2014

Ken Parker e la sporca guerra


Ne La leggenda del generale, secondo episodo contenuto nel sedicesimo volume della collana Ken Parker pubblicata da Mondadori Comics, giunge alla maturazione una decisione che ha assilato Ken per lungo tempo: l'abbandono dell'esercito. Il nostro biondo amico è, infatti, uno scout, un esploratore che lavora per l'esercito degli Stat Uniti. Non è quindi un soldato, ha più libertà e spazio per la sua azione, ma deve comunque sottostare agli ordini che gli vengono impartiti dall'alto. Lo immaginiamo bene: non è la condizione ideale per Ken, che sappiamo essere uno spirito libero, uno che pensa con la propria testa, che ascolta gli altri e che cerca di mettersi nei loro panni prima di giudicare. Ma sappiamo anche che Ken non è un eroe, è un uomo e, come tale, ha mille dubbi. Ha certo le sue idee e i suoi ideali, ma sperimentarli nella realtà non è sempre facile: si rischia spesso di commettere degli errori. Poi, però, l'importante è che si impari da essi, e questo sappiamo che Ken lo fa. E ci piace per questo.


Lungo Fucile esprime per la prima volta in modo esplicito i dubbi riguardo al proprio lavoro nell'episodio Lily e il cacciatore (storia meravigliosa disegnata da Ivo Milazzo su cui tornerò in un altro post). Ken ammette di fronte ad un soldato di non saper far altro che la guida e che per guadagnarsi da vivere gli è toccato di ritornare sotto le armi. All'obiezione avanzata dal commilitone che non si tratta comunque di una brutta vita, Ken ribatte:
"Sì, basta abituarsi a non pensare. L'esercito è solo uno strumento nelle mani dei politici, senza volontà propria. E il più delle volte diventa uno strumento di sopraffazione e di morte."
Le parole che Giancarlo Berardi fa pronunciare a Ken sono molto chiare e nette: ma non sufficienti a spingere il suo personaggio a tradurle in un'azione coerente. Ken rimane ancora nell'esercito. D'altronde, lo ha detto lui stesso: non sa far altro e di qualcosa bisogna pur vivere.
Nell'episodio successivo, Pellerossa (sceneggiato da Maurizio Mantero e disegnata da Carlo Ambrosini e Ivo Milazzo), Ken incontra una sua vecchia conoscenza, il capo cheyenne Mandan, tragico protagonista del primo episodio della collana, Lungo Fucile. Allora il capo indiano aveva rifiutato il fucile che lo scout intendeva donargli come arma di difesa per il proprio figlio dalle future insidie dell'uomo bianco. Il motivo di questo rifiuto era dettato dalla constatazione che le armi non avevano giovato al popolo rosso, causando solo morte e distruzione. Il figlio di Mandan avrebbe quindi dovuto trovare un altro modo per combattere. Alcuni anni dopo, Ken si imbatte nel capo indiano durante un drammatico assedio, nel quale lo scout sta difendendo uno sparuto convoglio composto da donne, bambini e soldati feriti, dall'assalto di un folto gruppo di guerrieri pellerossa. Il loro capo è Mandan e, quando i due per caso si riconoscono, un epilogo più doloroso viene scongiurato. Il Nostro non risparmia comunque all'altro le parole non mantenute di allora, ma il dialogo che ne nasce rappresenta una dura lezione per Ken. E' Mandan ad iniziare:
"Ricordi le parole di quel giorno?"

"Le ricordo. Dicevi che non avresti più impugnato le armi."

"Non si può restare a guardare quando il proprio popolo muore."

"A volte l'unico modo che un uomo ha di camminare diritto è quello di cambiare strada!.."

"Tieni, Lungo Fucile. Cambia strada anche tu. Non si può camminare diritto insieme alle giacche blu!"
Porgendo a Ken il suo fucile, Mandan gli ricorda che non si può separare la propria coscienza dai propri atti o da quelli compiuti dall'organizzazione cui volontariamente si appartiene. Nell'ultima vignetta Ken guarda Mandan allontanarsi sul proprio cavallo: è ammutolito, non sa cosa rispondere.

 
Berardi non usa solo il personaggio protagonista della serie per farci capire quello che pensa, ma anche, spesso, i comprimari, o meglio, i protagonisti delle storie di cui Ken è testimone. Nell'episodio Il caso di Oliver Price (sceneggiato da Alfredo Castelli e disegnata da Giancarlo Alessandrini) è l'acceso dialogo fra il colonnello Price e suo figlio Oliver, nuova recluta arrivata al forte all'insaputa del padre che lo comanda, ad aggiungere elementi al quadro entro cui l'immagine dell'esercito viene ritratta.
"Ed eccoti qua... arruolato come soldato semplice insieme a un mucchio di vaccari che non sanno nè leggere nè scrivere e sono solo poco meno bestie delle bestie che macellano... Tu, mio figlio, in mezzo a un gruppo di disperati il cui massimo divertimento è gettare i petardi a una recluta o portrsi a letto una lavandaia.."

