sabato 2 giugno 2012

Vibranti ma sobri

Sul numero odierno del quotidiano La Repubblica, Miguel Gotor, scrittore e storico che stimo, riflette sul significato della Festa della Repubblica in un interessante editoriale, intitolato "Perché il 2 giugno deve essere difeso". Inevitabilmente il pezzo prende le mosse dalle polemiche di questi giorni riguardo l'opportunità di svolgere la consueta parata militare, dato il terremoto che ha colpito di recente l'Emilia. Soldi buttati, risorse utili ad aiutare i terremotati anziché a sfilare a Roma. Questo il senso delle proteste di molti cittadini italiani. Napolitano ha risposto che la sfilata si sarebbe tenuta, ma sobriamente. Gotor da un lato minimizza il problema delle spese e dell'impiego di mezzi, dato che ormai la macchina dei preparativi era già stata avviata, con le relative spese, al momento della scossa di lunedì scorso e che oggi è la Protezione Civile, più che l'esercito, ad intervenire con competenza e organizzazione per aiutare i terremotati. Cita anche il caso del terremoto del Friuli, quando Forlani, allora ministro della Difesa, annullò la manifestazione del 2 giugno per non sviare l'importante supporto e lavoro che i soldati stavano compiendo nelle mie terre. Nel 1976 la Protezione Civile non esisteva (nacque proprio dall'esperienza del terremoto del Friuli) e l'esercito, presente in massa in queste terre di confine, era in effetti l'unico apparato statale in grado di intervenire con mezzi e uomini in situazione d'emergenza.
Fin qui mi trovo abbastanza d'accordo. Dissento in toto, invece, sul secondo punto per cui la parata militare va svolta, secondo Gotor. Lo storico riprende il pensiero di Napolitano, secondo cui
"è giusto onorare i militari proprio il 2 giugno, poiché in tante recenti missioni hanno sacrificato la loro vita o riportato gravi ferite per garantire a ognuno di noi una maggiore sicurezza interna e internazionale."
La retorica delle pseudo-missioni di pace vibra in queste parole. La retorica, che ci sbandiera attraverso i maggiori mezzi di comunicazione di massa e per voce di uomini delle istituzioni, che gli interventi dei nostri corpi militari all'estero sono svolti per il bene dei locali e, in ultima analisi, anche per il nostro. I veri motivi geopolitici ed economici sono di solito taciuti e tutti i soldati che muoiono, ahimè, in seguito a quelle operazioni di guerra (perché di questo si tratta) sono considerati martiri ed eroi. Non mi è mai andata giù questa falsa interpretazione e, per quanto mi dolga per la morte dei militari, così come per quella di qualsiasi altro essere umano, non ho mai accettato il festeggiamento della Festa della Repubblica attraverso una parata militare. Non si tratta di anti-militarismo, come scrive Gotor, ma del frutto di una considerazione molto semplice. La Repubblica Italiana è nata dopo la spaventosa esperienza della Seconda Guerra Mondiale, nella quale il fascismo e la monarchia dei Savoia ci avevano irresponsabilmente spinto. Ne siamo usciti fra le macerie ma con un orgoglio e uno spirito nuovi, nati dalla Resistenza che molti civili e militari italiani avevano condotto. L'Italia si è dotata di una Costituzione repubblicana, è cresciuta e si sviluppata negli anni. A questo hanno contribuito tutte le parti sociali, nessuna esclusa. L'apporto dei militari alla nascita della Repubblica e al suo sviluppo non è superiore a quello di ogni altra categoria, strutturata o meno. Basta leggersi il primo articolo della nostra Carta per capire quale sia il fondamento della nostra Repubblica: il lavoro. E basta leggersi l'undicesimo per ricordarsi che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Tutto questo mi fa dire che ogni 2 giugno a Roma dovrebbero sfilare i lavoratori italiani e coloro che, purtroppo numerosi, aspirano ad esserlo. I militari non sarebbero altro che una delle tante categorie di lavoratori che ci sono nel nostro paese; lavoratori che si sacrificano e muoiono, nel silenzio dei media e delle istituzioni, molto più dei loro "colleghi" militari.

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