domenica 2 marzo 2014

Ma quanto fa figo leggere un graphic novel acquistato in libreria anziché un fumetto comprato in edicola


Pagina99 è un nuovissimo quotidiano (ha esordito l'11 febbraio), molto interessante e curato, innovativo tanto nella forma quanto nella sostanza: il suo come e il suo perché sono ben spiegati qui. Non voglio comunque parlare di questa nuova esperienza giornalistica, alla quale auguro tanto successo, ma prendere spunto da un articolo della corposa edizione weekend dell'1-2 marzo che riferisce di una mostra.
Si tratta di Valvoline Story, la retrospettiva dedicata al trentennale del progetto Valvoline Motorcomics, inaugurata oggi, primo marzo, a Bologna. Sappiamo della carica sperimentale con cui il gruppo costituito da Igort, Lorenzo Mattotti, Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Marcello Jori e Jerry Kramsky sferzò il fumetto italiano. Ma non è nemmeno di questo che voglio parlare. Voglio solo sottolineare alcune parti dell'articolo scritto da Valentina Manchia.
A cominciare dal sottotitolo: 
"A Bologna negli anni in cui si ripensava il comic book. E nasceva il graphic novel"
Poi, poco dopo la metà:
"L'obiettivo (del gruppo) è scardinare i meccanismi del comic book, dell'intrattenimento puro, di consumo e di massa, e trasformarlo dall'interno."
Ed infine, la roboante conclusione:
"L'immaginario di Valvoline, in rottura con il fumetto di massa, ha aperto la via a quello che oggi si chiama graphic novel. E che finalmente, come è giusto, trova posto nella narrativa, anche in libreria."
Ma che palle! Ancora questa assurda contrapposizione tra fumetto di massa e fumetto d'autore, tra comic book e graphic novel? Ancora il pregiudizio che il primo sia privo di qualità mentre il secondo ne abbia da vendere? Ancora il concetto che il fumetto d'edicola è per la massa mentre in libreria entra solo quello d'elite? Ma basta! Ma parlate italiano e usate la parola fumetto: l'unica che sia onesta e che abbia senso! 

5 commenti:

  1. “Ma che palle! Ancora questa assurda contrapposizione tra fumetto di massa e fumetto d'autore…”
    Infatti. Tutto il fumetto è d’autore o di autori. Sto dicendo una ovvietà che di solito si dimentica usando frasi fatte. La differenza non sta tra massa e autore, ma tra autori buoni e autori cattivi. Ci sono quintali di fumetti non da edicola che sono da buttare e, per di più, si dicono graphic novel, come capita in questo paese provinciale e secondario che usa l’inglese per impreziosire qualsiasi puttanata. Ci sono quintali di fumetti da edicola che sono da buttare, ma che hanno il potere d’essere difesi a spada tratta da un esercito d’impiegati, e per impiegati non intendo i lettori.
    Ma che palle! Fare fumetto è difficile, riempire un depliant lo è molto meno.

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  2. Ciao amici tutti, in realtà ci sono pochissimi nuovi fumetti (genericamente intesi) da salvare. Ma si leggono comunque anche per passatempo. Che poi era il motivo per cui sono nati.
    Roberto F.

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  3. Alessandro, va tutto bene? In questo periodo inanelli un post rabbioso dietro l’altro!

    Per me la distinzione tra fumetto popolare e d’Autore ci sta tutta. Dopotutto se esiste la musica d’autore, il cinema d’autore, ecc. perché col fumetto deve essere diverso? Sembra offensivo per i prodotti Bonelli/di? Pure la Bonelli aveva fatto ricorso a queste categorie per pubblicizzare i volumi di Un Uomo Un’Avventura di Pratt, l’ho scoperto proprio con un tuo post.
    Anche se (mi pare ne avevamo già parlato) in realtà questo “dibattito” del settore sulla distinzione popolare/d’autore secondo me è un falso storico e risale a non prima degli anni ’80.

    È innegabile che la giornalista ha usato un’enfasi e una terminologia frutto di superficialità sensazionalistica, ma noi che ce ne intendiamo possiamo sghignazzarci sopra, mentre un profano magari potrebbe anche avvicinarsi al fumetto.

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  4. Sergio Bonelli varò la collana Un uomo un'avventura proprio per dimostrare che la distanza e la distinzione fra fumetto d'autore e fumetto popolare fosse inesistente. Chiamò quindi dei disegnatori considerati e chiamati allora Autori (come se Galeppini o Milazzo non lo fossero.... e infatti Bonelli affidò loro un volume ciascuno) e dimostrò che la separazione non esisteva, perché vendette quei volumi "da libreria" in edicola. Mi sembra un ragionamento semplice, chiaro, onesto e democratico.
    Bisogna avvicinare la gente al fumetto in modo sincero e onesto, chiamando le cose per quello che sono, altrimenti un profano penserà che il graphic novel da libreria è un buon fumetto e che i giornalini da edicola sono un cattivo fumetto, confondendo la forma e la cornice per la sostanza. Come dice Chendi sopra, questa è una grande cagata: scusa l'eufemismo.

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  5. Alessandro, sai quanto anche io sia sensibile al tema... Ma temo che siano molti degli stessi "operatori del settore" italiani e non solo i pennivendoli della circostanza ad alimentare questa scemenza. Forse perché ormai fa più fico (o è più produttivo) comparire su "XL" o su "Vanity Fair" per lanciare le proprie cose, invece che vincere la guerra di visibilità nelle edicole... Poi sulle tirature meravigliose di questi "romanzi grafici", se davvero portino lettori al medium, qualcuno ci dirà... Io per ora - a parte il fenomeno Michele Rech - vedo intorno tanta fuffa e nessuna sostanza.

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