venerdì 26 aprile 2013

L'astronauta



“Domani Baumgartner ci riprova” disse distrattamente Cassidy, mentre sfogliava un giornale.
“E chi cazzo è Baumgartner?” fu la stizzita risposta di Brendon.
“È quell'austriaco che si butterà da 39 mila metri, qui vicino, sopra Roswell” precisò Cassidy.
“Ma chi cazzo se ne frega. Che cazzo mi rompi con questa storia, adesso?”. Brendon aveva le palle girate, come sempre in quei momenti.
“Rilassati un po'”. L'invito di Cassidy fu inutile.
“Mi spieghi come cazzo faccio a rilassarmi? Siamo qui, in questa merda di macchina, con questo fottuto caldo, ad aspettare quello stronzo di gioielliere, e dovrei stare calmo?” Brendon spense la sigaretta, la decima in venti minuti, e gettò la cicca fuori dalla portiera.
“Comunque l'austriaco lo fa per il progresso della scienza” continuò incurante Cassidy “dice che così saranno più sicure le missioni spaziali”.
“Ah, ah” bofonchiò Brendon, e gettò l'ennesima occhiata alla vetrina della gioielleria dall'altro lato della strada.
“Sai? Quand'ero bambino dicevo a tutti che da grande avrei fatto l'astronauta. Facevo un sacco di disegni con la Luna, Marte, i marziani, e le astronavi. E la maestra mi incoraggiava sempre”. Cassidy si accigliò e Brendon approfittò per punzecchiarlo.
“Certo, ti ha incoraggiato fino a quando non hanno sbattuto il tuo vecchio in prigione. Poi tutti ti hanno voltato le spalle. E adesso sei qui con me, a fare questa di vita di merda”.
Cassidy rimase in silenzio. Sprofondò ancor di più dentro il sedile dell'auto. Ormai la temperatura aveva raggiunto livelli infernali dentro la vecchia Ford, ma Cassidy sembrava non accorgersene. La sua testa si trovava a 39 mila metri, nella stratosfera. Si immaginò come sarebbe apparsa la Terra a quell'altezza. Si chiese se lo sputo di cittadina in cui era cresciuto appariva più bello da lassù.
Una gomitata di Brendon riportò Cassidy sulla Terra.
“Eccolo! È Towers. È uscito come previsto”. Brendon indicò un uomo che si affrettava sul marciapiede opposto. Teneva stretta una valigetta alla mano destra.
“Era ora. Facciamola finita, e che sia l'ultima”. Cassidy prese dal portaoggetti del cruscotto la pistola e la infilò dietro la schiena. Stretta dalla cintura che gli cingeva i pantaloni, la canna fredda dell'arma gli trasmise un brivido. Ma fu solo un momento. Un secondo dopo, le sue scarpe calpestavano già la strada bollente. Salì sul marciapiede opposto e si trovò ad una ventina di metri dietro al tipo con la valigetta. Brendon avviò il motore della Ford e fece un'inversione a U fino a trovarsi a fianco di Cassidy. Lo superò a velocità ridotta. C'era poca gente in giro a quell'ora e circolavano poche automobili. Dovevano fare in fretta. Cassidy accelerò il passo e, quando si trovò a quattro metri dal gioielliere, indossò il passamontagna ed estrasse la pistola. Nel frattempo Brendon accostò l'auto a fianco di Towers e, allungandosi all'indietro con il braccio sinistro, spalancò la portiera posteriore. Il tipo si voltò verso la Ford e si impietrì quando vide al volante un uomo a volto coperto. In quel momento Cassidy fece per avvicinarsi alle spalle di Towers.
Accadde tutto in un paio di secondi.
“Signor Towers!”. Cassidy sentì dietro di sé una voce femminile mentre stava per puntare la canna della pistola verso l'uomo. Il gioielliere, riconosciuta la voce della sua impiegata, si voltò e, d'istinto, alzò il braccio destro. La valigetta prese Cassidy in piena faccia. Il rapinatore ruzzolò a terra e la pistola scivolò oltre il marciapiede, sotto la Ford. La donna gridò. Towers corse via in direzione opposta. Brendon scese dall'auto e si piegò per cercare l'arma. La trovò, la impugnò e la rivolse verso il tipo che correva. Cassidy, ancora mezzo inebetito, vide Brendon sopra di lui con il braccio teso. Incredulo, sentì il colpo. Si alzò nonostante i capogiri feroci.
“Che cazzo fai?” gridò. Le sue mani cercarono il corpo di Brendon ma mancarono il bersaglio. Cadde ancora a terra. Sentì il sapore del sangue mescolarsi dentro la bocca con quello della polvere. La vista si annebbiò. Dentro le orecchie grida di donna. Poi si sentì sollevare. Fu spinto sopra qualcosa di morbido. Le gambe accartocciate in una posa innaturale. L'auto partì con un interminabile stridio di freni e il corpo di Cassidy fu sballottato avanti e indietro. Cadde con la faccia rivolta all'ingiù nello spazio fra il sedile posteriore e quello anteriore. Aprì gli occhi e vide la foto di Baumgartner sul giornale a pochi centimetri da lui. L'austriaco sorrideva e lo guardava negli occhi. Teneva una mano alzata a mo' di saluto. Indossava una tuta d'astronauta. Era come quelle, si disse Cassidy, che aveva disegnato mille volte da piccolo. Poi si spense la luce.