"Vedo che hai molta stima dei tuoi uomini papà!"

"Sono ottimi soldati! E lo sono proprio perché non hanno una cultura, una preparazione personale. E quando suona la carica vanno all'attacco senza pensare se ciò che fanno è giusto o non è giusto..."
Il concetto espresso precedentemente è quindi rinforzato: per uccidere non serve pensare, anzi è deleterio.


Ma è appunto ne La leggenda del generale (sceneggiata da Berardi insieme a Maurizio Mantero e disegnata da Carlo Ambrosini e Ivo Milazzo) che Ken trova la forza di abbandonare l'esercito. Prende la decisione di fronte allo scempio di cadaveri che copre l'erba di uno dei teatri di guerra diventati più celebri: il Little Big Horn. Tutto l'episodio è incentrato sulla corsa contro il tempo sostenuta da Ken per raggiungere il Settimo Cavalleggeri comandato dal generale Custer, al quale è stato assegnato come scout. Per sua fortuna, una serie di eventi intralcia il cammino del Nostro, facendolo arrivare in ritardo sul luogo della battaglia. Una parte del viaggio è condotta su di un battello che naviga lungo il Missouri, dove Ken fa la conoscenza di Monahseeta, un'indiana che nel passato era stata prigioniera ed amante di Custer e che ora, insieme al figlio avuto dal generale, cerca di raggiungere. Lungo il viaggio fluviale Ken trova il modo di esporre ad un soldato ciò che pensa sull'esercito:
"Beh, è un po' che penso di mollare tutto. Da quando sto con l'esercito, ho visto commettere le peggiori atrocità, in nome di interessi che non sono certo i miei...
Finora mi ha trattenuto la considerazione che non so fare altro che la guida. Ma più passa il tempo, e più mi sembra solo una scusa..."
Il processo decisionale sta giungendo alla sua conclusione. Ken ha capito che sta mentendo a se stesso e che non può più nascondersi.
Passano infatti solo pochi giorni e ciò che Ken vede al Little Big Horn lo spinge all'azione. Ken si rivolge a Monahseeta, riferendosi agli altri soldati giunti con loro sul luogo della battaglia:
"...Guardali, sono tutti assetati di vendetta, e posso anche capirli!...Però io sono stufo di stare nel mezzo! Stufo di dovermi dividere tra il dovere e la coscienza!
Dopo questo, il tuo popolo non ha più scampo. Ma non asisterò alla sua agonia...Io ho chiuso con questa sporca guerra!"

"Hai deciso di lasciare le giacche blu?"

"Sì. E questa volta per sempre."
La decisione infine è presa e non si torna più indietro.   

martedì 12 agosto 2014

Aspettando "Fun" di Paolo Bacilieri

Disegno di Paolo Bacilieri
Paolo Bacilieri lo aveva anticipato a Trieste ben più di un anno fa: Fun era il titolo del progetto cui stava lavorando e che sarebbe diventato un libro a fumetti. Un libro dedicato al cruciverba. Una bellissima notizia: ogni nuova opera di Paolo lo è. "Ma perché Fun?" continuavo a domandarmi. Forse, se avessi indagato su internet, l'avrei scoperto ma è stato l'autore veronese a svelarlo con molta ironia sul suo blog pochi mesi fa:
Cos'è Fun?Fun è il titolo del nuovo libro al quale sto lavorando.
Si tratta di un libro a fumetti sulle parole crociate, sì, i cruciverba.
Perchè Fun?
Perchè è la prima parola comparsa nel primo cruciverba, suppergiù un secolo fa, nel 1913, ed è tutta colpa di Stefano Bartezzaghi. Stefano, una sera di un paio di anni fa mi disse: "Paolo, perchè non fai un fumetto sulla Storia del Cruciverba?"
Come hai risposto a Bartezzaghi?
Ho risposto: "Stefano, fossi matto!"
Poi però di Bartezzaghi ho letto lo splendido libro dallo splendido titolo "L'orizzonte verticale", nel tempo fatto di attimi ho preso in mano un paio di vecchie Settimane enigmistiche (uguali a quelle nuove, fatta eccezione per Il Tenero Giacomo) ed ecco che qualcosa di oscuro, rognoso, suadente e irrevocabile ha cominciato a tediarmi. Conosco i sintomi.
Che libro sarà?
Sarà un libro multistrato. Conterrà una parte storica (NewYork 1913, Londra 1944, Parigi 1960, Milano 1930/1970) e una contemporanea (con Zeno Porno & C. più un nuovo personaggio, Pippo Quester).
Conterrà inoltre diverse storielle incrociate, "orizzontali e verticali", che ho realizzato in questi anni, per Animals, per il Corriere, etc.
Quando uscirà?
Presto.
Sei matto?
Sì, sono matto.
Oltre a suscitarmi un sorriso, le parole di Paolo hanno provocato molta curiosità. Così mi son procurato il libro di Stefano Bartezzaghi e, da vecchio solutore di cruciverba, mi son calato nella storia affascinante di questo genere particolare di rompicapi (puzzles) nato a New York il 21 dicembre del 1913. L'enigmista milanese ha calamitato la mia attenzione solo come i grandi romanzi sanno fare. E in fondo L'orizzonte verticale ha le caratteristiche del genere, pur essendo un saggio. La storia suggestiva e il mondo che circonda il Cross-word sono narrati con una prosa avvolgente facendo rivivere tutti i protagonisti che hanno reso celebre e popolare questo puzzle. A cominciare dal suo inventore, Arthur Wynne, inglese di Liverpool trasferitosi nella Grande Mela, che ha l'intuizione del secolo e crea il primo Word-cross puzzle (questo il suo nome originale).
Il primo cruciverba pubblicato domenica 21 dicembre 1913 sull'inserto settimanale Fun del New York World

