martedì 22 giugno 2010

BVZM e la Sardegna: operazione nostalgia


Sono in Sardegna per la prima volta nella mia vita, a Cagliari per la precisione. Fra le tante suggestioni che la bella città mi fa sorgere, c'è anche un lontano ricordo legato al mondo dei fumetti. Si tratta di un albo di Martin Mystere che lessi quand'ero ragazzo: "Il mistero del nuraghe". Era il numero 34 della serie mensile uscito in gennaio del 1985, ma per me fu uno dei primi visto che cominciai a leggere le avventure del BVZM a partire dall'estate dell'anno precedente. Il personaggio di Castelli mi aveva conquistato e tuttora, nonostante alti e bassi (molti bassi negli ultimi anni), non l'ho ancora lasciato.

L'avventura sull'isola è importante perché rappresenta l'esordio assoluto in casa Bonelli per la banda dei sardi: ovvero Antonio Serra, Michele Medda e Bepi Vigna. I tre, in questo caso autori non accreditati del soggetto, hanno creato un'avventura intessuta di folklore e di tradizioni sarde a loro molto care. Diventeranno poi famosi come autori di un altro big bonelliano: Nathan Never, e ho detto tutto....

lunedì 14 giugno 2010

Da Ken Parker a Manto nero


Ho un nuovo amico. E' il proprietario del negozio di prodotti per animali, presso cui mi rifornisco per le due micie che vivono con noi. E' un signore oltr i 50, che ama veramente gli animali (fatto non scontato anche se lavora nell'ambiente). Mi ha conquistato quando, notando che teneva l'ultimo Tex vicino alla cassa, ho chiesto quali fumetti leggesse e quali gli piacessero particolarmente. Risposta: i western e l'avventura, il migliore è Ken Parker. Motivazione: Lungo Fucile non è solo western e avventura ma molto di più. Fatta! Caduto come un pero.... L'ho eletto a mio negoziante di prodotti di animali per l'eternità... Basta così poco, direte voi? Ma non è per niente poco: gli amanti di Ken si sentono parte di una legame quasi di fratellanza, che si basa sui valori di Ken.

Comincia così un fitto dialogo su fumetti e non solo. Parliamo anche di film e me ne presta uno in videocassetta: si chiama Manto nero.



E' ambientato nel 1634 nei freddi territori del Grande Nord canadese, dove un gesuita francese parte, accompagnato da nativi Angolchini, per raggiungere una missione cattolica nel territorio degli Uroni. Il giovane prelato (chiamato Manto nero perchè indossa un mantello di questo colore) parte con la convinzione di portare la Verità e la Civiltà presso barbari selvaggi miscredenti. Constaterà invece che la verità non sta tutta da una parte e che la civiltà è un conceto relativo. Solito film già visto del buon selvaggio? Per niente: ci sono scene forti che mostrano la crudeltà dei nemici Irochesi. Mi hanno colpito due cose: la precisione e la fedeltà nella rappresentazione dei nativi americani. Ma soprattutto mi è rimasta l'idea che l'uomo, seppur diviso da culture e barriere spesso invalicabili e destinate allo scontro fatale, è costituito a  tutte le latitudini e longitudini dalla stessa sostanza, aldilà di tutte le sovrastrutture. Manto nero in brevi ma intensi momenti si rende conto di questo e così pure il capo algonchino Chomina, poco prima di morire.

Ken Parker la pensa allo stesso modo....


lunedì 7 giugno 2010

Guten Abend


Con queste parole Eric Clapton ci ha salutato, facendo il suo ingresso sul palco di Konigsplatz a Monaco di Baviera. Era accompagnato da Steve Winwood, con cui più di 40 anni fa, costituì l'ossatura del gruppo Blind Faith. Una reunion riuscitissima, a giudicare dall'entusiasmo scatenato nel pubblico che ha affollato la piazza bavarese. Tanti pezzi storici dei Blind Faith come "Had To Cry Today", "Presence Of The Lord" e "Can't Find My Way Home" e tanto blues classico come "Key To The Highway" e "Crossroads". Non sono mancati i pezzi forti di Clapton, da una "Layla" unplugged a una "Cocaine" elettrica. Ma il clou è stato "Voodoo Chile" con cui la band ha fatto venire la pelle d'oca a tutto il pubblico.