giovedì 25 aprile 2013

La scelta della resistenza

"Ma venne in novembre lo sbarco alleato in Nord Africa, venne in dicembre la resistenza e poi la vittoria a Stalingrado, e capimmo che la guerra si era fatta vicina e la storia aveva ripreso il suo cammino. Nel giro di poche settimane ognuno di noi maturò, più che in tutti i vent'anni precedenti. Uscirono dall'ombra uomini che il fascismo non aveva piegati, avvocati, professori ed operai, e riconoscemmo in loro i nostri maestri, quelli di cui avevamo inutilmente cercato fino allora la dottrina nella Bibbia, nella chimica, in montagna. Il fascismo li aveva ridotti al silenzio per vent'anni, e ci spiegarono che il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta e infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di una legalità e di un ordine detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata. Ci dissero che la nostra insofferenza beffarda non bastava; doveva volgersi in collera, e la collera essere incanalata in una rivolta organica e tempestiva: ma non ci insegnarono come si fabbrica una bomba, né come si spara un fucile.
Ci parlavano di sconosciuti: Gramsci, Salvemini, Gobetti, i Rosselli; chi erano? Esisteva dunque una seconda storia, una storia parallela a quella che il liceo ci aveva somministrata dall'alto? In quei pochi mesi convulsi cercammo invano di ricostruire, di ripopolare il vuoto storico dell'ultimo ventennio, ma quei nuovi personaggi rimanevano "eroi", come Garibaldi e Nazario Sauro, non avevano spessore né sostanza umana. Il tempo per consolidare la nostra preparazione non ci fu concesso: vennero in marzo gli scioperi di Torino, ad indicare che la crisi era prossima; vennero col 25 luglio il collasso del fascismo dall'interno, le piazze gremite di folla affratellata, la gioia estemporanea e precaria di un paese a cui la libertà era stata donata da un intrigo di palazzo; e venne l'8 settembre, il serpente verdegrigio delle divisioni naziste per le vie di Milano e di Torino, il brutale risveglio: la commedia era finita, l?italia era un paese occupato, come la Polonia, come la Jugoslavia, come la Norvegia.
In questo modo, dopo la lunga ubriacatura di parole, certi della giustezza della nostra scelta, estremamente insicuri dei nostri mezzi, con in cuore assai più disperazione che speranza, e sullo sfondo di un paese disfatto e diviso, siamo scesi in campo per misurarci. Ci separammo per seguire il nostro destino, ognuno in una valle diversa."
Primo Levi,
Il sistema periodico

