lunedì 25 luglio 2011

Marsalis And Clapton Play The Blues


Gli appassionati di Eric Clapton (come il sottoscritto) fremono perché l'estate passi in fretta, in modo che arrivi il 13 di settembre, il giorno in cui verranno pubblicati il cd e il dvd de WYNTON MARSALIS & ERIC CLAPTON PLAY THE BLUES - LIVE FROM JAZZ AT LINCOLN CENTER.
Si tratta della registrazione dello show che i due musicisti hanno tenuto lo scorso aprile al Rose Theater del Jazz at Lincoln Center di New York. Padrone di casa delle due serate andate in sold-out, è stato il trombettista Wynton Marsalis con la sua Jazz at Lincoln Center Orchestra: otto membri che hanno rivisitato insieme al chitarrista britannico il blues e il jazz dell'anteguerra. Unica eccezione al tema portante delle serate è stata Layla, la celebre canzone di Clapton composta all'epoca dei Derek and the Dominos. Secondo questa recensione, a Clapton, dubbioso sulla resa del suo pezzo con un arrangiamento così partcolare, è stato imposto di eseguire Layla insieme all'orchestra. La magnifica interpretazione che ne è venuta fuori ha fatto ricredere il bluesman inglese.
Che dire!?! Ci sarà da restare a bocca aperta.....




 

venerdì 22 luglio 2011

Animals lotta


La rivista mensile ANIMAls, dedicata a fumetti, storie, la vita e nient'altro ha bisogno di aiuto, ha bisogno di essere acquistata per poterla trovare ancora nelle edicole nei prossimi mesi.
Il numero estivo, il 24, è ancora in vendita: secondo me vale la pena di spendere qualche euro per sostenere questo sforzo coraggioso e interessante che la Coniglio Editore e Laura Scarpa ci confezionano con amore e impegno ogni mese.
Forza Animals!

domenica 17 luglio 2011

"Ho freddo": il Gothic, e il rapporto fra Orrore e Terrore

I vampiri. Li conosciamo attraverso tanti libri e film di valore più o meno elevato. Di questi personaggi mitici ci siamo fatti un'idea in alcuni casi stereotipata (con il mantello rosso e i canini aguzzi) o romantica (vedi Intervista col vampiro). Niente di tutto questo si trova nel romanzo gotico Ho freddo di Gianfranco Manfredi, dove il tema del vampirismo è affrontato in un modo del tutto singolare (almeno per la mia esperienza).
Ci troviamo nel Rhode Island degli ultimi anni del '700, dove sbarcano due gemelli medici francesi, Valcour e Aline de Valmont, due rappresentatnti del secolo dei Lumi, due emancipati e dagli usi libertini, che si insediano nella comunità di Cumberland, vicino a Providence. Qui si incontrano e scontrano con leggende e tradizioni che di razionale hanno ben poco. E fanno la conoscenza del terzo protagonista del libro, il pastore olandese Jan Vos, che li accompagnerà lungo le sinistre vicende di tutto il romanzo. Gianfranco Manfredi si è ben documentato, anche in loco, per costruire, come al solito, la solida base storica del romanzo. Questa sua caratteristica, già incontrata nei suoi fumetti come Magico Vento o Volto Nascosto, costituisce le fondamenta del suo lavoro, dove però ad emergere sono sempre i personaggi. Mentre leggevo di pesti vampiriche, di riesumazione e profanazione di cadaveri (tutti fatti realmente successi in quelle terre), di analisi mediche iper-razionali da parte dei gemelli che legavano gli episodi di presunto vampirismo all'epidemia di consunzione (una sorta di tubercolosi unita ad episodi deliranti), mai l'attenzione si è scostata dalla storia personale dei tre protagonisti. Manfredi costruisce un'ottima trama, affascinante per il suo intreccio e i riferimenti storici, ma sono sempre le psicologie dei personaggi a dominare la scena. La loro descrizione è cosi' accurata che fin dalle prime pagine me li sono immaginati all'interno della mia testa nei minimi dettagli e così mi hanno accompagnato e sono vissuti dentro di me fino alla conclusione. Questo, al di là del tema trattato e della trama, è ciò che ti resta dentro alla fine del libro: il desiderio di rivederli ancora (e non a caso uso la parola rivedere, pur trattandosi di un romanzo scritto). Desiderio accontentato da Manfredi, che li ha resi protagnisti del suo ultimo romanzo Tecniche di resurrezione, di prossima lettura.



