domenica 17 luglio 2011

"Ho freddo": il Gothic, e il rapporto fra Orrore e Terrore

I vampiri. Li conosciamo attraverso tanti libri e film di valore più o meno elevato. Di questi personaggi mitici ci siamo fatti un'idea in alcuni casi stereotipata (con il mantello rosso e i canini aguzzi) o romantica (vedi Intervista col vampiro). Niente di tutto questo si trova nel romanzo gotico Ho freddo di Gianfranco Manfredi, dove il tema del vampirismo è affrontato in un modo del tutto singolare (almeno per la mia esperienza).
Ci troviamo nel Rhode Island degli ultimi anni del '700, dove sbarcano due gemelli medici francesi, Valcour e Aline de Valmont, due rappresentatnti del secolo dei Lumi, due emancipati e dagli usi libertini, che si insediano nella comunità di Cumberland, vicino a Providence. Qui si incontrano e scontrano con leggende e tradizioni che di razionale hanno ben poco. E fanno la conoscenza del terzo protagonista del libro, il pastore olandese Jan Vos, che li accompagnerà lungo le sinistre vicende di tutto il romanzo. Gianfranco Manfredi si è ben documentato, anche in loco, per costruire, come al solito, la solida base storica del romanzo. Questa sua caratteristica, già incontrata nei suoi fumetti come Magico Vento o Volto Nascosto, costituisce le fondamenta del suo lavoro, dove però ad emergere sono sempre i personaggi. Mentre leggevo di pesti vampiriche, di riesumazione e profanazione di cadaveri (tutti fatti realmente successi in quelle terre), di analisi mediche iper-razionali da parte dei gemelli che legavano gli episodi di presunto vampirismo all'epidemia di consunzione (una sorta di tubercolosi unita ad episodi deliranti), mai l'attenzione si è scostata dalla storia personale dei tre protagonisti. Manfredi costruisce un'ottima trama, affascinante per il suo intreccio e i riferimenti storici, ma sono sempre le psicologie dei personaggi a dominare la scena. La loro descrizione è cosi' accurata che fin dalle prime pagine me li sono immaginati all'interno della mia testa nei minimi dettagli e così mi hanno accompagnato e sono vissuti dentro di me fino alla conclusione. Questo, al di là del tema trattato e della trama, è ciò che ti resta dentro alla fine del libro: il desiderio di rivederli ancora (e non a caso uso la parola rivedere, pur trattandosi di un romanzo scritto). Desiderio accontentato da Manfredi, che li ha resi protagnisti del suo ultimo romanzo Tecniche di resurrezione, di prossima lettura.



Dicevo del modo originale di trattare il tema del vampirismo. Intendiamoci: Manfredi non vuole spiegarlo con la ragione, demolendone gli aspetti irrazionali. Valcour, l'illuminista, il ricercatore, vede gli spiriti alla fine della storia e il suo animo finalmente si acquieta. E lo stesso succede al lettore, come infatti spiega lo stesso Manfredi in quest'intervista pubblicata sul sito del romanzo:

"Il gotico è secondo me una contaminazione tra il romanzo d’avventura e il romanzo filosofico. Cioè: succedono una quantità di cose, anche estreme e straordinarie, e persino quando non succede nulla, permane alta la temperatura emotiva, si alimenta una tensione costante nell’attesa dell’evento. Tuttavia quello che accade (o non accade) non si risolve in pura azione, ma suscita nei personaggi e nel lettore, delle riflessioni. Nella narrativa gotica, coabitano due diversi filoni, spesso frequentati entrambi dagli stessi scrittori. C’è un filone razionalista, che è quello del gotico classico delle origini. I fantasmi, le apparizioni, i mostri, sono fenomeni che alla fine trovano una spiegazione razionale. E c’è il filone romantico, che invece insegue le orme del sogno e della leggenda e si lancia in un’esplorazione dei simboli, rivelatrice di una ricerca tanto emotiva quanto spirituale, cioè mistica."
Del tema della paura, del rapporto tra Orrore e Terrore, di ciò che suscita nel lettore o spettatore, Manfredi aveva parlato anche nell'intervista che mi ha rilasciato recentemente, esprimendosi con le seguenti parole:

"Gli autori Gotici hanno sempre distinto tra Terrore e Orrore che, per usare le parole di Ann Radcliffe, “sono uno l’opposto dell’altro: il primo espande l’anima e sveglia le facoltà intellettuali a un alto livello di sensibilità; l’altro le contrae, le congela, fin quasi ad annichilirle”. Io sto dalla parte del Terrore: l’esperienza della paura ha un senso se ti migliora e se ti conduce a superarla. Se invece la rivivi sempre perché sei incapace di superarla, allora vuol dire che ami l’Orrore in sè. E l’Orrore, se ci si pensa bene, fa sempre molto meno paura del Terrore. L’Orrore esagera gli effetti al punto che tutto diventa un gioco e uno pensa: già che ci siamo, diamoci dentro, tanto è tutto finto. Il Terrore è una cosa molto più insidiosa, allude più che mostrare, ti spaventa più con l’attesa dell’ignoto e con la tensione che con l’effetto nudo e crudo. Così uno si dice: stiamoci attenti prima di sprofondare nel panico, se non altro cerchiamo di capire se l’allarme che sentiamo risuonare in noi è giustificato oppure no. Nella vita si prova più paura al pensiero di venire feriti, che quando sprizza il sangue. Contro la paura sensibile, non c’è adrenalina che tenga e c’è molto poco da scherzare, perché anche se è immotivata, la provi lo stesso e devi imparare a conoscerla molto bene e a leggerne i segni, se vuoi superarla. Il Terrore è molto più perturbante dell’Orrore. Dopodiché è evidente che tra i due corre una corrente comune. E in un racconto del Terrore qualcosa di orribile deve succedere perché altrimenti ci si sente dei fessi ad aver avuto paura per nulla. Quindi il Terrore comporta una buona dose di Orrore, mentre non è altrettanto vero il contrario."
Personalmente Gianfranco Manfredi ha avuto un merito nei miei confronti: son sempre stato recalcitrante e poco interessato ad affrontare letture o film d'Orrore, e non ho mai capito perché: il motivo sta forse in quanto espresso qui sopra. Viceversa, il Terrore mi ha sempre attratto, e questo non equivale affatto a sangue che sprizza da tutta le parti o a viscere aperte ed esposte. E' ben altro e Hitchcok lo sapeva benissimo... Ancora Manfredi:

"L’Orrore, con tutta la sua esposizione di viscere, è innocuo. E nella maggior parte dei film è anche consolatorio perché le morti peggiori capitano agli stronzi. Troppo comodo. In Psycho la protagonista non è affatto una stronza, noi siamo tutti con lei, eppure viene uccisa dopo venti minuti. E questo sì che ti spiazza."

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