sabato 20 aprile 2013

Un fisico bestiale


Pubblico con piacere questo breve fumetto tratto dal numero di primavera 2013 de Gli altri animali, il notiziario di OIPA Italia, una onlus in primo piano nella lotta per la difesa dei diritti degli animali.
Le modalità attraverso le quali l'OIPA svolge il suo operato sono molteplici, ma voglio sottolinearne uno: le guardie eco-zoofile, un corpo di volontari con precisi poteri garantiti dalla legge italiana (che li definisce quali pubblici ufficiali) che vigilano, prevengono e intervengono per far rispettare i diritti degli animali.
Tornando al fumetto di Isabella Dalla Vecchia, nella sua estrema semplicità e immediatezza, veicola un messaggio che condivido pienamente: l'amore e il legame con la natura non può prescindere dall'attenzione ai nostri gesti quotidiani e alle nostre scelte di esseri umani, in quanto abitanti del pianeta con pari diritti di tutte le altre specie che lo popolano.

venerdì 19 aprile 2013

Il Gatto e l'Imperatore di Giada


Il Gatto arrivò a passi lenti: sinuoso, si pavoneggiava. Mostrava i suoi denti aguzzi in un sorriso soddisfatto: il pelo lungo e fulvo danzava al ritmo del vento leggero che lo accarezzava. Si trovava ormai a poca distanza dall'albergo: solo un ponte su una gola profonda lo divideva dal luogo in cui l'Imperatore di Giada sarebbe venuto a prenderlo. Guardava di sottecchi le due ali di folla che gli si aprivano ai lati mano a mano che avanzava. Erano animali del bosco e della steppa, delle valli e dei campi, delle paludi e delle montagne. Tutti erano venuti a tributare gli onori al Gatto, ad applaudirlo, a rendergli omaggio. E lui se la prendeva tutta quella gloria. Le notizia si era diffusa in un baleno in tutte le lande della Cina. Tutti gli animali sapevano che l'appuntamento avrebbe avuto luogo in un albergo, fino ad allora sconosciuto, situato nella valle più alta della Cina. Era estate, la temperatura era ottima e un piacevole tepore scaldava la valle mentre il sole splendeva alto fra le montagne. Il Gatto ormai aveva superato il ponte ed era giunto trionfante davanti all'ingresso, dove una grassa iena si spendeva in continui inchini e salamelecchi.
“Benvenuto nel mio umile albergo” ripeteva a capo chino digrignando i denti in una risata isterica “Per me è un grande onore ospitare l'incontro fra lei e l'Imperatore di Giada”.
Il Gatto intuiva che l'albergo era tutto tranne che umile. Il Topo gli aveva anticipato che si trattava di uno dei più lussuosi edifici della Cina: lastricato d'oro, con fontane da cui sgorgava il latte e con vasche colme di miele, l'albergo nella valle ad un passo dal Cielo era il posto ideale per un simile appuntamento. Il Gatto ignorò la iena e non si degnò di salutarla: non capiva come un posto così idilliaco potesse essere diretto da una bestia talmente laida. Senza ulteriore indugio entrò a testa alta e chiese:
“Dove si trova la mia dimora?”
Una schiera di altre iene servili si mosse all'unisono in direzione di una maestosa scala. Abbassando lo sguardo invitarono con dei gesti il Gatto a seguirle. Dopo alcune rampe il Gatto si trovò davanti ad una grande porta che, una volta spalancata, si aprì su una stanza lussuosa e amplissima. Il Gatto intravide un terrazzo sul lato opposto alla soglia. Gli venne spontaneo correre verso il balcone fino ad affacciarsi per godere di quello spettacolo naturale meraviglioso. Boschi lussureggianti vestivano i lati della montagna che si alzavano sulla valle colma di animali festanti. Il Gatto si dispiacque un po' di lasciare questo mondo, ma fu solo un fugace pensiero. Subito l'orgoglio di essere stato scelto dall'Imperatore di Giada si impossessò della sua mente e del suo corpo, tanto che il suo pelo si ingrossò rendendolo ancora più maestoso.