Dicevo del modo originale di trattare il tema del vampirismo. Intendiamoci: Manfredi non vuole spiegarlo con la ragione, demolendone gli aspetti irrazionali. Valcour, l'illuminista, il ricercatore, vede gli spiriti alla fine della storia e il suo animo finalmente si acquieta. E lo stesso succede al lettore, come infatti spiega lo stesso Manfredi in quest'intervista pubblicata sul sito del romanzo:

"Il gotico è secondo me una contaminazione tra il romanzo d’avventura e il romanzo filosofico. Cioè: succedono una quantità di cose, anche estreme e straordinarie, e persino quando non succede nulla, permane alta la temperatura emotiva, si alimenta una tensione costante nell’attesa dell’evento. Tuttavia quello che accade (o non accade) non si risolve in pura azione, ma suscita nei personaggi e nel lettore, delle riflessioni. Nella narrativa gotica, coabitano due diversi filoni, spesso frequentati entrambi dagli stessi scrittori. C’è un filone razionalista, che è quello del gotico classico delle origini. I fantasmi, le apparizioni, i mostri, sono fenomeni che alla fine trovano una spiegazione razionale. E c’è il filone romantico, che invece insegue le orme del sogno e della leggenda e si lancia in un’esplorazione dei simboli, rivelatrice di una ricerca tanto emotiva quanto spirituale, cioè mistica."
Del tema della paura, del rapporto tra Orrore e Terrore, di ciò che suscita nel lettore o spettatore, Manfredi aveva parlato anche nell'intervista che mi ha rilasciato recentemente, esprimendosi con le seguenti parole:

"Gli autori Gotici hanno sempre distinto tra Terrore e Orrore che, per usare le parole di Ann Radcliffe, “sono uno l’opposto dell’altro: il primo espande l’anima e sveglia le facoltà intellettuali a un alto livello di sensibilità; l’altro le contrae, le congela, fin quasi ad annichilirle”. Io sto dalla parte del Terrore: l’esperienza della paura ha un senso se ti migliora e se ti conduce a superarla. Se invece la rivivi sempre perché sei incapace di superarla, allora vuol dire che ami l’Orrore in sè. E l’Orrore, se ci si pensa bene, fa sempre molto meno paura del Terrore. L’Orrore esagera gli effetti al punto che tutto diventa un gioco e uno pensa: già che ci siamo, diamoci dentro, tanto è tutto finto. Il Terrore è una cosa molto più insidiosa, allude più che mostrare, ti spaventa più con l’attesa dell’ignoto e con la tensione che con l’effetto nudo e crudo. Così uno si dice: stiamoci attenti prima di sprofondare nel panico, se non altro cerchiamo di capire se l’allarme che sentiamo risuonare in noi è giustificato oppure no. Nella vita si prova più paura al pensiero di venire feriti, che quando sprizza il sangue. Contro la paura sensibile, non c’è adrenalina che tenga e c’è molto poco da scherzare, perché anche se è immotivata, la provi lo stesso e devi imparare a conoscerla molto bene e a leggerne i segni, se vuoi superarla. Il Terrore è molto più perturbante dell’Orrore. Dopodiché è evidente che tra i due corre una corrente comune. E in un racconto del Terrore qualcosa di orribile deve succedere perché altrimenti ci si sente dei fessi ad aver avuto paura per nulla. Quindi il Terrore comporta una buona dose di Orrore, mentre non è altrettanto vero il contrario."
Personalmente Gianfranco Manfredi ha avuto un merito nei miei confronti: son sempre stato recalcitrante e poco interessato ad affrontare letture o film d'Orrore, e non ho mai capito perché: il motivo sta forse in quanto espresso qui sopra. Viceversa, il Terrore mi ha sempre attratto, e questo non equivale affatto a sangue che sprizza da tutta le parti o a viscere aperte ed esposte. E' ben altro e Hitchcok lo sapeva benissimo... Ancora Manfredi:

"L’Orrore, con tutta la sua esposizione di viscere, è innocuo. E nella maggior parte dei film è anche consolatorio perché le morti peggiori capitano agli stronzi. Troppo comodo. In Psycho la protagonista non è affatto una stronza, noi siamo tutti con lei, eppure viene uccisa dopo venti minuti. E questo sì che ti spiazza."

giovedì 14 luglio 2011

Porco Rosso avrà un seguito?

Da qui riporto la notizia dei rumors riguardo al possibile sequel di Porco Rosso, il lungometraggio animato, capolavoro di Hayao Miyazaki. Sembra che il settantenne autore di indimenticabili opere d'animazione quali La principessa Mononoke, Conan, Il castello errante di Howl, La città incantata e molti altri stia lavorando ad un progetto che avrebbe già un nome: Porco Roso: The last Sortie.
Personalmente la notizia mi fa molto piacere: spero che sia vera, perché vedere rinnovato in un secondo film lo spirito di libertà che anima Porco Rosso mi fa trepidare per la sua uscita, prevista da IMdb già nel 2012.
E poi come dimenticare la celebre frase che Miyazaki fa pronunciare all'asso dell'aviazione trasformato in un maiale:

Meglio maiale che fascista

 

sabato 9 luglio 2011

Sei divise nella polvere

L'estate di Tex Willer è decisamente all'insegna di Gianfranco Manfredi. Dopo infatti il Texone di giugno (di cui ho parlato qui e qui) lo scrittore marchigiano firma soggetto e sceneggiatura della storia pubblicata sugli albi mensili di luglio e agosto. Mi son veramente divertito a leggere la prima parte di quest'avventura, "Sei divise nella polvere", che vede il ranger più famoso del fumetto dare la caccia, insieme all'inseparabile Carson, ad una banda di rapinatori alquanto insolita. Dopo il killer dalla psiche molto debole, inseguito fino in Oregon dai due pards nel Texone, ecco un'altra raffigurazione del personaggio negativo molto particolare. Se là l'assassino disegnato magistralmente da Carlos Gomez ispirava pietà, qui la banda di soldati capitanata dal tenente Bigelow disegnata da Giovanni Ticci ispira quasi simpatia. E non solo al lettore: ad un certo punto Tex infatti cede alle punzecchiature di Carson, confessandogli che, se non ci fosse scappato il morto nel corso della rapina alla banca che ha visto i militari protagonisti, li avrebbe volentieri lasciati andare. Perché? Lo spiega lo stesso Tex in questo scambio di battute cameratesche tra i due vecchi amici:


Le preoccupazioni del ranger sono infatti rivolte alla ben più pericolosa banda di desperados di Pardo, le cui scorribande sanguinose incrociano la strada dei due pards. Pardo sì che è rappresentato come un classico cattivo: senza scrupoli, feroce e assassino. La differenza con Bigelow salta subito all'occhio.
Manfredi interpreta di nuovo Tex nel solco della tradizione più classica: eroe tutto d'un pezzo, senza debolezze, così come deve essere. Eppure è sempre un grande piacere riconoscere nella sceneggiatura i tratti più salienti di questo personaggio, soprattutto se inseriti nel punto giusto della storia. Come quando risponde alla domanda del maggiore Newman "Da quanti anni servite la legge?" nel modo seguente:


O quando non si fa scrupoli ad sbeffeggiare un'autorità militare, incarnata sempre dal maggiore Newman, vigliacca e schiava dell'alcol (sottolineata in questo dal disegno di Ticci):


Il Tex che dà lezioni su cosa sia la legge ad arroganti suoi rappresentanti è un altro classico:


Ma la battuta più bella e piena di significato viena fatta pronunciare da Manfredi al vecchio Carson:


In un certo senso è molto liberatoria: sembra quasi che Kit si sfoghi, dicendoselo più a se stesso che al meschino cittadino "onesto". E' una grande espressione di libertà.
Con Manfredi quindi, la tradizione texiana c'è tutta, ma qua e là ci sono alcune chicche che la rendono unica fra i vari autori del ranger.
Di classico poi nella storia ci sono anche i disegni, perché ormai Ticci è un classico, e con questa storia un desiderio di Manfredi si è avverato, come dice lui stesso nel seguente estratto da questa intervista:

"Nel caso di Ticci, mi portavo dentro il desiderio di scrivere una storia per lui da moltissimo tempo, perché tra i disegnatori del Ranger ritengo sia quello che ha saputo negli anni mettere meglio in luce gli elementi dinamici del racconto. Dopodiché, il giudizio sarà ovviamente dei lettori."

Ultima annotazione: nella vignetta seguente Carson saluta il meschino uomo "onesto" in un modo che mi ricorda qualcuno....

lunedì 4 luglio 2011

Ho intervistato Ivo Milazzo

Uno dei due padri di Chemako mi ha fatto un grande regalo: Ivo Milazzo mi ha concesso l'intervista che potete trovare qui su Fucine Mute, la testata giornalistica online di approfondimento culturale su FUmetto, CINEma, MUsica e TEatro.
E' uno dei grandi maestri del fumetto internazionale, i suoi disegni hanno incantato lettori di tanti paesi del mondo. Per me, come per tanti altri lettori, resterà sempre il creatore, insieme a Giancarlo Berardi, di quel fumetto rivoluzionario che è stato Ken Parker.
Nell'intervsita Milazzo ripercorre la sua quarantennale carriera, partendo dal pluridecennale sodalizio artistico con l'amico Berardi: una coppia di cuori e cervelli capace di creare personaggi indimenticabili, al di là di Ken. Ma parla anche di tutte le storie scritte da altri autori alle quali i suoi disegni hanno dato la vita. Perché è questa la caratteristica dei personaggi disegnati da Milazzo: recitano sulla pagina, comunicano, trasmettono un'emozione al lettore.
"Per me è fondamentale rendere credibili e vivi i personaggi per trasmettere l'adeguata emozione narrativa al lettore. E in perfetta sintonia complementare con il testo."

venerdì 1 luglio 2011

Postille al Texone

"Dietro un lavoro che sembra semplice, ci sono in realtà  da risolvere problemi complessi, e la semplicità  è un obiettivo non un dato di partenza. Si fa un buon lavoro quando una storia risulta,alla fine, semplice alla lettura. Si fa un pessimo lavoro quando invece si parte da una base fin troppo semplice e poi si incasina il racconto, presumendo di renderlo più appassionante."

A scrivere queste parole in risposta ad una mia domanda (quasi una postilla alla lunga intervista che mi ha rilasciato) è stato Gianfranco Manfredi, l'autore di soggetto e sceneggiatura del Texone "Verso l'Oregon" attualmente in edicola, disegnato magistralmente dall'argentino Carlos Gomez. E la storia, che si legge d'un fiato, è proprio così: semplice alla lettura, ma racchiude dietro di sè, come tutti i prodotti ben confezionati, cura e impegno certosini. E poi in realtà le storie sono due, come avevo già detto qui. Due trame che si snodano lungo le pagine senza mai dar troppo peso all'una piuttosto che all'altra, nelle quali il trait d'union è costituito, naturalmente, da Tex e Carson.
Da una parte abbiamo un gruppo di tenaci donne che vogliono raggiungere i loro futuri, ma ancora sconosciuti, sposi nel lontano Oregon, e che trovano nei due rangers un valido aiuto. Ancora Manfredi:


"Sulle spose postali, il film più famoso è stato senz'altro "Sette spose per sette fratelli". Trattandosi di un musical, là era tutto rose e fiori. La realtà  era molto più cruda e ho letto un libro americano (Chris Enns, Hearts West - True Stories of Mail-Order Brides on the Frontier , TwoDot book 2005) che la svela. Quasi tutte finivano nei bordelli, oppure come schiave, a fare lavori durissimi in posti abbandonati da Dio."