Che legami ci sono fra il cruciverba e il fumetto? Nella sua origine, tantissimi. Fun è la prima parola comparsa in chiaro sul primo cruciverba ma è anche il nome dell'inserto domenicale del "New York World" in cui è apparso: "Fun". Otto pagine di intrattenimento e di distrazione, ottenuti grazie a rompicapi come indovinelli, anagrammi, sciarade, rebus e grazie a fumetti. Leggendo Fun, il cittadino newyorchese degli Anni Dieci poteva quindi trascorrere del tempo libero in modo lieto grazie a puzzles e a fumetti. E a partire da quel 21 dicembre del 1913, potè cimentarsi anche nella soluzione di quel nuovo rompicapo ideato dal curatore della pagina dei giochi del Fun.

Disegno di Paolo Bacilieri
Paolo Bacilieri ci sta regalando delle affascinanti anticipazioni del suo libro, pubblicandone alcune tavole di quando in quando sul suo blog. In alcune vediamo lo stesso Wynne mentre sta avendo l'illuminazione. In altre, le matite di Paolo ritraggono in modo quasi maniacale l'ambiente in cui questa creazione ha luogo: la città di New York degli Anni Dieci. E non è un caso se questa invenzione ha scelto come tempo e come luogo questa città. Come dice lo stesso Bartezzaghi, infatti:
"Nei primi decenni del Novecento, negli Stati Uniti, vengono eretti alcuni pilastri della modernità, nei settori della distribuzione delle merci, dei servizi, dell'organizzazione del tempo di lavoro e del tempo libero. Sono gli anni in cui esplodono il cinema, le sale da ballo, le lotterie popolari, la musica jazz, i fumetti, diverse manie di massa...: anche i costumi sessuali trovano una nuova libertà nei nuovi tempi e nei nuovi spazi urbani... Nasce la metropolitana di New York. Il cielo della città si popola di grattacieli, il cielo degli Stati Uniti si popola di aerei....Sono gli anni in cui si inaugurano i primi grandi magazzini e le vendite rateali; la merce si standardizza, con marchi e confezioni riconoscibili e onnipresenti. I giornali popolari si rivolgono a un pubblico che sta acquisendo a sua volta gli standard della cultura di massa - nei consumi, nel comportamento, nelle abitudini, nel linguaggio, nel livello di alfabetizzazione."
Giornali popolari e cultura di massa: i fumetti nell'America del tempo furono uno dei linguaggi con cui i giornali forgiavano la cultura. E il New York World, con il suo Fun, fu uno degli attori principali. Acquistato da Joseph Pulitzer nel 1883 in stato di grave crisi finanziaria, in breve tempo divenne il quotidiano più autorevole di New York tanto che, solo sette anni dopo, si poteva permettere una nuova sede: il World Building, all'epoca il più alto grattacielo della città. Fu un giornale innovativo per diversi aspetti, tra i quali ricordo quello che più mi piace: il World fu il primo quotidiano a proporre un supplemento a colori, dove furono pubblicati i primi fumetti, quelli di Yellow Kid!