Ora si trattava solo di attendere. Mancavano poche ore e poi sarebbe potuto ascendere al Cielo insieme agli altri undici animali, scelti dall'Imperatore di Giada per mostrare alle altre divinità del Cielo le stupende creature che abitavano la Terra. E il Gatto era uno di quei dodici. A lui, il più bello fra gli animali, il Sovrano di tutti gli dei avrebbe dedicato un anno del calendario. Certo, ce ne sarebbe stato uno per ciascuno dei dodici eletti, ma lui sarebbe stato il primo, il più importante. Come si poteva solo pensare di paragonarlo alla sciocca Gallina o al timido Coniglio! Alla stupida Capra o al viscido Serpente! Alla petulante Scimmia o al servile Cane. Il Topo, poi, non se lo giustificava. Quale bestia ispirava maggiore ripugnanza del Topo?!? Ogni volta che il Gatto ci pensava, provava ribrezzo e non poteva smettere di chiedersi come mai l'Imperatore di Giada avesse deciso di portare in Paradiso anche quell'essere immondo. Comprendeva la scelta della nobile Tigre o del forte Toro, del temibile Drago o dell'elegante Cavallo. Ma il Topo proprio no! E il fastidio era acuito anche dal fatto che il Sovrano degli dei avesse usato proprio quell'orribile bestia come messaggero della lieta notizia. Fu il Topo, infatti, a rivelare al Gatto la decisione dell'Imperatore di Giada aggiungendo che, essendo il felino la creatura più bella, sarebbe stata chiamata per ultima. In tal modo poteva così ricevere l'applauso degli altri undici animali già raccolti e di tutti gli altri che erano accorsi davanti al magnifico albergo. Sarebbe stato un trionfo! E il Gatto se lo prefigurava leccandosi i lunghi baffi!
C'era però una nota stonata in questa armonia: le iene. Come potevano gestire una simile meraviglia delle creature così lerce e impure?!? Non se lo spiegava. Scacciò il pensiero avvicinandosi alla fontana che troneggiava al centro della sua elegante stanza. Era trascorsa ormai un'ora e cominciava ad avere sete. Il latte che sgorgava dalle cannelle era invitante. Accostò le sue labbra per bere quando avvertì improvvisamente un insopportabile odore. Il latte era rancido. Il Gatto si ritirò con un balzo da quel liquido che stava assumendo un colore giallastro. Spostò istintivamente lo sguardo verso la grande vasca che si apriva nel lato destro della sua stanza. Il miele appetitoso che la colmava si stava trasformando sotto i suoi occhi in melma grigiastra. Il Gatto rizzò tutti i sui peli e corse fuori abbattendo la porta che lo separava dalle scale. Gli scalini lussuosi di marmo che aveva calpestato solo un'ora fa, erano diventati delle tavole sgangherate legate le une alle altre attraverso corde sfilacciate. Le pareti che prima luccicavano d'oro erano state sostituite da muri scrostati e sporchi.
In preda al panico, il Gatto si precipitò lungo le scale che cedevano sotto il suo peso. Riuscì ad arrivare nell'atrio per un soffio: l'albergo si stava accartocciando su se stesso come un castello di carta pesta travolto dalle raffiche di vento. Il Gatto balzò fuori un attimo prima che l'edificio si schiantasse in una grande nuvola di polvere. Quando questa si diradò vide davanti a se le iene che si rotolavano a terra sbellicandosi dalle risate. Gli altri animali, dietro di esse, stavano svanendo: le loro immagini sbiadivano come se si fosse trattato di un incantesimo. Il Gatto fu preda di una terribile furia che lo fece balzare sulla iena più vicina. Nonostante la differenza di stazza sfavorevole al felino, la iena si trovava in una posizione supina, appiattita dalle zampe del Gatto puntate sul petto dell'immonda bestia. Le fauci del furibondo animale stavano per chiudersi sul collo della iena, quando un accecante bagliore squarciò il cielo. Il Gatto arretrò coprendosi gli occhi fino a quando, abituatosi a fatica alla bianchissima luce, riuscì a scorgere fra le nuvole delle figure. Col passare dei secondi quelle immagini divennero sempre più nitide fino a che fu in grado di distinguerle chiaramente.