Le donne dirette in Oregon. Disegno di Carlos Gomez


E questo sarebbe stato il destino anche delle coraggiose donne protagoniste del Texone, turlupinate da un'organizzazione capeggiata da un falso reverendo di Oregon City, zio del killer cui Tex e Carson danno la caccia.

Il killer dalla psiche molto debole. Disegno di Carlos Gomez


E qui veniamo all'altra trama del fumetto: la caccia ad un serial killer alquanto anomalo. Dal grilletto molto facile, sfodera la pistola non per sfida o per rapina, ma per paura; molto elegante, fugge gli uomini ed è attaccatissimo al suo maestoso cavallo bianco. E' una figura che desta, nonostante sia un assassino, molta pietà, anche se a qualcuno è parso poco realistico. La documentazione di Manfredi per questo personaggio è, al solito, molto curata, come si evince dalle sue parole.

"Per il personaggio del giovane killer psicopatico mi sono invece molto liberamente ispirato a John Wesley Harding, il noto fuorilegge texano che si dice abbia ucciso almeno 42 persone. Leggendo uno studio su di lui, ho trovato uno spunto interessante: pare che fosse un cacasotto, che estraeva la pistola e sparava per paura di essere sfidato o riconosciuto. "Più ne ammazzi e più sei vigliacco" mi sembrava un bel paradosso, che andava a capovolgere molti stereotipi western. 
Mi colpì un aneddoto che riguarda i suoi rapporti con Wild Bill Hickok quando questi era Sceriffo di Abilene. Sapendo che Harding era in città, ed essendo al corrente dei suoi crimini, Hickok andò da lui e gli disse che non lo avrebbe perseguito per i crimini già commessi, ma che se avesse causato problemi in città lo avrebbe ammazzato come un cane. Harding, spaventatissimo, si ritirò in albergo. Le stanze erano collettive. Durante la notte sentì aprire la porta e sparò a un altro cliente uccidendolo sul colpo, dopodiché scappo' da Abilene in mutande."
Non potevano mancare delle osservazioni sugli splendidi disegni di Carlos Gomez, che fa esprimere ai personaggi, in primis a Tex e Carson, una varietà notevole di espressioni facciali, gestualità e posture. Il risultato è un disegno dinamico e comunicativo delle emozioni dei personaggi stessi. E Manfredi, prendendo spunto dal tratto di Gomez, si concede considerazioni interessanti sulla rappresentazione di Tex in generale.

"Riguardo ai primi piani dei personaggi che tu hai genialmente messo in rilievo, è una caratteristica dei disegnatori sudamericani dare massima evidenza alle espressioni. Molti lettori bonelliani si sono talmente abituati alla staticità espressiva, che le trovano eccessive. Invece io penso che contribuiscano a rendere più vivace e colorito un fumetto e dunque le apprezzo molto, anche perché è raro trovare un disegnatore che faccia "recitare" i personaggi. Il più delle volte, quando si guarda un primo piano, se non si legge il balloon, non si ha la minima idea dello stato d'animo del personaggio. Questo non aiuta a unire testo e disegni e dunque a mio avviso è un difetto. Ma anche qui: sia i lettori che i critici bonelliani sono da sempre abituati a distinguere nettamente tra testo e disegni come se fossero due cose separate e da valutare ciascuna in sè. Invece una storia si può dire riuscita soltanto se tra disegnatore e autore del testo c'è intesa.
 Nel caso, nessuno ha osservato che se Gomez fa Tex più giovane del solito, è anche per corrispondere a una storia in cui Tex è permanentemente in azione. Un Tex troppo anziano e statuario avrebbe tolto dinamica ed efficacia alla storia. Un sessantenne non può avere la stessa agilità  di un trentenne. Ergo: quando si accusava Nizzi di scrivere un Tex troppo sedentario, non si considerava che Nizzi era l'autore quasi esclusivo di Tex da decenni e tendeva per forza di cose a tenerne presente l'età  non freschissima. Se i lettori chiedono a gran voce un Tex più dinamico, devono anche beccarselo più giovane, altrimenti le due cose non stanno insieme."

 E la chiosa finale non può che essere: "Puro vangelo!"

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