Dopo lo spettacolo io e il mio amico Andrea abbiamo scoperto che gli artisti non sono solo quelli che si esibiscono davanti a platee sterminate, facendo pagare fior di euro i biglietti di ingresso. Ce ne sono molti altri infatti che intrattengono i passanti notturni nei centri città pieni di uffici e negozi spopolati. Chiedono solo un po' di attenzione, di rispetto e pochi euro: in cambio ti danno qualche minuto di serenità, una risata e la possibilità di cantare spensierati insieme ad altri passanti sconosciuti.


giovedì 3 giugno 2010

Grazie Cesare



Lettera Aperta

A chi mi incontra per strada e mi chiama “Cesare”; a chi ha preso la pioggia, il sole, il vento al Franchi; a chi ha fatto le vacanze a Folgaria, a Castelrotto e a Cortina;

a chi ha pianto per un rigore sbagliato o per la gioia di Anfield; a chi ci ha creduto come me e si è emozionato per una solitaria bandiera viola ad una finestra;

a chi ha pensato che, nonostante sbagliassi qualche cambio, ero comunque una persona per bene; a chi ha saputo capire ed apprezzare il significato del silenzio;

a chi ha fatto centinaia di chilometri per dire “io c’ero”, quelli di Verona, di Torino e che hanno pianto di gioia con noi; a quelli che ci aspettavano all’aeroporto la notte per cantare “forza viola”;

a chi urlava “falli correre” e a chi ha corso; a chi mi diceva, toccandomi ogni volta l’anima, “Grande Mister, uno di noi” oppure “parlare con te è come se parlassi con un parente”, fratello, zio cugino, padre non fa differenza.

A tutti, a Firenze con la sua eleganza un po’ malinconica, la sua diffidenza e la sua generosità, devo dire solo due cose: grazie e vi porterò sempre nel mio cuore.

Cesare


Grazie Cesare per tutte le emozioni che mi hai regalato, non ti dimenticherò. Non avremo mai più come allenatore una persona per bene come te.

mercoledì 2 giugno 2010

Il cinema moderno e la guerra


Questo sarcastico remake, opera di Emiliano Pagani e Daniele Caluri, creatori di Don Zauker, di una scena di Valzer con Bashir, mi ha fatto tornare in mente delle considerazioni del filosofo marxista e psicanalista lacaniano Slavoj Žižek riguardo a film come Valzer con Bashir appunto, ma anche Lebanon, o The Hurt Locker.
Film che parlano della guerra, vista attraverso i diretti protagonisti, i soldati che si pongono drammaticamente domande riguardo ciò che stanno facendo. Quello che si vede è però il loro dramma privato e non il contesto, le ragioni della guerra che fa da terribile sfondo alle storie intime dei combattenti. Il valore estetico e morale di questi film resta elevato, ma il pensatore sloveno elabora sulla questione una riflessione, secondo me, molto azzeccata.


Lo spunto viene dall’assegnazione dell’Oscar 2010 al film di Kathryn Bigelow The Hurt Locker: “spostare l’attenzione sull’esperienza traumatica del colpevole ci consente di rimuovere l’intero contesto etico-politico del conflitto […]. Questo tipo di umanizzazione serve dunque a mettere in ombra la questione fondamentale: la necessità di una spietata analisi politica della posta in gioco nella nostra attività politica e militare”. In film celebrati per il loro presunto antimilitarismo, come The Hurt Locker, “il modo in cui si descrivono l’orrore quotidiano e le esperienze traumatiche dei soldati in zone di guerra sembra lontano anni luce dalla celebrazione sentimentale del ruolo umanitario dell’esercito americano in film come lo spregevole Berretti verdi di John Wayne. Tuttavia, dovremmo sempre tenere presente che in The Hurt Locker la cruda rappresentazione della follia della guerra rende accettabile il fatto che i suoi protagonisti stanno facendo esattamente la stessa cosa dei Berretti verdi. L’ideologia non si vede, ma c’è ed è più forte che mai: noi siamo lì con i nostri ragazzi, e ci identifichiamo con le loro paure e le loro angosce invece di domandarci che ci fanno laggiù”.

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