Una processione di animali stava solcando il cielo, preceduta da una fonte di luce che non si poteva sopportare. Dietro a questa sorta di guida celeste, correvano una Tigre, un Toro, un Coniglio, un Drago, un Serpente, un Cavallo, una Capra, una Scimmia, una Gallina, un Cane e, infine, un Topo seguito da un Maiale. Il Topo volgeva il muso in direzione del Gatto e a questi parve di scorgere dei riflessi di luce uscire dalla bocca del roditore. Il Topo stava ridendo e i suoi denti riverberavano il bagliore prodotto dalla sua guida, che altri non poteva essere che l'Imperatore di Giada. Una collera ferina si impossessò del Gatto che emise un ruggito più forte di quello della Tigre. Furente attraversò il ponte a grandi balzi, ma nulla poté avvicinarlo a quel corteo che si stava allontanando sempre di più, fino a diventare un invisibile punto nel cielo.
Il Gatto si buttò a terra disperato. Si sentì più sciocco della Gallina e più stupido della Capra. Ma ebbe ancora la forza di sollevare il muso verso il Cielo. Fremendo dalla rabbia gridò con tutto il fiato che aveva in gola:
“Topo maledetto! Ti giuro vendetta eterna!”

Mio rimaneggiamento di un'antica leggenda cinese, alla base della nascita dello zodiaco e dell'ostilità fra gatto e topo.

domenica 14 aprile 2013

Il buco nero


Il primo weekend di primavera non può far altro che spingerti fuori. A respirare a pieni polmoni. A farti accarezzare dal tepore del sole. Ti guardi intorno, ammiri la natura che si sta svegliando. Inizi il fine settimana con une bel film il venerdì sera al cinema, quando ancora fuori la pioggia sta battendo, ma con una intensità via via sempre più debole. L'orizzonte infatti è nitido e sai che il giorno dopo sarà luminoso. Programmi anche una gita al mare per la domenica. Insomma, ti senti rinascere.
Ma non puoi prevedere tutto. La notizia ti fulmina all'improvviso. Un sms di un vecchio amico che non vedi da molti anni ti avvisa che un comune compagno di studi non c'è più. La luce scompare, si fa di nuovo buio. Ma il buio diventa un buco nero quando scopri che lui si è tolto la vita.
C'è tanto sole quando lo salutiamo per l'ultima volta, ma la luce non riesce ad illuminare l'abisso tetro in cui siamo precipitati. Nessuna parola ha senso. C'è solo tanto nero.

domenica 7 aprile 2013

Il ritorno di Magico Vento


Una locomotiva e i suoi vagoni dilaniati. Fiamme e fumo che li avvolgono. Corpi umani straziati. E un vecchio indiano a cavallo che si muove in questa devastazione. Cavallo Zoppo, l'uomo della medicina dei Lakota, è il primo personaggio che incontriamo nella saga di Magico Vento. Non è né Ned Ellis (il nome da bianco del protagonista della serie), tanto meno il fido compagno Poe, a essere presentato per primo. Bensì un vecchio sciamano in cerca del suo successore, di un uomo che, al di là del colore della pelle, sia in grado di imparare tutto quello che il vecchio Sioux può insegnargli. Una visione di Wakan Tanka ha condotto Cavallo Zoppo presso il luogo del disastro ferroviario e lì, fra i ferri divelti e i crateri provocati dall'esplosione, un uomo ferito, coperto di sangue, si alza a fatica, barcolla e ricade privo di coscienza davanti allo sbalordito sciamano. Ecco gli ultimi passi incerti di Ned , prima di diventare Magico Vento.
Sono di forte impatto le prime tavole di Fort Ghost, la storia scritta da Gianfranco Manfredi e disegnata da Jose Ortiz, con cui la serie di Magico Vento ha inizio. E penso che non sia un caso che il primo personaggio che l'autore ci presenta sia uno sciamano. È questa, infatti, una delle caratteristiche principali dell'affascinante avventura che Manfredi ha creato: un'originale miscela di westernfantastico horror, radicata nella religione e nella mitologia degli indiani d'America, popolata da mostri e creature sovrannaturali. Questo Lato Oscuro del West, e non solo i classici pistoleri, è al centro del racconto: un'innovazione per il mondo dei fumetti. Ma il punto di vista di Manfredi sul mondo delle leggende, delle tradizioni e della cultura dei nativi americani è molto rispettoso: il protagonista è sì uno sciamano, ma pur sempre bianco. Da parte dell'autore sarebbe stato presuntuoso mettersi nei panni di un protagonista nativo a tutti gli effetti: Magico Vento non dimentica di essere stato Ned Ellis, i pantaloni da soldato che indossa glielo ricordano continuamente e lui, d'altronde, non vuole nascondere le sue origini a nessuno.
Ma l'unicità di Magico Vento nel panorama fumettistico è data anche da altri fattori. Da una parte l'attenzione di Manfredi alla Storia è massima: l'Avventura si intreccia sapientemente con la Storia del West. Da incorniciare sono gli albi che costituiscono il ciclo delle Black Hills, nel quale si racconta uno dei luoghi ed eventi mitici del West: la battaglia di Little Big Horn. Il pregio è averla inserita in un contesto più ampio: storico, politico, economico e militare. Il lettore arriva al momento della battaglia con un quadro ben preciso  di tutte le forze in campo e di tutta la dinamica che le ha condotte fino a lì. E poi c'è il racconto dei protagonisti, noti e non, di primo piano e di contorno, tutti tratteggiati con umanità e dignità.