Disegno di Paolo Bacilieri
Fun. Quando Paolo Bacilieri mi svelò un anno e mezzo fa il nome del suo prossimo libro a fumetti, non pensavo a quanti rimandi e quali implicazioni quella parola inglese di sole tre lettere potesse portare. Anche se di base il significato più appropriato è comunque quello più semplice e ovvio, la sua traduzione: divertimento. Il cruciverba e l'inserto domenicale che lo propose per primo non erano altro che questo: divertimento o promessa di un divertimento. La stessa promessa che, sono certo, il fumetto di Paolo non tradirà.       

martedì 5 agosto 2014

Petros Markaris racconta la crisi

Ho letto da qualche parte (non ricordo più dove) che il genere letterario che gli americani chiamano crime è quello che sa ritrarre meglio degli altri la società contemporanea, evidenziandone i problemi, le storture, i paradossi. E' quello anche che sa meglio scandagliare dentro l'animo umano, mostrando l'abisso che c'è dentro ognuno di noi. Lo scrittore greco Petros Markaris è uno che ci sa fare con questo genere. Il suo commissario Kostas Charitos della sezione omicidi della polizia di Atene è uno dei personaggi più realistici e credibili che abbia mai letto. Non è di quei detective che danno prova di sé con sparatorie adrenaliniche, inseguimenti mozzafiato e scazzottate al testosterone. Tutt'altro. Charitos osserva, riflette, intuisce. E lo fa nella sua semplicità di uomo comune, che vive in un appartamento modesto ma dignitoso insieme alla sanguigna moglie Adriana, cuoca eccezionale e casalinga perfezionista. Non manca il pericolo, certo: è un inconveniente del mestiere che, in un caso, lo ha portato a prendersi una pallottola in corpo e a farsi un lungo periodo in ospedale. Ma il cuore dell'azione non sta lì. Gli occhi di Markaris e del suo commissario sono sempre rivolti verso la sua società e le persone che la animano.
Nel caso de L'esattore, pubblicato nel 2012, la lente mette a fuoco gli effetti devastanti che la crisi economica sta provocando in Grecia. Si tratta del secondo volume delle trilogia che Markaris dedica al fenomeno che sta stritolando l'economia e la vita di tante persone. Nel 2011 aveva già affrontato il tema con Prestiti scaduti e poi, nel 2013, lo farà con Resa dei conti.
L'esattore colpisce perché la crisi viene affrontata su tre livelli. Il primo è l'oggetto dell'indagine. Un assassino uccide con la cicuta o l'arco i grandi evasori fiscali che lo Stato greco non riesce (o non vuole) colpire, generando un'ondata di paura in altri evasori fiscali che si affrettano così a pagare il dovuto all'Erario e diventando una sorta di eroe nazionale. Evidente l'imbarazzo del Governo greco e della polizia. Delicata l'indagine di Charitos. Geniale l'idea di Markaris.



Ma non è questo il livello che più colpisce. Non tanto quanto quello familiare. Caterina, figlia del commissario, laureata brillantemente in legge e sposa di un medico, è costretta a lavorare gratuitamente presso un avvocato. Non ha prospettive, è frustrata. Pensa di abbandonare la Grecia per andare a guadagnarsi da vivere in Africa accettando un prestigioso incarico di un ente delle Nazioni Unite. Suona familiare? Sì, suona familiare e fa tanta tristezza.
Il terzo livello, quello sociale, è ancora più disturbante. Ogni volta che Charitos e i suoi collaboratori devono prendere la volante per raggiungere il luogo dell'ennesimo omicidio, trovano le strade chiuse o intasate da code interminabili di automobili. Il solito caotico traffico di Atene? No, molto peggio. Manifestazioni, scioperi e agitazioni continue. Non passa giorno che il commissario non debba inventarsi itinerari alternativi per evitare gli ingorghi. Ma lo spettacolo che osserva lungo i marciapiedi è sempre lo stesso: serrande abbassate, negozi chiusi, uomini e donne, greci e immigrati, alla disperata ricerca di un'occupazione. Lui e il genero Fanis, entrambi impiegati pubblici, possono ritenersi fortunati perché son riusciti almeno a conservare il lavoro, subendo soltanto una riduzione dello stipendio e dei contributi. Ma la condizione diffusa dei lavoratori (o degli aspiranti tali) è desolante, se non tragica. E Markaris non la risparmia portando il commissario sulle scene popolate da cadaveri che, in un paio di casi, si rivelano poi suicidi dovuti alla disperazione, alla mancanza di fiducia nel futuro.
Come è facile intuire, anche la storia personale nascosta dietro l'assassino si rivelerà legata alla crisi. Amarissime le sue ultime parole che lasciano  il commissario stravolto e incapace di ribattere:
"Voglio dirle ancora una cosa, signor commissario. Lo Stato greco è l'unica mafia al mondo che è riuscita a fare bancarotta. Tutte le altre si sviluppano e prosperano."
 Speriamo in Tsipras, aggiungo io.

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