D'altra parte il western di Magico Vento è contrappuntato anche dalle avventure vissute nelle città della costa dell'Est: storie ricche di sotterfugi, di spie, di intrighi politici in cui meglio spicca l'azione di Poe, il giornalista che condivide le sorti dell'inseparabile amico. Poe è un uomo che cerca di tenere i piedi per terra quando si imbarca con Ned in avventure più grandi di lui: è l'alter ego razionale di Magico Vento che è più vicino, invece, alla natura misteriosa dell'essere umano.
Per tutto quello che ho scritto, ma anche per molto altro, Magico Vento è una serie che un lettore di fumetti non può lasciarsi sfuggire. Un'occasione per leggerla (o rileggerla) cade propizia in questi giorni. La Panini Comics propone mensilmente la ristampa integrale a colori di tutta la serie. Magico Vento Deluxe è il nome della collana che ha esordito il 21 marzo con il primo albo, Fort Ghost, ritornato nelle edicole dopo quasi sedici anni, tanto è il tempo che separa questa edizione dall'originale della Sergio Bonelli Editore, pubblicata a partire dal mese di luglio del 1997.


La nuova edizione Panini conserva il formato originale Bonelli e anche il tipo di carta è lo stesso. Il colore però è un po' troppo cupo e la tavola, considerando anche i disegni di Ortiz con il suo nero già ben marcato, risulta molto scura. Penso e spero che si prenderanno dei provvedimenti a partire dal secondo numero. Nonostante questo difetto, il risultato è comunque migliore delle ristampe delle avventure di Zagor e Dylan Dog, proposte settimanalmente in edicola dal gruppo editoriale L'Espresso-La Repubblica. In questo caso il formato è sì più grande, ma i colori usati uniti alla carta patinata creano un effetto che, personalmente, trovo artificiale.
Il ritorno di Magico vento era auspicato da parte di molto lettori, che chiedevano a Gianfranco Manfredi di far tornare il suo personaggio con nuove storie. Penso invece che Magico Vento abbia dato il meglio di sé nei suoi 130 albi (più lo speciale) e che sia stato saggio chiudere la serie quando il livello delle storie era ancora alto, senza rischiare di trascinarsi in una stanca riproposizione di avventure già lette. D'altronde Manfredi si è dedicato con successo alla creazione di nuovi personaggi e nuove (mini)serie, e Volto Nascosto e Shanghai Devil sono lì a testimoniarlo.
Pertanto lasciamo lavorare Manfredi sul nuovo Adam Wild, ché il modo migliore per (ri)vivere le avventure di Magico Vento è ora quello di leggere le sue avventure a colori.

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